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La musica che esce dalle cuffie le riempie la testa. È sempre stata una persona mattiniera, quindi non le dispiace alzarsi così presto. Soprattutto quando quello significa occuparsi della piccola pista di pattinaggio, nonostante stia quasi cadendo a pezzi, vicino al suo appartamento. Pulisce prima ancora che venga aperta e si occupa perfino della cura del ghiaccio, nonostante sia una donna e il macchinario da usare potrebbe risultare pesante. Ma va bene, lì tutti si fidano di lei.
E in più, ogni tanto riesce a trovare anche del tempo per tirare fuori i suoi vecchi pattini e usarli in tutta tranquillità. Certo, non ammetterebbe mai con nessuno di farlo davvero, ma alla fine pattinare l'ha sempre fatta stare meglio... nonostante tutto. Ancora, dopo gli ultimi anni trascorsi.
Quella mattina ci mette poco tempo a fare ciò che il suo lavoro prevede. È quasi pronta per andare via, deve solo rimettere delle chiavi al loro posto dentro al piccolo ufficio di Phil, il suo superiore, il custode della palestra.
Non sa neanche perché il suo occhio sia caduto sul giornale aperto sulla scrivania, ma adesso sta leggendo il titolo. Quella è l'ultima cosa che si sarebbe aspettata di leggere. O meglio, non che si sarebbe aspettata, ma che dannatamente avrebbe voluto.
"Il pattinatore Niall Horan rischia la morte per overdose. Ancora incerte le sue condizioni".
Il suo cuore inizia a battere più forte, il suo respiro velocizza e la canzone che gli perfora le orecchie diventa improvvisamente bassa. I suoi occhi si riempiono di lacrime e la mano va a stringere il suo petto. È come se lì dentro non ci sia più aria.
«Eveline? Sei ancora qui?»
La voce di Phil la spaventa e lei si volta di colpo verso la porta. Il vecchio uomo è visibilmente sorpreso di vederla in quelle condizioni.
«Stai bene?» le chiede infatti.
Indica il giornale sulla scrivania con la mano che le trema. Non sa nemmeno se riesce a parlare, ma alla fine emette un suono fievole: «Quanto è vecchio?»
«Il giornale? L'ho comprato ieri.»
Ieri. È stata così impegnata dai suoi molteplici lavori, che non ha nemmeno acceso la televisione. Ieri sera è crollata come un sasso senza sentire nessuno.
«Non ti starai mica preoccupando per quel pattinatore? Non che si possa definire tale. Forse un tempo... ma adesso è solo un ragazzo cafone e corrotto dalla vita da vip. Il pattinaggio non perderebbe nulla di eccezionale.»
Eveline non riesce nemmeno a rispondere. Afferra la sua giacca e vola fuori dalla palestra. Sì, ha decisamente bisogno d'aria. Ignora Phil che le urla dietro senza capire e i suoi borbottii che diventano sempre più lontani.
Sale in auto e tira fuori il suo telefono della tasca della giacca. Spera che internet le possa dare le risposte che vuole. Sa che non riuscirà a calmarsi fino a quando non sentirà che Niall sta bene.
Tira finalmente un sospiro di sollievo quando la prima notizia di quel giorno sul ragazzo dice: "Niall Horan fuori pericolo. La promessa di Finnick sul suo rapido ritorno in pista".
Non le è nemmeno difficile credere che il fratello maggiore degli Horan abbia davvero detto una cosa del genere. Finnick è sempre stato in quel modo, il pattinaggio messo sempre prima di ogni cosa, talvolta anche della salute. Quante volte aveva portato Niall agli allenamenti con addosso la febbre? Ovviamente senza allenare i lanci, perché rischiavano effettivamente di farsi male. Ma se c'è una cosa che Finnick non riesce davvero a tollerare è il malessere mentale. Nel corso degli anni Eveline era incappata spesso in Niall che piangeva negli spogliatoi, dopo crolli che suo fratello peggiorava soltanto.
Bisogna fare dei sacrifici e stringere i denti tantissimo se si vuole diventare un campione del mondo, non c'è tempo per la debolezza: queste le solite parole di Finnick.
Ad ogni modo, Eveline continua ad avere un fastidioso nodo allo stomaco. Da quanto tempo non vede Niall? Da quasi cinque anni. Dopo quella volta, quel ricordo fin troppo doloroso da riportare a galla, non ha mai avuto il coraggio di cercarlo di nuovo. E lui ha fatto altrettanto. Beh, come giudicarlo? Non dovrebbe neanche sentirsi tradita se lui ha intrapreso un'altra strada e se non ha mantenuto le promesse.
Ma lui è rimasto, non è stato codardo come lei.
