Fiordalisi(.)

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Un estraneo è incapace persino di riconoscere sè stesso.

Un estraneo è incapace di salvarsi; è incapace di contare, di raccontare e di osservare.

Un estraneo, non sa riconoscere la propria vita, dentro quella degli altri.

Estraneo, sono pure io, dentro queste strade che mi ruotano attorno, non mi sento più il corpo.

-Così estranea non mi sono mai sentita. Ogni volta è come se il tempo si fermasse; ogni volta è come se dimenticassi perfino il mio nome e i miei occhi.

Il mio corpo si irrigidisce come fosse marmo e si allontana da tuttò ciò che ha attorno.

Diventa freddo e inizio a sudare. Poi arrivano i tremori, gli spasmi e inizia la mia danza ancor più devastante di sette calci in pancia.

Accanto al mio corpo, un'ologramma.

Sopra il mio capo, il buio dei miei rimpianti; che arrivano, uno dopo l'altro, spinti dalla mia rabbia. Che sento così stanca di starmi dentro i pantaloni.

La finestra questa volta è aperta. Filtra i raggi del suo sole che, cerca di entrare dentro casa, ma non riesce mai, poichè le nuvole non gli aprono mai un passaggio.

Io, guardo quel cielo così grande e non provo più niente. Vorrei soltanto potergli dire addio, un giorno di questi, ma non ho il coraggio di sporcarmi le mani col mio sangue infimo.

Guardo quel cielo e inizio ad urlare da dentro lo stomaco, fino a contorcermi.

Sono in subbuglio, non riesco più a controllare il mio corpo e i miei respiri che, diventano così affannati da far male.

E stavolta, non sono sola, ma è come se lo fossi davvero. L'indifferenza è colei che mi ha plasmato e che ha plasmato gli altri.

Ma a quella indifferenza così puttana ho urlato ogni notte; le urlo ogni volta che apro gli occhi e conto gli ologrammi che ho accanto. Ma lei continua a non svegliarmi mai, dai miei sogni. Lei, continua ad osservarmi mentre mi scordo di me su quel letto così stressante e piccolo.

Lì, ho lasciato il sangue, le mie lacrime, i miei inizi e tutti i miei sospiri che, oggi mi stanno voltando le spalle. Mi sento così piccola e impotente su questo letto che vorrei qualcuno che mi venisse ad avvolgere la testa con queste lenzuola che si colorano di un rosso ambrato. Le vorrei addosso, intente a soffocarmi; a farmi rantolare gli ultimi lamenti che questa terra, per me spenta, si merita.

Non sento nemmeno la mia voce e le mie frustrazioni; sto andando di nuovo via, a seguire i miei resti dentro la mia testa che mi avvolge tutti i muscoli e che mi fa vergognare di essere persino venuta al mondo. Vergognare, per essere uscita da quella pancia.

Dentro quella placenta avrei voluto morirci, pur di risparmiarmi questo freddo.

Ma tutto questo, è un'opera della mia apocalisse. Avvertita fin dalla mia nascita. Fin dal mio primo sorriso che ho mollato al cielo; fin dal primo abbraccio falso che ho ricevuto e dato; fin dal primo pianto, che non è mai stato l'ultimo. Fin dal primo e ultimo urlo che ho lasciato alle mie montagne di ego, moribonde dietro il mio deserto, che ha strappato via tutte le forme di vita che avrebbero potuto aiutarlo. Ha regalato la morte a qualsiasi individuo che ha cercato di entrarmi dentro i neuroni; ha reciso le vene di quegli stronzi, che di me non hanno mai voluto un cazzo. E ha reciso le mie che, di me, si sono stancate subito.

Fin dal primo passo sbagliato in pista da ballo; fin dalla prima volta che mi sono sentita estranea, fissando i trucchi degli altri, che non comprendevo mai.

Non mi resta altro che camminare dentro questo letto, in questo viale che mi intenerisce i polsi gelidi, sfiorati da brividi isolati dalla mia testa.

Non mi resta altro che disegnare questi fiordalisi che stanno per appassire; coloro i miei petali e ne divoro la sostanza che vi è dentro. Sento che dentro la mia pancia, stanno per sbocciare nuovamente. Sento le foglioline accarezzarmi le fibre dei muscoli; li sento mischiarsi con i vasi sanguigni ed io, adesso sono in questo viale così spento e sordo, che dipingere sarebbe impossibile. Ma nonostante dentro io stia per morire, ho deciso di perdere la testa un'ultima volta.

Getto tutti i miei colori su questa tela spenta e derisa e fuggo con i miei occhi scostati da questa delicatezza che non mi appartiene più.

Fuggo via da questi Fiordalisi morenti; da quest'Apocalisse che mi ha avvelenato tutti i sensi; da quella Libellula che scappa ancora da quel suo partner così esaustivo; scappo dalla Folla, che mi confonde. Scappo dalle Ortensie e dalle mie sfumature che richiamano il Bianco più sfrontato; lascio anche le Ortiche che, non osano nemmeno invadermi i pensieri. E mi chiedo se Ne vale ancora la pena, di restare qui. Il mio corpo, Vola via da questo viale. E questi pensieri perpetui, sono così Singolari che li sento implorare giorno e notte "Cogli, questi resti" ma a me, rimangono solo quelle Rose Bianche come unico resto, che è rimasto al mondo. Sono le uniche che sanno quanto L'ultima volta facesse più freddo. Conoscono Paolo e sanno che, adesso, sono Qui, a distrarmi. Col viso Tumefatto e ancora Intorpidita; che sputo su questi Fogli il mio dolore. Qui, a cercare di sentirmi ancora uno Strobo, seduta accanto ai miei fantasmi a La mia Cena. Dentro questo viale, pronta per lasciare la mia ultima Brina.

Pronta per scappare via da questo Lager che, ormai ha finito per uccidermi.

I Fiordalisi hanno trovato il giusto tempo per riposare dentro di me; hanno trovato una parte di me così pura che, adesso, non possono più lasciarla.

La mia pelle, continua a sporcarsi; mentre il mio corpo si lascia andare su quel prato di Ortiche, tanto selvaggio quanto smembrante, che finalmente mi offre la giusta cura, per lasciare questo viale e questa luce che filtra spenta da quella finestra sottovuoto.

Lascio i miei occhi a questo mio colore, che colorerà di nuovo per spostarsi; che colorerà per lasciarsi dietro le proprie spie. Colorerà, forse, per ricordarvi che non è stata colpa mia.

Ho ucciso venti volte, ma la ventunesima è stata l'ultima per davvero.

Ho ucciso venti volte e ho lasciato al mio corpo un fiore diverso.

Ho ucciso ed ora sono così stanca di averlo fatto.

E la ventunesima, arriva. Ho i miei fiordalisi tra le mani e ho finalmente terminato il mio dipinto.

I raggi del sole lo abbracciano, mentre io chiudo le porte a questo Lager, che ha finito i suoi giorni.-

LagerWhere stories live. Discover now