TRES

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CUBALIBRE
Tres

Ein - posso chiamarti così? 

Giovedì

Il suono delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga lo aveva sempre calmato - forse perché Einar ci era nato, con quel suono. Suo papà gli raccontava sempre che, quando era piccolo e piangeva senza che riuscisse ad addormentarsi, lui lo portava sulla spiaggia, lì dove lo teneva in braccio e lo cullava finché non crollava dentro al sonno più profondo - ci metteva sempre pochissimo. Nella sua vita, in realtà, il mare era sempre stato un palliativo, qualcosa che riuscisse a rasserenarlo, a fargli invertire la prospettiva con cui vedeva il mondo, a far tornare le cose un po' più chiare - via il nero, via la negatività. Dopo la morte di suo padre, Einar si era rifugiato in spiaggia, con i piedi immersi nella sabbia e le lacrime che si mischiavano al mare, alla ricerca del suo ricordo - era lì, che ogni giorno continuava a sentirlo vicino, lì tra il rumore delle onde.
Adesso che stava in silenzio, seduto accanto a quello sconosciuto che veniva dall'Italia, si sentiva in pace con se stesso, mentre i colori dell'alba intiepidivano il cielo. Qualche minuto dopo essere arrivati in spiaggia, aveva notato che Filippo si era calmato in maniera naturale, come avesse lasciato fuori - oltre la stradina sterrata - tutti i pensieri cattivi che lo stavano avvelenando. Non avevano parlato, ma erano rimasti lì, con le braccia che si sfioravano nel giorno che nasceva.
Filippo appoggiò la testa sulla spalla dell'altro, gli occhi chiusi e la mente completamente svuotata. Inspirò l'aria fresca del mattino, l'odore dell'oceano nelle narici, e sorrise un po'.
"Credo di aver capito il tuo profumo, sai? Ogni volta non riuscivo a capirlo."
Lui gli passò il braccio attorno alla vita, la guancia posata tra i suoi capelli - gli pizzicò appena il fianco, delicatamente. "Dímelo" fece, morendo di curiosità.
Il cantautore strofinò il naso contro il suo collo. "Sesso." cominciò. "Alcool." si leccò le labbra. "E poi c'è l'odore dell'oceano e della sabbia - forse anche del sole."
L'odore dell'oceano, della sabbia e forse anche del sole, si ripeté Einar e lo strinse un po' più forte. Due sconosciuti - erano due fottuti sconosciuti che rubavano il tempo al mondo, che si godevano ogni minuto senza pensare al dopo, che lasciavano che i pensieri si annullassero e subentrasse la leggerezza. Sesso, si era trattato di sesso, di piacere, di baci, di orgasmi. Ma si era trattato anche di parole, di lezioni di storia, di curiosità, di pasti condivisi. Due giorni e due sconosciuti, eppure - eppure.
"Afortunadamente non hai dicho che puzzo" spezzò il momento lui.
Quello scoppiò a ridere, cadendo all'indietro sulla sabbia. "Cazzo, ed io che ci stavo provando." disse, divertito. "Speravo di poterti convincere per altre ventiquattro ore con me."
Il cubano gli si sdraiò accanto, le braccia stese, le dita tra i granelli di sabbia - piegò le gambe, gli occhi fissi sul cielo rigato di tinte pastello.
"Solo se esta noche bailerai per te. Solo per te, però, no para rimorchiare altra gente" fece alzando l'indice, come se lo stesse riprendendo, divertito. "Ah, pero anche un po' per me."
Il biondo fece una smorfia con la bocca. "Ballerò per divertirmi." disse. "Tu guardami."
"Puoi estare certo che lo farò" rispose e si voltò su un lato stendendo le gambe - allungò la mano a prendergli il mento tra indice e pollice.
"Cubalibre anche per estasera o cambiamo?" lo prese in giro, stringendo la presa, le labbra arricciate in un sorrisetto. "Magari vuoi probar el Canchánchara, mh?"
Filippo si leccò le labbra e gli sorrise, guardandolo negli occhi. "Credo proverò qualcosa di nuovo."
"Allora Canchanchára per tutti" fece Einar, poi si alzò ed iniziò a spogliarsi di corsa - via la t-shirt, via i jeans fino a scalciarli contro la sabbia, via tutto fino a rimanere in mutande, i boxer attillati ed il corpo bronzeo teso, un sorriso sulla bocca. Accennò dei passi verso il mare, si bloccò e si voltò a guardare Filippo, le mani sui fianchi nudi e la testa piegata da un lato, negli occhi un luccichio divertito.
"Lezione del terso giorno, niño: smettere di pensare e buttarsi en la mar!" lo esortò dentro ad una risata per poi cominciare ad indietreggiare verso la riva.
Il cantautore rise e cominciò a svestirsi. "Questo so farlo." gli rispose, prima di prendere la rincorsa e corrergli incontro, spingendolo poi verso l'acqua.