Eveline sospira ancora e poggia la fronte sulle mani aggrappate al volante dell'auto.
In quel momento non può piangere, non può pensarci. Le basta sapere che Niall è vivo e stabile. Deve muoversi e proseguire la sua giornata. I cani di cui si occupa la stanno aspettando per essere portati a spasso, così i volantini che deve consegnare in giro per la città.
Dopo un pranzo veloce andrà alla casa di riposo in cui lavora nel pomeriggio e per cena, visto che è martedì, andrà a casa da sua madre. Ormai lei è l'unica famiglia che le resta, l'unica che non la critica in ogni momento, l'unica che sa di cosa possono e non possono parlare.
E anche se sia consapevole che Niall è uno degli argomenti off limits, non può fare a meno di tirarlo fuori non appena Eveline si toglie la giacca e si siede sul divano scomodo, subito dopo averle rifilato i soliti convenevoli su com'è andata la sua giornata. Convenevoli che interessano davvero soltanto a lei visto che è sua madre. «Eve, piccola, oggi è passata una notizia in tv.» cerca perfino di essere discreta, non lo nomina direttamente.
«Stai parlando di Niall, vero?» sussurra Eveline, senza nemmeno guardarla.
La donna annuisce e poi pone la domanda che sua figlia vuole che le venga rivolta: «Come stai?»
Come sta? Male. Perché dopo tutti quegli anni, per ogni cosa negativa che capita a Niall, lei continua a colpevolizzarsi. E anche adesso si sente in colpa.
«È vivo.»
«Parlavo di te, non di lui, piccola.»
Eveline scrolla le spalle, non riesce a dire una parola.
Karen a quel punto è pronta a cambiare discorso, vede perfettamente che sua figlia non è in grado di affrontarlo, ma prima che possa effettivamente iniziare a conversare di altro, la ragazza decide di tornare a parlare: «Lui è cambiato.»
«Questo lo sappiamo tutti, ma non è colpa tua, lo sai vero?» Eveline si chiede come sua madre riesca sempre a leggerle nel pensiero.
«Oh sì che lo è!» Eveline scatta immediatamente. Non sa nemmeno da dove abbia tirato fuori quella rabbia. Sua madre ha perfino sobbalzato spaventata. «Scusa.» dice subito con l'aggiunta di un sospiro, cercando di rimediare.
«Perché non provi a chiamare Finnick?»
«Per dirgli cosa? Chiedergli come sta suo fratello? A Finnick non interessa nemmeno.»
«Non parlare di lui in questo modo, tesoro. È suo fratello. È impossibile che non gli importi.»
«Allora avrebbe potuto fermarlo. Costringerlo a non usare quella robaccia.» non appena quelle parole lasciano la sua bocca si rende conto che suonano male. Stonano. Come avrebbe potuto forzare Niall a non...? «Dio mio, Niall si droga.» un singhiozzo involontario esce dalle sue labbra, prima che il resto delle lacrime facciano capolino sulle sue guance.
«Oh, tesoro.» sua madre la avvolge con le braccia e la tiene stretta, cullandola e cercando di confortarla.
La lascia sfogare per minuti che sembrano interminabili. È sempre così quando si tratta di lui. Ma sa che si calmerà e lo archivierà di nuovo. Quella volta è un po' diverso, certo, ma ha sviluppato grandi capacità al riguardo, quindi può farcela.
Le due donne si siedono a tavola, sebbene nessuna di loro abbia fame. Giocano con il cibo, mangiucchiano e chiacchierano del più e del meno. Buon inizio per distrarsi. Peccato solo che non la distragga davvero. Nei giorni seguenti, l'unica cosa che fa è controllare tutte le notizie che riguardano Niall.
"Finnick Horan dichiara: mio fratello non è un drogato, la sua riabilitazione sarà rapida".
"Niall Horan fuori dall'ospedale, la famiglia richiede privacy per una migliore ripresa".
Divertente come ogni giornale desse la sua versione dei fatti, come Finnick continuasse a fingere che suo fratello non avesse alcun problema e come lei pescasse ogni giorno il numero di telefono del maggiore degli Horan, fin troppo tentata di far partire quella chiamata.
Ad ogni modo, riesce sempre a frenarsi. E pian piano, la sua mente si sposta altrove così come i giornali che non danno più notizie di Niall.
Due mesi. Due mesi in tutta tranquillità.
«Daniel continua a farti il filo, tesoro. Dovresti dargli una possibilità. Hai venticinque anni. Alla tua età avevo già sposato il mio secondo marito. E poi Daniel è bello come il mio primo di marito.» la signora Shade gongola come sempre su una sua ipotetica storia d'amore, ma solo perché le ricorda la sua.
