Brina

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1.Sogno 

Scrivo sul tempo una recita: sono sotto un diluvio, ma la pioggia non riesce a penetrare i miei indumenti. Non sfiora la mia pelle e mi sento così asciutta e arida che quasi mi fa paura questa secchezza che provo.

Questo senso di smarrimento che nutro nei confronti del mio corpo, dei miei arti e della mia mente. Sta piovendo ancora, ma io non riesco a bagnarmi, a trascendere; a plasmarmi con quelle gocce d'acqua così invitanti ed esaustive, che vorrebbero bagnarmi gli occhi, scendermi sulle labbra e morire sul mio collo stanco e secco.

E ci provo, ci provo a bagnarmi; tento di farlo in tutti i modi. Cerco di prendere quel diluvio e spostarmelo addosso; cerco di isolarmi con esso, ma è sempre lui che si isola da me e dal mio mondo. Vorrei che, per quanto fosse immenso e pesante, mi spezzasse il collo.

Vorrei che, velocemente e senza salvaguardia, invesse sul mio ventre, sul mio costato. Per togliermi il respiro o almeno ciò che resta del mio fiato.

Il diluvio passa, seguito da un'orda disperata di lamenti; voci che non conosco, che urlano, strillano, che mi spaccano le orecchie. Dolori che non riesco a percepire, che non riuscirei nemmeno a farmeli entrare nelle tasche.

Dolori che vorrebbero entrarmi nelle orecchie come una musica snervante; ma la mia voce tremula e finta, riesce a lavare tutto ciò che ha attorno.

Urlo anch'io e non conosco il tempo perso che c'è dietro ogni mia corda vocale che si brucia e che si consuma.

Vedo me stessa: mi sento schiava, cavia di questa dimensione e di tutto ciò che si è insidiato dentro di essa.

Sto piangendo, non posso sfiorarmi.

Ho le guance gronde di pianto e mi sento dannata, maledetta.

Non riuscivo a sentire quella pioggia, non riuscivo a sentirmi parte di quel diluvio, ma posso osservare le mie lacrime addosso ai miei zigomi che bagnano le impressioni, le emozioni e lo sguardo.

Come se fosse questa l'unica mia percezione di essere ancora in vita; come se fosse questa la corda che mi tira dentro la mia vita, che mi ricorda che sto solo sognando; che è solo una notte e che non brillerò mai di arte, ma soltanto di mancanza.

La mia dimensione è un brivido, come un calcio in faccia; fa così male restarci intrappolata, che la vivo solo quando sogno.

E' sempre nera, macchiata di un qualcosa di cui non riesco a percepirne la sostanza e mi fa sentire così sporca, così annientata che non mi basterebbe rimanerci neanche anni, per comprendere cosa ci sia dentro questo ambiente.

Perchè dentro di me, io lo sento che questo è un ambiente finto, ma ho paura, che per quanto sia finto, esso, sia il teatro nascosto dentro la mia psiche. Che esce soltanto perchè ha bisogno di soccombermi; di agire, di darmi i colpi in testa.

E inizia a logorarmi da dentro, sento il mio personaggio disgregarsi taglio dopo taglio; sento che mi stanno aprendo il fegato, mi sento affaticata.

Sto perdendo bile, che si amalgama al mio pianto, che trasforma i miei occhi, che li divora. Li guida verso il nulla, verso la sua dimora.

La dimora di una mente schiava, dove sarebbe più facile scoppiare piuttosto che restare inerme, se fosse possibile; dove sarebbe più facile ascoltare che postare mancanze -se ancora tutto questo fosse possibile- dove ci sono solo io, la mia pioggia, il mio pianto, la mia bile, le mie paure, le mie strofe, i miei canti silenziosi, i miei brividi persi e nascosti, i miei resti che si annientano uno dopo l'altro. Le mie liriche, il mio personaggio che non riesco più a fingere.

Ma strillo più di questa musica che inizia a suonare proprio adesso.

Strillo dietro il suo spartito e sputo sui Do, sui Re, mi addormento sui Sol, mi sento scoperta con i Mi e impaurita con i La.

La sento che suona dentro e fuori di me, mi ruba perfino i pensieri, perfino la bile si porta via. Mi prosciuga il sangue, le parole, ma non la voce. Urlo, urlo, urlo.

Aspetto qualcuno.

Chiunque possa sentirmi dentro questo mondo fottuto e solo.

E' come se potessi uscire dal mio corpo, ogni volta che io lo desideri; come se continuassi a spaccarmi in faccia un monologo per ore ed ore, così screditato da dover per forza scappare.

Mi osservo e mi trovo mutata; nello sguardo, a volte sembro quasi appagata, ma poi torno ad essere arrabbiata e inizio ad inveire contro non so nemmeno chi.

Attorno ci sono tante ombre, non mi fanno paura. Non mi smuovono nemmeno.

Mi hanno già ucciso i contenuti, non possono uccidere altro.

Potrei perdere il mio corpo, la mia mente, i miei capelli, la mia tristezza, ma quasi mi farebbe piacere.

Perderei il mio personaggio che viaggia nel tempo da più di vent'anni.

Torna a quando era ancora una bambina, che voleva fottere il mondo; quest'ultimo infame che ha finito per fottere lei.

Torna a quando ha perso il sorriso, le espressioni. Torna a quando riusciva a immedesimarsi con la pioggia, con la natura; quando perfino pensava di poter comandare il vento, di cantare il cielo; di sentirsi così libera da correre sul fango, senza sporcarsi mai. Convinta perfino di riuscire a volare, una volta raggiunta la matura età.

Avrebbe avuto bisogno di una spinta, di una musica lenta e dolce, non di un silenzio sordo e pisto.

Torna a quando ha perso la natura; a quando non le ha creduto più, a quando anche il vento le voltò le spalle. Torna a quando si chiuse in sè stessa e non uscì più dal suo mondo.

Torna a quando iniziò ad apprezzare la natura nuovamente, a sentirsi parte di essa.

E sembrerebbe strano ed insolito, ma in questo sogno, sento profumo di casa.

Sento che stanno arrivando.

Vedo prati di ciclamini, letti di fiori, dove non mi sento una cavia da esperimento.

Ed è questo il profumo della dimora. E' questo sempre, il solito profumo, che mi fa svegliare, cascare dal letto e comprendere che dentro la mia trappola, c'è un personaggio, flashback, attimi di insicurezza e aridità; come ci sono i fiori che si aprono a maturità completa, i frutticini in cascola; il profumo saccente di una primavera finalmente arrivata e i pianti della brina che vengono lasciati sulle foglie, sui fiori e su di me, di notte. Quando sto dormendo e quando sembra che tutto stia per scomparire.

E' proprio lì in mezzo che ritrovo le mie liriche, i miei sensi, il mio senso.

Ritrovo il mio udito che ascolta i mazzi di foglie che vengono mossi da quel vento che sembrava quasi morto, ritrovo la mia vista e osservo le mille sfumature di verde che mi annientano dentro e che mi fanno piangere colori, che verso sui miei piedi, sul mio terreno, dal quale nasceranno altri incubi, altri personaggi.

Ritrovo il gusto, i sapori che avevo messo da parte, mi arrivano tutti d'un tratto, senza farsi strada. E finalmente, apro gli occhi, scendo dal letto. E rientro a casa.

Sono ancora sveglia.


LagerWhere stories live. Discover now