Quello lo bloccò per le spalle, imponendosi scherzosamente alla sua spinta, piantando i piedi nella sabbia umida - scoppiò a ridere, i muscoli tesi e la presa ferrea su di lui. "Dici?" lo prese in giro.
L'altro gli rivolse un sorriso, poi appoggiò le mani sui suoi fianchi. "Dico." fece, iniziando a solleticarlo.
Einar si accartocciò su se stesso, mollando la presa per potersi difendere dalle sue dita che continuavano a fargli venire da ridere e da scappare da quella dolce tortura. Fece un passo indietro ed inciampò cadendo lì dove si infrangevano le onde - gelo, l'acqua era gelida e a lui mancò il respiro, mentre tirava con sé anche Filippo.
Quest'ultimo riuscì a tenersi sulle mani, evitando di cadergli del tutto addosso e rise, arricciando il naso. "Come cazzo fa ad essere fredda?" si lamentò. "C'è sempre un caldo infernale."
Il cubano si tirò su a sedere, lo spinse all'indietro scherzosamente. "Perché es el océano" spiegò passandosi le dita bagnate tra i ricci. "Y anche porque è molto presto - el amanecer, no?"
"Amanecer." ripeté Filippo, totalmente rapito dal modo in cui l'altro aveva pronunciato quella parola. "Sembra tutto così sexy nella tua lingua." disse, seguendo con lo sguardo le goccioline di acqua che scendevano dai riccioli bagnati.
Lui rise e scosse piano la testa, divertito dal modo in cui ogni parola spagnola riuscisse a sorprendere l'altro (e a fargli venire pensieri impuri, a quanto pareva). "Uguale el italiano per me" ribatté, che se la ricordava la prima volta che aveva sentito Joele parlare e - oh. "Pero tu hai una pronuncia diversa - cómo se dice - respecto al mio ex novio" si rese conto ad un tratto. Ecco cosa non gli tornava, continuava a pensarci da quando aveva iniziato a dialogare con Filippo - la cadenza, ecco cos'era!
Il biondo annuì. "Sarà perché siamo di città diverse." spiegò. "Io sono di Monza, quindi ho questo accento qui." si leccò le labbra.
Quello lo guardò - ancora seduto sul bagnasciuga, piccole onde che gli lambivano le gambe e lo abituavano alla temperatura - e arricciò le labbra pensoso. "Monsa è molto lontana da Brescia?" chiese, un po' confuso.
"No, non molto. Un'oretta di distanza, più o meno." rispose lui, sorridendo un po'. "Perché? Devo riferire qualche messaggio quando torno in Italia?"
"No, estúpido" rise Einar dandogli una spinta sulla spalla. "Joele y yo ci sentiamo espeso - comunque, era porque è così diverso el vostro modo di parlare: lui - no sé cómo decirlo - dice le parole con più sh?" tentò di spiegare, anche se non era certo di aver descritto al meglio ciò che voleva dire.
Filippo rise avvicinandosi di più, per sedersi a cavalcioni su di lui. "Invece io? Come pronuncio?"
Quello posò le mani sui suoi fianchi, strinse la presa e le spostò sulla schiena, lì dove il sole appena sorto aveva iniziato a rendere la pelle più calda. "Non lo so. Diferente de Joele" ammise piegando appena il capo da un lato - ci stava davvero pensando su, ma la pronuncia di Filippo gli pareva quasi pulita rispetto a quella del bresciano. Un attimo dopo, gli regalò un piccolo sorriso mentre, però, lo faceva scendere dalle sue gambe e lo lasciava tornare a distanza di sicurezza. "Alcune persone non -" scrollò le spalle "Solo es meglio essere un po' più discretos" si scusò quasi, che era strano il modo in cui principalmente lo avesse detto per proteggerlo. "Escusa."
Il cantautore lo osservò per un attimo, poi si guardò intorno e sospirò. "Non ci stavo pensando, scusa." disse, appoggiandosi all'indietro sulla sabbia. Era così preso da Einar che - sorrise un po'. "Potrei addormentarmi."
Quello posò gli occhi sul suo profilo, il modo in cui Filippo si era voltato a pancia sotto, le onde che lo lambivano fino ai fianchi, il sole che batteva contro la schiena, la pelle color latte che splendeva sotto quella luce mattutina. Allungò la mano e gli sfiorò la testa, poi le spalle.
"Dormi" gli suggerì tornando ad abbracciarsi le ginocchia, guardandolo ancora per un attimo, mentre gli veniva in mente che erano svegli da praticamente una vita, che la loro notte era passata diversamente, senza sonno. Sorrise. "Dormi, tranquilo, poi vamos a mangiare algo. Fruta, huevos, queso, cose così."
Quello sbadigliò, la testa sulle braccia incrociate. "Pensa a quello che vuoi. Offro io, dopo." e si addormentò.

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