CUBALIBRE
DosVuoi sapere la storia del cubalibre?
Mercoledì
Einar indicò con il braccio la statua che si ergeva nel mezzo di una piazza della città e iniziò a spiegare la vita del personaggio storico, un generale e politico che aveva lasciato l'impronta nella storia di Cuba. Mentre raccontava, infilando qua e là qualche parolina nella propria lingua o spagnolizzando un po' qualche termine italiano, Einar iniziò a girare attorno alla base del monumento seguito da Filippo, sorridendogli nel caldo afoso dell'Avana.
Erano in giro dalle prime ore del pomeriggio - inutile dire che avevano fatto piuttosto tardi, la notte prima, avvinghiati uno all'altro, fusi uno nel corpo dell'altro: avevano visto (forse notato distrattamente) la notte diventare giorno e poi erano crollati addormentati sul letto sfatto, con un cuscino caduto a terra e addosso una soddisfazione piena.
Quel pomeriggio, quindi, Einar aveva mostrato a Filippo La Habana vieja e gli aveva raccontato tutto ciò che sapeva a riguardo: gli piaceva essere informato, conoscere la storia e la cultura dei luoghi e, comunque, lui stesso, qualche anno prima, era stato turista in quella città, quando era arrivato alla (disperata) ricerca di un lavoro.
Si fermò all'ombra della statua, lì dove soffiava un leggero venticello, sebbene da buon cubano non facesse più caso alla terribile afa che si abbatteva sulla città (aveva anche già avvertito Filippo che la maggior parte dei locali, lì, era sprovvisto di aria condizionata) - mise le mani in tasca e gli sorrise da dietro gli occhiali da sole.
"Sono un poquito noioso, vero?" scherzò.
Filippo gli sorrise, godendosi quel po' di freschetto ed ascoltando con interesse le spiegazioni del ragazzo. "No. Anzi, continua pure, mi interessa." rispose, infilando le mani in tasca e ripensando alla mattinata appena trascorsa: il risveglio era stato particolarmente interessante ed aveva passato il tempo prima di uscire di casa a baciare l'altro - baciarlo era quasi un antistress.
Il sorriso dell'altro ragazzo si allargò ancor di più e riprese a parlare. "Para construir questo monumento, la città aveva -" portò la mano alla fronte, a stringerla, quasi per cercare di ricordare il termine italiano " - istituito - se dice? - un concurso de embellecimiento, un concurso per rendere più bella la città, no?" gli spiegò. "La única richiesta era che doveva essere un monumento col caballo, come se dice, più? Equino?"
Il cantautore lo osservò confuso: si era perso qui e lì nel discorso per il modo in cui la bocca dell'altro si muoveva a seconda delle lettere (e la lingua che si era mossa così velocemente pronunciando embellecimiento - quel si era stato...).
"Oh?" si leccò le labbra e lo guardò un po' perso. "Equino? Ah, cavallo. Si dice davvero caballo?" disse, pronunciando la b come una doppia b italiana e la ll in un misto tra gl e i.
"Caballo" ripeté lui, correggendolo con un sorriso - sì, Filippo era molto sexy mentre provava a parlare spagnolo. "Pero non era questo el termine che cercavo. Come se dice quando è un monumento con una persona a caballo?" chiese.
"Oh." si lasciò scappare l'altro, guardando in alto. "Equ - Equinoz- no. Equi - Eque - oh!" fece, dopo averci pensato su per un po'. "Equestre?" chiese più che affermare, stringendo le labbra e guardandolo dubbioso.
"Equestre!" esclamò Einar illuminandosi, spalancando gli occhi dietro alle lenti scure - come un flash - totalmente a caso - lo colpì un ricordo della notte passata, quando non avevano potuto fare a meno di finire di nuovo a rotolarsi tra le lenzuola, stretti assieme: un suono delizioso era scivolato via dalla bocca di Filippo quando Einar lo aveva sfiorato tra le gambe con le dita e l'italiano aveva schiuso le labbra (gonfie di baci e piccoli morsi) in quel modo così - concentrati.
"Sì, insomma, un monumento equestre che doveva - sai, doveva essere voltato verso la mar."
Il biondo osservò la statua e studiò il verso in cui era girata. "Quindi, se andiamo per di là, arriviamo all'oceano?" domandò, indicando il punto che il cavaliere sembrava fissare.
"Correcto" fece l'altro seguendo la traiettoria del suo dito, il serpente che si allungava sulla pelle chiara. Piegò il capo da un lato, un sorrisetto.
"Pues, possiamo andare per di là y vedere el océano oppure possiamo andare per di qua y andare a mangiare qualcosa" disse divertito.
Filippo rise e si accarezzò lo stomaco, inforcando, poi, le lenti scure che aveva appeso alla maglietta. "No, no. Sto morendo di fame. Andiamo a mangiare."
"Andiamo. Te porto a mangiare un piatto tipico de Cuba" gli disse quello, poi gli sfiorò il braccio col proprio mentre si rimetteva in marcia: si voltò a guardarlo e, cazzo, si umettò le labbra, che con quegli occhiali da sole Filippo era - basta. Se solo non fossero stati in mezzo a tutta quella gente, lo avrebbe baciato, baciato e baciato ancora. Un brivido gli scivolò giù per la schiena e distolse lo sguardo. "È qui vicino."
Il cantautore lo fissò per qualche secondo prima di avvicinarsi un po' di più a lui e spintonarlo leggermente con la spalla. "Non mi stai portando in qualche vicolo buio e solitario, vero?" lo prese in giro.
"Ti piacerebbe, vero?" rispose lui alzando un po' il sopracciglio, un sorrisetto obliquo sulla bocca.
Lui ridacchiò un po'. "Cazzo, sì." disse, pizzicandogli un fianco.
Quello scosse la testa, divertito, poi fece schioccare la lingua tornando a fissarlo negli occhi. Sapeva che era ovvio provare attrazione fisica per un ragazzo così bello, così sexy, con quegli occhi infiniti. Eppure, sentiva che quell'attrazione andava oltre alle questioni fisiche, si sentiva attratto da lui anche a livello mentale e - che cazzo, Einar, taci.
Camminò accanto a lui in silenzio per un po', finché non svoltarono in una stradina ed arrivarono davanti ad un locale semplice, dalle poche pretese.
"Non ti espaventare per l'aspetto" lo prese in giro, che quella disposizione di sedie e tavoli di plastica sull'asfalto poteva essere un po' scoraggiante per un turista. "Qui se mangia la miglior Ropa Vieja di tutta la città" disse, poi lo precedette andando a sedersi ad un tavolo qualsiasi.
"È uno dei posti più eleganti in cui abbia mai mangiato, sai?" scherzò Filippo, sedendoglisi accanto e guardandosi intorno. "Ropa Vieja?" domandò, sbagliando pronuncia.
"Ropa Vieja" gli ripeté più lentamente, scandendo meglio le lettere, facendo un cenno di saluto al proprietario, un signore di mezza età che stava dietro al bancone a preparare i piatti ordinati - lui gli rispose con un gran sorriso ed un ¡Hola, Einar! e riprese a girare qualcosa nella scodella.
"È forse el piatto più tipico che si mangia qui" iniziò il ragazzo. "Per anni hanno pensato che era nato qui, en Cuba, pero in realtà viene da la islas Canarias. Si cucina con carne de pollo, o de cerdo - el puerco, no? - o la carne de res, che è -" ci pensò su serrando le labbra " - manzo?" pronunciò incerto, con la zeta tanto morbida da sembrare una esse.
"Manzo." corresse quello, sorridendogli un po' divertito. "Ma è più bello come lo dici tu."
Einar gli tirò un calcetto e fece per ripeterglielo divertito, quando la cameriera arrivò al tavolo e li salutò con un gran sorriso, iniziando a parlare ed intrattenendosi con il cubano in una conversazione fitta fitta, tra una risata e l'altra - poco dopo la ragazza lasciò il tavolo e consegnò un foglietto al proprietario.
"Ordinato" disse Einar a Filippo con sorriso soddisfatto.
L'altro gli rivolse uno sguardo curioso - ancora quella sensazione di disorientamento dovuto alla pochissima comprensione del discorso -, poi annuì. "Vieni qui spesso?"
"Non molto spesso - io come tanti altri cubani" rispose lui appoggiando i gomiti alla tavola, la testa alla mano. "In realtà la economía delle famiglie cubane non permette molto di togliersi certi caprichos, anche se questo posto in realtà è molto economico" gli disse. "Ma la Ropa Vieja è un piatto che non cuesta molto, praticamente è nato dagli avanzi, no? Carne bollita, riso e tomates avanzati messi tutti insieme."
Filippo si leccò le labbra e lo fissò per un attimo, prima di distogliere lo sguardo, come se non potesse reggerlo: si sentiva un po' a disagio sotto quegli occhi, come se contenessero un'intensità che lo sovrastava. "Deve essere buonissima." affermò, tornando a guardarlo.
"Lo è" ammise Einar appoggiandosi allo schienale ed incrociando le braccia al petto. "En Venezuela si usa anche para riempire las Arepas, che sono dei panini, praticamente" spiegò mentre la cameriera appoggiava sul tavolo i due piatti colmi di cibo con un sorriso ed un'altra frase nella propria lingua.
"Ah, sai cosa significa Ropa Vieja?" chiese ancora il cubano, avvicinandosi meglio al tavolo con la sedia e prendendo in mano la forchetta.
Quello rise un po', preparandosi una forchettata. "Ma se so a malapena l'italiano." scherzò, assaggiando il boccone: si lasciò un sospiro, sorridendo largamente per quel buonissimo sapore.
"¿Te gusta?" domandò quasi retoricamente Einar osservandolo assaporare quel mix di carne e riso (e lasciando che la esse di gusta si annullasse per lasciare spazio alla doppia ti).
"Comunque, significa panni vecchi, sai, proprio perché se usano gli avanzi" dichiarò e ringraziò la ragazza che aveva appena portato un cestino con il contorno e della birra fredda al tavolo.
"Questo è platano fritto" gli disse indicando il cestino di bambù.
Filippo ne assaggiò uno e, poi, versò ad entrambi della birra. "Devo darti ragione. È buonissimo."
Quello alzò il bicchiere per farlo sbattere delicatamente contro il suo, poi bevve un lungo sorso, sentendo la birra fresca dargli un po' di sollievo da quel calore perenne.
"Come mai hai deciso di fare questo viaje da solo?" domandò ad un certo punto, quando la caraffa di birra si era dimezzata insieme alla pietanza nei piatti. "Se posso chiedere."
Il cantautore si riempì il bicchiere e lo svuotò con un sorso solo. "Avevo bisogno di stare solo per un po', senza nessuno che mi conoscesse intorno." sorrise un po'. "Per staccare un po' la spina da tutto e tutti."
"Staccare la espina?" chiese il cubano, leggermente perplesso per quel modo di dire che non gli riportava alla mente nulla di conosciuto. Forse Joele non lo aveva mai detto?
Il ventunenne strinse le labbra e ci pensò su. "Sì, per stare tranquillo. Dovevo allontanarmi da tutti, diciamo."
"Ah! Tirar el enchufe" tradusse Einar, che aveva capito cosa significasse quello che aveva detto Filippo. "Pues, a volte serve staccare la espi -" iniziò, ma poi l'occhio gli cadde sull'orologio appeso dal bancone e gli scappò un'imprecazione nella propria lingua. "È tardissimo!" sbuffò. "Comincio a trabajar tra un'ora."
"Trabajar?" ripeté Filippo, stranito. Non aveva mai sentito quella parola, onestamente. "Se sei in ritardo, sbrighiamoci allora."
"Lavorare" gli rispose quello e poi gli sorrise, in testa una proposta piuttosto allettante - d'altronde Filippo era lì per staccare dalla vita quotidiana, no? E allora perché non -
"Perché non vieni conmigo?"
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Cubalibre || Eiram
FanfictionCOMPLETA | Eiram | 2017 e Filippo vede tutti i suoi sogni andare in frantumi, intrappolato in una realtà che gli sta stretta e che non gli permette di essere chi vorrebbe essere davvero. Cambiare aria potrebbe essere la vera soluzione: sì, ma dove a...