Capitolo 17.

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Quando ero piccola avevo paura. Con le tenebre tutto assumeva una forma diversa. La pila di vestiti poggiati sulla sedia, l'armadio o i dolci pupazzi fissi sulla mensola, assumevano le sembianze di grandi mostri pronti a divorarmi. Nonostante avessi paura, però mi sentivo forte, perché avevo al mio fianco, il mio supereroe.

Il mio papà.

Ogni sera prima di andare a dormire mi stringeva forte la mano sussurrandomi di essere forte e coraggiosa.

Tu puoi combattere tutto, puoi sopportare tutto, perché sei una bambina speciale mi ripeteva sempre.

Con il passare del tempo, mio padre, mi fece scoprire la musica. Quando festeggiavamo il natale Ortodosso o i compleanni amavamo esibirci con le nostre canzoni preferite. Lui mi accompagnava con la chitarra ed io ci cantavo sopra accennando un balletto, del quale, puntualmente, mio fratello faceva l'imitazione prendendomi in giro. Mio madre rideva e poi correva verso mio padre lasciandoli un bacio a stampo per dirgli quanto era stato bravo.

Mio padre a mia madre di canzoni ne ha cantate tante.

Poi un giorno, tornando da scuola, corsi nella camera da letto per salutarlo. Ma lui non c'era. Nel suo armadio non c'erano più i suoi vestiti ed in casa non c'era più il suo profumo. Non aveva lasciato nulla di lui, ad eccezione di un biglietto:

Con la mamma le cose si sono un po' complicate, ti chiamo appena posso, così ti spiego tutto. Tu puoi combattere, puoi sopportare tutto, perché sei una bambina speciale. Ti voglio bene, Tatjana.

Quella telefonata arrivò troppo.

Mia mamma, trattenendo le lacrime ed accennando meri sorrisi, mi aveva già spiegato tutto ed io, mi rimboccai le maniche per non lasciarla mai sola. Qualche volta la sera dormivo, nel lettone, con lei e la stringevo forte. Forte. Fortissimo.

Solo Dio sa, quanto avrei voluto un suo abbraccio in questo momento.

Avrebbe risanato qualche pezzo di cuore andato in frantumi, che avevano causato le parole di Alberto. Nell'ascoltare quelle parole mi sono sentita esattamente, come quel giorno in cui tornai da scuola e non trovai più le camicie di mio padre ordinate per colore.

Incredula. Delusa. Arrabbiata.

Morale della favola: la mia vita era costellata da pezzi di merda e da persone che al momento opportuno, avevano la straordinaria capacità di andare via.

Mi alzai dal letto già stanca e con la testa pesante. Mi avvicinai allo specchio e notai immediatamente i miei occhi gonfi.

Immaginavo, avevo pianto per tutta la notte.

Corsi velocemente in bagno per una doccia calda, cercando di alleviare la stanchezza, i brutti pensieri e di ricominciare una nuova giornata.

Sarebbe stata una giornata dura. Sarebbe stato duro fingere. Sarebbe stato duro cercare di non incrociare il suo sguardo. Sarebbe stato duro passargli accanto e sentire il suo profumo. Sarebbe stato duro non stringergli più la mano e sarebbe stato duro non baciarlo più.

Mi risuonavano in testa le parole di mio padre.

Ma davvero ero così forte da sopportare tutto?.

Io? Che mi sentivo totalmente frantumata?.





La giornata nella scuola era cominciata proprio con le prove del duetto.

"Ascoltami cerchiamo di essere professionali e di portare il punto alla squadra. Non mi toccare, non mi guardare e non mi sfiorare. Canta e basta. E cerca di farlo bene. Per il resto, per me, è come se non esistessi".

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