La mia cena

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Mi sentivo così ermetica e irrazionale dentro questo posto, che quasi mi stancava sentirmi respirare. Avrei preferito assistermi in fin di vita, piuttosto che inalare ancora quest'aria, che di ossigeno non sa mai. Quest'aria così pesante da confondermi i polmoni; che si nasconde dietro la faringe, che scende dall'esofago e si poggia sullo stomaco. Un'aria che diviene ogni volta pesantezza, come un masso; che fa male, che brucia come se fosse fuoco.

E se non fosse per la mia psiche, io, qui dentro vorrei rimanerci per mesi e mesi. Qui dentro, nascosta dagli uomini e dalle donne, dagli animali e da tutto il resto che consuma il mondo vero. Quello che osservo ogni giorno da sveglia, che mi fa paura, che mi porta rabbia per quant'è sporco e per quant'è infimo dentro la sua bellezza, che non sa più accogliermi.

Mi sento cullata dal mio sonno ed è come se in realtà io fossi sveglia. Sto guardando la mia dimensione, il mio corpo, che mi piace, me stessa e il mio senso divino di guardare, di avere gli occhi, un naso, delle labbra, una pancia, due seni e un'armonia; che sfiora tutto ciò un pò spaventata e poi scappa, senza mai dirmi nulla.

Sono a tavola da sola. E' imbandita per bene, penso stia arrivando qualcuno.

Sono stati preparati tutti i miei piatti preferiti: li osservo, ma non ho fame. E non mi chiedo nemmeno da chi siano stati preparati. Sembra tutto pronto per una festa.

Le luci si abbassano e sento dei passi avvicinarsi e posarsi dietro di me. Come delle ombre; mi sento osservata. E all'improvviso non riesco più a vedere. Ma sento. Sento i loro respiri, come cercano di muoversi su di me; il loro odio che si poggia sulla mia pelle. Continuo a non avere paura, ma so che sono qui per me.

Sono consapevole che vogliono mangiare il mio corpo e che tutto quel cibo, era solo una copertura. Adesso, ho un pò paura. Non del dolore che io possa provare, ma di come trattino il mio corpo o almeno i miei resti.

Si avvinghiano alle mie braccia, iniziano a mangiucchiurle; sento il dolore che pervade ogni mio singolo legamento. Mi stiro i muscoli, a loro così piace di più. Sento che non si sazieranno mai e che continueranno fino a quando di me, non ne resterà cenere.

Bevono il mio sangue, come se fosse la dose più forte della loro droga preferita; mi annusano, mi spremono i tessuti, sento la rabbia uscire, posarsi su di loro: mi sento più libera. Sono quasi in frantumi; passano alle gambe.

Le mangiano, mordendole al volo. Me le strappano via. Sento il sangue scorrermi via; sento le mie ferite aprirsi e fidarsi di loro.

Più mi divorano, più sono affamati di me. Più io non mi rendo conto del loro dolore e di quanto siano infuriati, maggiormente infieriscono sul mio corpo.

Mi mordono il collo, mi strappano via lembi di pelle da ogni centimentro della mia carne. Bevono tutto, giocano con le mie ossa. Ma io sono ancora in vita. Senza arti, dissanguata, ma ancora viva. Sento il loro rancore, entrarmi nella testa. E li prego di strapparmela via.

Li prego, perchè il mio dolore parte da questo mio emisfero. Loro, che sono i miei demoni, li ho creati io, per avere compagnia. Per avere fame, per mangiare, per sentirmi viva. Per deglutire fiati e sentirmi più sporcata da questo mondo che non mi appartiene più da anni.

Ho loro addosso e adesso non ho più voglia di fingere. Loro sono gli unici che mi hanno vista piangere; gli unici che mi hanno lavato il cervello; gli unici che mi hanno ripagata.

Io, ho copiato la loro rabbia. Mi hanno insegnato il senso del disgusto, del ribrezzo; mi hanno insegnato ad usare il distacco e, distaccandomi dagli altri, mi sono distaccata da me stessa e da questo corpo che non sento più mio, che non desidero più.

Con loro, mi sono esposta. Mi hanno ascoltata e hanno mangiato le mie strofe, le mie righe; i miei pianti li hanno bevuti tutti fino ad avvelenarsi. Mi hanno abbracciata quando ho sentito freddo. Mi hanno allontanata quando avevo bisogno di sentirlo il freddo.

LagerWhere stories live. Discover now