•Atto I•

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[Il cammino dello sperduto ]

Un freddo che il suo corpo non era mai arrivato a percepire lo invase destandolo dall'incoscienza generata dalla morte che lo aveva trascinato, con tutte le sue ferite e le sue cicatrici,  in un buio profondo ed infinito a lui non così ignoto.

Quel nero minaccioso che lo circondava minacciava di divorare la sua anima già distrutta e sgretolata dalla crudeltà del fato e dalla brutalità di chi lo aveva privato dei tanti respiri che ancora avrebbe potuto fare.

Quella pura oscurità non gli era nuova e presto lo comprese: quello era l'aspetto, la forma che aveva il suo dolore, la sua anima affranta che mai aveva sperimentato il tiepido calore piacevole e confortevole, che mai aveva osservato le sfumature vive e cangianti che era possibile ottenere della propria esistenza perché a lui era stata negata ogni gioia.

Ricordava vagamente il triste procedere della sua mesta vita, di come sua madre lo avesse abbandonato in una strada fredda e umida ancora troppo piccolo per reagire o chiamarla, capace solo di piangere ignorando il male che lo aspettava.

Presto, mano a mano che la nebbia nella sua mente si affievoliva e tutto si faceva più chiaro, delle lucenti, gelide e strette catene argentee spuntarono fuori da quel denso nero che lo avvolgeva con un frastuono metallico per poi avvinghiarsi al suo corpo facendo tornar quel dolore insopportabile.

Non solo in vita ma anche in morte era costretto a vagare nel nulla ferito dai pesi della sua vita indegna senza meta, nell'ignoranza riguardo a ciò che crea luce e calore nel cuore delle persone, ciò che rende umani.

Ormai non si contorceva più sotto quel terribile dolore, ormai non urlava più a causa del lacerarsi delle sue carni e così della sua anima, ormai non piangeva più a causa del cuore distrutto che dolorante implorava per qualcuno che avesse la pietà di notarlo e rammendarlo.

Ormai quelle catene, tutti i suoi tormenti, i suoi rimpianti e l'oscurità che lo avevano ridotto a frammenti spezzato, vuoti e privo di ogni bagliore anche tenue non erano più un problema, come potevano esserlo quando si era rassegnato a passare il resto del tempo che gli rimaneva fa vivere in agonia.

Ignorando il dolore ad ogni movimento, la pelle che veniva stretta e tagliata sempre di più e i rivoli di sangue scarlatto scivolare e macchiare il pavimento oscuro iniziò a camminare casualmente senza aspettarsi nulla.

Gli occhi privi di vita, come erano sempre stati da quando aveva preso coscienza di se, avevano osservato attentamente l'orizzonte per notare il nulla assoluto circondarlo; in quel luogo pareva esservi lui solo con le sue catene e il loro sinistro suono metallico prodotto ad ogni piccolo movimento.

Poi una luce, brillante, calda e radiosa investì quel luogo qualche passo più avanti, lui vi posò lo sguardo sconcertato ma come si era sempre ripetuto e come fermamente pensava disse « Chi nasce nell'oscurità muore in essa così io, nato nell'errore e nello sconforto terminerò la mia esistenza nel nulla freddo e privo di luce poiché io mai fui concepito per toccare luce alcuna » dopo aver espresso il suo pensiero, credendo di aver solamente immaginato quelle frasi, si allontanò dalla luce.

La stanchezza lo pervase dopo un tempo interminabile nel quale aveva avanzato, forse in linea retta, forse in fondo o forse a linee spezzate ma ignorò anche questo, se c'era qualcosa in cui era bravo era ignorare se stesso, il suo dolore e i lamenti del suo corpo solcato da segni di battaglia, la guerra della sia vita.

Proseguì con passo lento, ciondolante e con il volto basso che ondeggiava ad ogni passo, ricurvo sotto il peso che si trascinava dietro, perso in quel luogo che forse sarebbe stata la sua prigione eterna, sorte a suo parere più lieta della vita che aveva condotto poiché solo e lontano dall'ipocrisia della società o dalla sua inspiegata crudeltà verso chi si mostra di vera.

Si fermò però quando sentì di essere venuto a contatto con una superficie più fredda e dura in un impatto non troppo violento data la sua pacata andatura; fu allora che alzò lo sguardo notando due colonne alte come mai ne aveva viste, erano di un grigio scuro con delle scanalature a distanza regolare di un centimetro, queste terminavano con dei capitelli in stile dorico e parevano sorreggere una lastra fatta d'oro.

Sembravano due uomini possenti che portavano con fatica sulle loro spalle muscolose un peso importante di un oro che non avrebbe mai brillato poiché questi era nascosto alla vista del sole brillante o da qualsiasi luce anche debole in quel luogo fatto di nulla.

Una voce cupa, maschile e solenne giunse alle sue orecchie costringendolo a distogliere la sua attenzione dall'opera architettonica in stile antico sulla quale aveva potuto posate i suoi occhi rapiti e si costrinse ad ascoltare le parole pronunciate da una figura che probabilmente non avrebbe mai incontrato.

«Qualcuno è giusto fino a qui, questo è inaspettato sopratutto per un umano » la voce fece una pausa mentre un fruscio assordante prendeva posto del silenzio che lo aveva accompagnato «Tu ti trovi davanti alla porta che separa la morte dalla vita, attraversarlo e vivrai ancora, dimmi il tuo nome e lo aprirò per te » disse la voce con tono freddo.

Lui non rispose, la verità che si celava nel suo cuore era il desiderio di non ritornare più alla vita, di non dire mai più il proprio nome nella speranza che questi venisse dimenticato poiché aveva letto, tempo fa, che se nessuno ricorda il tuo volto ed il tuo nome allora smetti di esistere una volta morto, allora scompari e non ci sarà nulla ad aspettarti.

Il ragazzo si voltò dando le spalle alla costruzione per poi riprendere a camminare senza parlare, nonostante il frusciare non fosse diminuito non sembrava allarmato, in realtà era impossibile leggere una qualsiasi emozione sul suo volto pallido o dai suoi occhi verdi, spenti.

Questa volta il suo percorso venne bloccato da un uomo alto, muscoloso, i capelli talmente neri da confondersi con tutto il resto, due occhi di un giallo sfavillante e due corna grandi sempre colore pece che gli si era parato davanti.

La voce che uscì dalle sue labbra era calda, soave e provocatoria ma questo non importava a lui, non gli importava più di nulla se non la durata della sua sofferenza e questo già da molto tempo nonostante il ragazzo avesse appena diciotto anni.

«Quelle catene sono i ricordi della tua vita, quelli dolorosi impressi nella tua anima... » «Non voglio saperlo, non mi interessa » «Cosa ti interessa allora » «Per quello che desidero mi basta continuare a tacere in questo luogo » disse sorpassando la figura eccessivamente alta per proseguire nel suo intento, volevo svanire.

«Voglio proporti un patto, io posso donarti di nuovo la vita in modo da liberarti dai tuoi tormenti ma se non scopri chi ti ha ucciso e perché divoreró la tua anima » «Se divori la mia anima sparirò? » chiese «No, vivrai comunque in me ascoltando le emozioni di chi ha accettato questo patto » «Non mi interessa » rispose perndendosi ancora nel nulla della morte.

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