Eveline sorride. È vero, Daniel le fa il filo, ma è troppo timido per dichiararsi davvero. Daniel è l'infermiere che si occupa dei pazienti della casa di riposo in cui lavora. Ed è talmente goffo e in imbarazzo con lei che balbetta e si confonde quando le dice quali pillole la signora Shade debba prendere e in quale ordine. Eveline spera solo che non sbagli e non la uccida un giorno, o qualcosa del genere. In realtà lei non avrebbe nemmeno le competenze per darle quei farmaci, ma la vecchia signora è cocciuta e si fida soltanto di lei. Da tutti gli altri lì dentro non accetta proprio nulla, poiché a suo dire complottano con lei perché la credono comunista. Eveline non si è mai nemmeno chiesta se sia davvero di quel partito o meno, o se lo fosse da giovane, non importa, adesso è semplicemente un'innocua donna avanti con l'età che adora parlare dei suoi ricordi, precisamente dei suoi quattro mariti.
«Ho già un fidanzato a casa, signora Shade.» non sa perché continua a dire quella bugia. O meglio, lo sa ma non vuole accettarlo. Da anni non riesce ad instaurare nessun rapporto con un uomo, è spaventata da loro e insicura. Precisamente da quando... insomma, precisamente dopo Finnick.
È rimasta sola. Nemmeno un'amica. Ma come potrebbe farsi delle amiche? Lei non è brava con loro. Lei non... blocca il suo cervello, prima di cadere in una voragine senza fine. Anche quello è passato. Tutto ciò che riguarda Niall, lei, Finnick e il pattinaggio, con Eveline non hanno più niente a che vedere. Stanno dietro alla porta spinata con la targhetta Passato.
E allora perché è come ancorata a quella porta? E allora perché non riesce davvero ad andare avanti?
Il suo appartamento ha ancora le foto appese alle pareti, che ogni giorno si sofferma a guardare. Forse dovrebbe toglierle e riporle in una scatola dentro all'armadio, ma proprio non ci riesce.
Non che ci stia così tanto a casa. Cerca sempre di tenersi impegnata il più possibile.
Perfino nei weekend, quando lavora come cameriera in un pub fino all'alba.
A volte - il più delle volte nel suo caso - il destino si comporta in modo davvero stronzo con lei. Come quella domenica proprio all'interno del pub in cui lavora.
Sono passati esattamente due mesi da quando Niall è uscito dall'ospedale. E adesso eccolo lì, seduto ad uno dei tavolini con una donna.
I suoi capelli biondo scuro sono lunghi, più di quanto li abbia mai avuti. Il suo viso è pallido e un po' più magro, sotto agli occhi delle ombre appena accennate, residui di poche ore di sonno. Ma nonostante ciò sembra stare bene. Forse le sue spalle sono un po' più curve del solito, così come la testa sempre tenuta china, ma dopotutto è vivo. Ed è proprio lì. Con una camicia sbottonata più del dovuto e dei pantaloni scuri che mostrano chiaramente il suo fisico perfetto da sportivo.
Dio, è un bene che non si guardi mai intorno quel ragazzo, perché Eveline riesce a fregare il destino e prima di rischiare di essere vista si infila nel retro del pub, inventando la scusa di stare male e pregando la sua collega in pausa di finire il turno al suo posto.
Dopotutto non è una vera e propria scusa, visto che non appena si è resa conto di essere di nuovo tra le stesse mura con Niall Horan dopo anni, le sue gambe hanno iniziato ad essere deboli, le sue mani a tremare e il cuore a battere forte. Ha rischiato perfino di rompere un bicchiere. Non si è neanche preoccupata di vedere chi fosse la donna seduta al tavolo con lui.
Ad ogni modo, deve pagare la sua collega affinché accetti e fugge a casa. Credeva di essersi sbarazzata degli Horan. E va bene, quello è stato solo un caso, una coincidenza, ma quando la mattina dopo si sveglia con il telefono che squilla, è davvero stupida a rispondere con gli occhi chiusi, senza nemmeno guardare chi ci fosse dall'altra parte.
«Pronto?» la sua voce è ancora impastata dal sonno, ma a chi l'ha svegliata non sembra importare.
«Eveline?» Finnick.
La ragazza salta praticamente a sedere, i suoi occhi adesso spalancati. Non riesce a dire una parola.
«Aspetta, non riattaccare. So che sei lì... io...» è strano perfino sentirlo parlare in modo così incerto. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
Non sa dove riesca a trovare il coraggio per tornare a parlare. «Il mio?»
«Sì.»
«Di cosa stai parlando?» come se già non lo sapesse.
Un sospiro dall'altro capo del telefono. «Sto parlando di Niall.»

Cold Heart ●Niall Horan●Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora