Singolari

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Quando passerai tu, sarà di nuovo inverno.

Penso che vedrò di nuovo la pioggia sulle mie spalle; così ardua a bagnare i miei tessuti appesantiti dalle preoccupazioni di questo meteo che porta rancore alla nebbia.

Tu rimarrai intrappolato dentro la mia tela; preparata così bene soltanto per il tuo ritorno.

La mia tela, che ho costruito per ben dieci lunghi anni e, che ha tanta fame della tua morte.

Simmetrica e asettica; aspirante tornado di emozioni. Aspirante, rinnovo dei tuoi occhi.

Spero che io ti sia mancata almeno un pò, spero che tu abbia continuato a canticchiare quella mia canzone, che avevo offerto alle tue orecchie quando ero ancora un pesce in mezzo al tuo mare immenso e scuro.

Ho aspettato dieci anni per riportare i miei resti alle tue mani.

Dieci anni, per risentire quel tuo freddo e per osservare nuovamente quel cielo, che si è allontanato così bene dal mio capo.

E' mutato anch'esso, come tutto del resto.

Avrei aspettato altri due secoli, per ritornare da te.

Altri anni, che avrei speso per aspettarti.

E avrei suonato la mia musica, per fartela sentire.

Con il mio organo, le mie percussioni, i miei risentimenti intricati dentro le corde delle mie chitarre, i miei violini così violenti; la mia armonica un pò stonata, il fiato privo di riferimenti e di passioni; i miei occhi posati su quello spartito, che hai osato lasciarmi prima di abbandonarmi. Quello stesso spartito, che mi ha allontanata dal tuo mondo e dalla tua musica, che risuonvava così dolce e spaventosa dentro la mia testa e il mio corpo. E avrei voluto spaccarmi la testa in due piuttosto che ascoltare un altro tuo ennesimo assolo.

Dove io, rappresentavo la parte più marcia, banale e scontata di quel pentagramma.

Ma l'avrei cantata, l'avrei sbattuta in faccia alle persone; piuttosto di incanalare odio dalle melodie altrui.

Avrei messo da parte perfino i miei suoni preferiti, per essere la tua prescelta e per farti tornare immediatamente.

Ma tu, non mi hai scelta mai. Ed io, ho aperto quel carillon un migliaio di volte, prima di riporlo nascosto dentro camera mia.

L'ho ascoltato ogni notte prima di addormentarmi; ho imparato a memoria il suo suono tanto triste quanto inquientante. E ho osservato tutte le volte quella ballerina, senza una gamba, danzare intrappolata dentro quella scatolina di ceramica; provavo una pena per lei, immonda. Non riuscivo mai a non provare compassione nei suoi confronti.

Mi sentivo un pò come lei, poi con gli anni, ho compreso che il tuo regalo aveva il suo senso legittimo. Io, ero un pò come lei.

Non avevo la minima possibilità di fuggire da te, eppure quando mi hai abbondanata mi sei mancato così tanto.

Potevo continuare a danzare la mia vita, soltanto intrappolata dentro la mia scatola, che era la tua ombra. E per ogni volta, che i miei passi, si sono fatti prepotenti e hanno provato a solcare lo spazio indefinito, che c'era dopo le tue orme, si sono bruciati e mi hanno sbattuta nuovamente dentro.

E mi mancava il respiro, ma continuavo a danzare; era l'ultima cosa che mi rimaneva da fare in vita.

Danzavo e mi girava la testa, cadevo per terra e mi facevo male. Mi sono aperta le ginocchia credo almeno cento volte e tu, non sei mai venuto a curarle.

Dove sei stato per tutto questo tempo?

A chi hai offerto la tua musica in questi anni?

Chi è riuscita a divenire la tua nuova musa?

LagerWhere stories live. Discover now