Parte II. Capitolo 1

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Ricordo ancora il sottofondo di We are the champions dei Queen ed una carta la quale portava solo un nome.
Il nome del vincitore.
Ricordo le luci, il palco del serale ed il pubblico che, in silenzio, attendeva il fatidico verdetto.

Fatidico verdetto che aspettavo da otto mesi.

Sentii, dall'altro capo dello studio, la voce di Maria.
"Il vincitore di Amici 18 è..."









Due anni dopo.




POV'S TISH.

Stamattina con il sole era bella anche Milano scriveva Coez in una sua canzone. Effettivamente, il sole a Milano, era una vera rarità. Qualcosa di raro ha un certo fascino, è sempre più bello. Impegniamo una vita nell'essere uguali agli altri, a seguire le stesse mode, gli stessi generi di musica. Ci facciamo foto sempre negli stessi posti ed immortaliamo, tramite le Instagram stories continuamente gli stessi momenti.

Colazioni con amici, torri di libri da studiare e re-postiamo frasi d'amore.

Potremmo definirci una generazione di poeti romantici mancati omologati.

Io, ad esempio, stamattina avrei immortalato volentieri gli scatoloni pieni di roba da portare nella mia nuova casa a Milano. Dopo un anno passato in giro per la promozione del mio disco avevo deciso di fermarmi per un po'. L'università sarebbe stata la giusta medicina per l'anno sabatico dalla musica che avevo deciso di prendermi. Ecco perché Milano, ecco perché gli scatoloni, ecco perché una nuova casa.

Ricominciare tutto di nuovo da capo.

La ricerca di una stanza, nella capitale della moda, si era rivelata un'impresa a quanto ardua. Trovare un luogo confortevole e spazioso, non a caro prezzo, quasi vicino l'università in modo da poterla raggiungere a piedi o in bicicletta, portava con sé un'alba di requisiti che sicuramente non avrei mai ritrovato tutti insieme in un unico appartamento.

Poi però, ho incontrato Carlotta.

Carlotta, terzo anno di giurisprudenza alla Cattolica, una testa dai lunghi capelli biondi e piena di sogni. Determinata, testarda e forte. L'avevo incontrata per la prima volta in un bar a Milano. La notai immediatamente, anche se credo fosse impossibile non notarla. Indossava un lungo cappotto color cammello in stile vestaglia/accappatoio da casa, pantaloni neri stretti ed una paio di stivaletti dello stesso colore. Sorseggiava un cappuccino, di cui la parta superiore della tazza, si era in parte colorata del suo rossetto violaceo, che spiccava sul suo viso bianco. Sul tavolo c'era un cornetto mangiato a metà ed un telefono a cui non sembrava dare particolare importanza, dato che i suoi occhi erano costantemente puntati sulla lettura serrata di un manuale di legge. Sicuramente era in procinto di dare qualche esame.

Ci incontrammo lì, tutte le mattine, allo stesso orario, per quasi cinque giorni di seguito. Al terzo giorno mi aveva notata ed al quarto mi aveva accennato un sorriso. Molto probabilmente le stavo simpatica. Mentre lei sedeva sempre nello stesso posto vicino alla grande vetrata, io preferivo il bancone. Lei vestita in maniera raffinata ed elegante, io come una dodicenne pronta per la gita scolastica al museo archeologico. Lei manuali e libri polverosi, tutti in ordine nella sua grande borsa. Io una cartellina, di un colore improponibile, con fogli sparsi qua e là. Eppure nonostante fossimo così diverse in apparenza, mi sembrava di poterne sentire gli stessi pensieri.
Il bar, che solitamente, frequentavamo era gestito da una famiglia pugliese migrante nel capoluogo lombardo. Una famiglia abbastanza numerosa formata da cinque figli, tre dei quali lavoravano ne bar stesso, aiutando i loro genitori, con lo scarico delle merci ed alternandosi con i turni. Con Antonella, matrona della famiglia, avevo stretto già un rapporto confidenziale, nonostante fossero solo cinque giorni che effettivamente avevamo fatto conoscenza. Nel sentire Antonella chiedermi se finalmente avevo trovato una stanza, la futura avvocatessa si alzò dal suo tavolo e raggiunse il bancone nel quale sorseggiavo ancora il mio bicchiere di latte bianco.

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