Capitolo 14.

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"E' solo l'uscita di Arianna che ti rende così triste? Oppure c'è qualcos'altro?"

Alberto era seduto di fronte a me e non aveva potuto non notare il mio umore totalmente spento.

"No, mi ha chiamato mio padre. In realtà sono due giorni che mi tempesta di telefonate e messaggi".

"Cosa vuole da te?" mi chiese tenendo lo sguardo basso intento a tagliare l'ultimo pezzo di carne che stava mangiando.

Alberto sapeva benissimo che mio padre aveva un'altra famiglia e che di conseguenza, per quanto mi fosse possibile avevo cercato di interrompere ogni rapporto con lui.

"Vuole che vada da lui, a casa sua qui a Roma, per una cena con la sua nuova famiglia. Io non ci andrò mai, ovviamente".

"Ricordati che è sempre tuo padre".

"E con questo? Solo biologicamente parlando. Per il resto non me ne faccio niente dei soldi che mi manda ogni mese, anzi gli dirò che è una cosa di cui adesso non deve più preoccuparsi".

"E non hai paura del tempo che passa? Di quanto possa essere imprevedibile la vita?".

Ecco adesso incominciavano i suoi discorsi, talmente giusti, che mi avrebbero portato a far ragionare.

"Intendo dire. Pensa a tutte quelle persone che un padre non ce l'hanno più. Tu, almeno, puoi ancora parlargli, puoi chiedergli un consiglio, sai che avrai sempre un punto di riferimento".

"Per me, mio padre, è morto due anni fa, Alberto, quando non ci ha pensato due volte a lasciarci. Lui non è un punto di riferimento. Mia madre e mio fratello lo sono. Lui no".

Alberto aveva una bella famiglia. Un bella famiglia unita. Lui, per quanto si sforzasse di starmi vicino, non poteva capire quanto facesse male. Non era un fardello che portava lui sulle spalle, ma io. Ero sicura che se l'avessi detto a mia madre, buona e misurata com'era, non mi avrebbe mai negato di andarci. Ma non potevo farle questo. Quella non era la mia famiglia. I suoi nuovi figli non erano i miei fratelli e la sua nuova compagna non era la mia matrigna.

"E se venissi con te da tuo padre? Non c'è bisogno che mi presenti come il tuo fidanzato, potresti dire che sono un tuo importantissimo amico" mi chiese sottolineando in maniera scherzosa la parola importantissimo.

Non sarebbe stata una cattiva idea, con lui mi sarei sentita più sicura ed a mio agio.
Ma non era giusto incastrare Alberto in qualcosa che non gli apparteneva.

"Meglio se ordiniamo il dolce".




Una nuova settimana di lezioni era cominciata ed io ero concentratissima sui brani assegnati, grazie ai quali riuscivo a non pensare a tutto quello che stava succedendo intorno a me.
Serena, mio padre, e la paura che prima o poi qualcuno più bravo di me sarebbe entrato e addio amato banco. Se fino ad adesso avevo viaggiato in terza, non bastava più. Dove aumentare la marcia, salire in quinta.

Impegnarsi e concentrarsi.

Il troppo stress, però, cominciò a farsi sentire ed i primi effetti si manifestarono sul mio corpo. Sfoggiavo da qualche giorno un colorito abbastanza smorto, paragonabile a quello di Rose di Titanic quando fu recuperata dalle scialuppe di salvataggio. Il correttore non riusciva a coprire le mie occhiaie ed il tutto era accompagnato da una sensazione perenne di stanchezza.

Totalmente il mio opposto era Serena, che sfoggiava il suo colorito roseo, i suoi lunghi capelli profumati al cocco ed il suo sorriso perfetto. Tutte armi che avevano attirato l'attenzione del settore maschile della scuola. Addirittura, Marco, avendo saputo del passato con Alberto, aveva chiesto a quest'ultimo il permesso di corteggiarla esordendo con un "Oh fratè ce posso provà?" , ed Alberto dopo essersi fatto una grande risata, acconsentì non mostrando alcun interesse.

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