•Atto II•

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[L'animo di Ignifero ]

Da quello che avevano potuto constatare, sul volto di nessuno si era dipinta un'espressione di pura sorpresa, paura o confusione per il fatto che il ragazzo fosse tranquillo al suo posto invece che da qualche parte morto.

«Bene, dato che sono appena finite le vacanze di Natale che ne dite di fare qualcosa di leggero per la prima lezione? » chiese con voce allegra e un sorriso gentile la professoressa di psicologia sedendosi sulla cattedra.

I lunghi capelli biondi erano raccolti elegantemente per poi lasciare libero qualche sbarazzino ciuffo di capelli che leggiadro le ricadeva lungo i lineamenti delicati, gli occhiali fini di un oro brillante incorniciavano il suo sguardo azzurro dandole un aspetto serio e professionale tradito, però, dal volto giovanile e le labbra contratte in un sorriso quasi infantile.

«Qualcuno vuole parlare? » chiese lei mentre gli studenti la osservavano chi con noia chi completamente perso nel proprio mondo; la donna sospiro sistemandosi la montatura per poi rivolgere un sorriso mesto nella direzione del moro dagli occhi verdi.

«John, ti dispiacerebbe dirmi cos'è l'amore? » «L'amore è una reazione chimica che avviene nel cervello umano dovuta alla stimolazione sul piano olfattivo e visivo che può impiegare dai cinque agli otto secondi per essere generata, questa scatena degli impulsi elettrici che vengono propagati fino all'emisfero delle emozioni del nostro cervello convertendo questo impulso in sensazioni emotive e fisiche » spiegò senza cambiare tono di voce, senza una vera e propria espressione o parere.

«Come sempre hai ragione sul piano scientifico la su quello sentimentale cosa mi dici? » «Non ho elementi sufficienti per generare una risposta » disse il ragazzo facendo qualche istante di pausa che nessuno notò, nessuno tranne Mefisto che si stava davvero impegnato per decifrare quel ragazzo intricato e complesso.

Forse qualche desiderio che neppure egli stesso conosceva lo celava in qualche angolo oscuro della sua anima appassita e degradata, forse lui, come ogni creatura umana degna di questo nome desiderava sperimentare cos'era l'amore ma no, quello che voleva probabilmente era solo essere un minimo simile agli altri, forse voleva solo sentirsi umano pensò il demone.

«John, davvero, mi chiedo perché tu non parlo mai della tua famiglia, anche quello vale come amore » «Non è qualcosa di necessario e desidero che lei rimanga lontana dalla questione poiché non mi è un argomento gradito, la ringrazio » rispose questa volta con tono leggermente cupo e freddo, freddo come la neve che ancora ricopriva le stradine di quel piccolo paese.

Nell'ora successiva entrò una donna fiera, mostrava un volto giovane eppure aveva lo sguardo di qualcuno che ha vissuto molto e che da tali esperienze ha imparato più di quanto l'età stessa, con la clemenza di una vita dolce, le avrebbe mai potuto rivelare.

I capelli erano ricci e di un rosso tanto vivo da ricordare quello del sangue, la pelle era bianca come la neve appena caduta dal cielo, gli occhi erano di un tempestoso e freddo grigio pieno di misteri che non sarebbero forse mai stati rivelato dalle sue labbra strette ma carnose tinte di un rosa pesca.

Il suo fisico perfetto si muoveva sinuoso mostrando la sua femminilità di cui pareva tanto orgogliosa; riusciva ad essere donna con decoro ed indossando una semplice camicia nera in tinta con la gonna a tubino che la faceva sembrare ancora più snella e alta di quanto già fosse; era una donna nel vero senso della parola ed era bellissima, senza dubbio.

Si sedette senza mai rivolgere lo sguardo alla classe di studenti ammutolita dalla sua figura leggiadra e quasi irreale allo sguardo ammaliato della massa di studenti, fatta eccezione per il demone e il ragazzo senza emozioni.

Quando finalmente gli occhi freddi della donna scivolarono sui vari banchi dell'aula e quando, più precisamente, raggiunsero gli occhi privi di vitalità e luce di Ignifero ella divenne più pallida di quello che già mostrava, i suoi occhi si spalancarono e si volarono di lacrime trattenute mentre le sue piccole labbra si aprirono per lasciar uscire un verso strozzato.

Era chiaro come quella bella creatura quasi fatata fosse in preda alle emozioni e alla commozione e nessuno riusciva a spiegare quella sua improvvisa reazione nell'osservare quel ragazzo così freddo e vuoto, molto simile ad una bambola e molto distante da un essere umano.

Ella sbatté il palmo sulla cattedra, probabilmente senza volerlo, si alzò di scatto e percorse la classe a gradi falcate prima di arrestare quella sua camminata impetuosa davanti proprio al ragazzo che la osservava senza nulla nello sguardo, non c'era nulla di diverso nel suo aspetto o nel suo animo rispetto a come era sempre stato.

Una mano lunga e curata di lei scivolò lungo la guancia morbida ma gelida di lui che non ebbe reazione, la osservava semplicemente senza chiedere ne porsi domande perché dal suo punto di vista quello che ella stava facendo non era nulla di rilevante per lui.

«O mio Dio, stai bene » disse la donna con voce incrinata quasi fosse stata ad un passo dallo spezzarsi come un bicchiere di cristallo che viene lasciato scontrarsi con violenza contro il pavimento, sembrava proprio che la donna avesse un profondo legame con lui data la sua reazione eppure lui non condivideva lo stesso con lei.

Lui non aveva legami.
Lui era solo.
Neppure egli stesso desiderava avere un vero legame con se stesso, lui che era privo di emozioni, sentimenti e quelle cose che lo avrebbero distinto da un machino.

Lui si distingueva dalle tante bambole esistenti nel mondo da un piccolo dettaglio, lui era dotato di un anima e quindi di una coscienza e dunque di un cuore che gli procurava vita.

«Potresti venire fuori con me un attimo, desidero ardentemente parlarti, John » chiese lei allontanando lentamente le dita frenanti dal suo volto per poi portarle all'altezza del cuore.

Lui la seguì fuori e dopo appena due minuti furono nuovamente nella classe sotto lo sguardo confuso degli altri, sotto gli occhi avvelenati di odio e repulsione nei confronti del ragazzo.

Non capivano perché trattava in quel modo qualcuno che a loro avviso non lo meritava, qualcuno che non riuscivano a non odiare e che allo stesso tempo non protestava, non diceva mai nulla ne si ribellava alla loro quotidiana violenza.

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