Per mano

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È successa una cosa, quest'estate. Una cosa che non avevo mai fatto prima, per pigrizia probabilmente, o per paura.
Ero un po' più sola, da qualche giorno.
Un po' più sola, non completamente sola -anche se mi ci sentivo, ma sarei un'ingrata se lo dicessi a voce alta. O lo mettessi nero su bianco-.
Un po' più sola, insomma, solitudine scelta e ponderata a lungo.
Intorno a me solo il vuoto che riempivo con i ricordi di ciò che era stato e che avevo appena voluto lasciare.
E il vuoto è tentatore.
Ti fa credere che qualcosa sia meglio di niente.
Ti porta ad accettare il mediocre senza aspettare il sublime.
Il vuoto che temiamo di riempire coi rimpianti. Perché è la paura del rimpianto, più che il rimpianto stesso, a farci sbandare.
Ed è in quel silenzio che premeva sul mio stomaco, in quel cosa farò? che occupava tutti i miei pensieri, che ho iniziato ad avere paura.
Non del vuoto, non del silenzio, non del futuro: di me.
Di nuovo.
E allora ho preso la pigrizia e la paura in mano e le ho poggiate sul comodino. Vicino alla sveglia appena puntata alle 5.30 del mattino.
Quando l'ho sentita suonare, la tentazione di voltarmi di nuovo era forte. La voglia di crogiolarmi nella noia era fortissima.
Ma non più di me.
Quindi l'ho spenta, ho acceso la luce, ho infilato i primi vestiti che ho trovato dentro l'armadio e ho raccolto la pigrizia e la paura, che erano ancora lì, dove le avevo messe io -e figurati se se ne vanno da sole-.
Le ho prese e portate con me. Pesavano.
A volte pesano ancora, perché sono ospiti che tornano a bussare alla tua porta, qualche volta.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che finalmente mi sono voltata a guardarle, il punto è che finalmente le ho prese per mano e portate con me.
Qui.
Ed è da qui, che ho ricominciato.

 Ed è da qui, che ho ricominciato

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