OCHO

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CUBALIBRE
Ocho

Leggerezza, ricordi?

Mercoledì 

Einar aprì lentamente gli occhi, pronto a lasciarsi ferire dalla luce del mattino: arricciò appena le labbra rendendosi conto che - oh, stava piovendo. Il rumore della pioggia gli arrivava delicatamente addosso, invogliandolo a spingersi meglio contro il calore del corpo di Filippo, che ancora gli dormiva accanto. Insomma, non propriamente accanto, dato che forse sarebbe stato più appropriato definirlo appiccicato: il cantautore gli si era rannicchiato contro, la testa incastrata contro il suo petto e le gambe intrecciate alle sue, le ginocchia piegate - Einar lo aveva cinto con un braccio durante il sonno ed aveva appoggiato il mento tra i suoi capelli. La notte prima erano tornati a casa parlando (Einar aveva raccontato a Filippo alcune curiosità sui tassisti cubani e si era sorpreso di quanto costassero le tratte a Milano) e ridendo, senza menzione a ciò che (non) era accaduto in spiaggia - non che a Einar interessasse parlarne ancora, per lui non era nemmeno un problema, anzi, era stato contento del fatto che Filippo si fosse tirato indietro, ché probabilmente aveva bisogno di pensarci ancora un po' e andava bene così. Andava assolutamente bene così, che di passi avanti verso la propria libertà, l'italiano, ne aveva fatti già tanti in quei giorni.
Una volta alla villetta, si erano preparati insieme per andare a letto (l'idea di fare sesso non li aveva nemmeno sfiorati), scherzando e sbaciucchiandosi di tanto in tanto come - Dio - come una coppia. Marisol aveva ragione, forse, che dal di fuori parevano una coppia e - cazzo, no, non era vero, erano solo due che si stavano divertendo un po' insieme ed Einar stava facendo da guida turistica e filosofica per un Filippo bisognoso di riacquistare libertà mentale e di liberarsi dalle paure e dai giudizi della gente. E poi, Einar non sapeva nemmeno quando l'altro sarebbe ripartito per l'Italia, quindi...
Coi pensieri che viaggiavano su una linea totalmente diversa rispetto al proprio corpo, Einar si ritrovò a chiudersi un po' di più sull'altro e ad iniziare a riempirlo di tanti piccoli baci tra i capelli, seguendo una direzione tutta sua, scivolando sulla fronte, sugli occhi chiusi, mentre un tuono esplodeva in lontananza.
Filippo sorrise un po', ancora ad occhi chiusi, godendosi la sensazione delle labbra calde dell'altro sul proprio viso: gli si fece più vicino ed inclinò la testa per far scontrare le loro bocche e poterlo baciare - lentamente.
Così, pensò l'altro, mentre portava la mano sul suo mento, poi sulla guancia, ad accarezzargli la pelle, un accenno di barba sotto le dita. Socchiuse gli occhi di nuovo, quasi tornando nel suo dormiveglia - non poteva, non poteva davvero smettere di baciarlo, di toccarlo così delicatamente. Quante cose condividevano, quante parti di loro erano tanto simili da combaciare in un maniera perfetta - come le loro labbra, le loro fottute labbra.
Il cantautore lo tirò un po' di più verso di sé, finché non passava neanche un po' di aria tra di loro - stava così bene, così fottutamente bene. Avrebbe tanto voluto essere svegliato così per sempre, tutte le volte che riusciva a dormire. Sospirò un po' nella bocca dell'altro e provò a stiracchiarsi senza smettere di baciarlo.
"Buongiorno" pronunciò quello contro di lui, le lettere morbide, fluide tra di loro, con quell'accento così esotico - un altro tuono. E loro che avrebbero voluto passare la giornata al mare...
"Ciao" rispose Filippo, un grande sorriso a decorargli le labbra. Gli diede un altro bacio e nascose il viso contro la guancia. "Piove?" domandò, lamentandosene un po', quasi fosse un bambino.
"Llueve, si" mormorò l'altro piegandoglisi un po' di più addosso, per stringerlo a sé. "Y truena" aggiunse - gli accarezzò la schiena lentamente, quasi non potesse né volesse andare più in fretta. "Mi sa que tenemos que cambiare i nostri piani por oggi."
"Stiamo a casa, allora." propose, scivolando sotto di lui (Einar era così caldo, sempre) e facendogli spazio tra le sue gambe. "Restiamo a letto tutto il giorno, finché non devi lavorare."
"Sì" rise piano il cubano, piano, pianissimo, a fior di labbra. Gli si appoggiò addosso, una mano a vagare sul suo corpo, lungo il petto, il ventre, la coscia - gliela fece piegare e se la portò sul fianco per premerselo addosso. "Che Marisol ci espera."
Filippo piegò anche l'altra gamba, così che potessero essere più vicini, quasi appiccicati. "È simpatica, sai?" mormorò, dopo averlo baciato ancora una volta - gli piaceva averlo sopra di sé, tra le sue gambe, così vicino che sembrava quasi... Oh.
"Simpatica porque te tiene el posto al locale" lo prese in giro lui - gli morse la spalla, risalendo lungo il collo, fino alla gola, il mento. Tenne la mano ferma sulla sua coscia, l'altra sul fianco, mentre gli si posizionava meglio contro.
Quello rise ed annuì. "Anche." ammise, passando le mani tra i capelli dell'altro. Lo baciò languidamente, spingendosi piano contro il suo bacino, senza alcuna fretta. La pioggia, a volte, lo rendeva davvero pigro.
Einar pensò a quanto fosse piccolo Filippo tra le sue braccia, sotto di lui, quanto fosse bello, fragile, da proteggere. Sorrise mentre gli si faceva più vicino - di più, di più - e ancora lo baciava - ah, quanto gli piaceva baciarlo, mentre l'atmosfera si scaldava così, lentamente e gli faceva battere il cuore forte. Troppo forte, forse.
Le mani del biondo si mossero, fino ad accarezzargli la schiena nuda, delicatamente, come se non lo stesse toccando realmente. Si inarcò, però, per aggiustarsi meglio sotto di lui - stava cominciando a pensare che quello che era quasi successo in spiaggia, soltanto la notte precedente, era qualcosa che voleva sul serio che accadesse. Forse era soltanto un problema di comodità o di luogo - non erano pensieri derivanti dall'alcool, ma... "Sei così caldo."
Lui sorrise strusciando il naso contro la sua gola, inspirando il suo profumo. Aprì meglio la mano, spingendola lungo la sua gamba, dal ginocchio fino alla coscia, lì dove c'era la linea perfetta del suo sedere - strinse appena la presa, delicatamente, che voleva toccarlo, toccarlo in ogni modo, per imprimere tutte le sensazioni che gli scavavano fin dentro alla testa. Sospirò, scostandogli l'elastico dei boxer, ma rimanendo con le dita fermo lì, come si fosse solo appoggiato alla base della sua schiena - null'altro.
Quello si spinse contro la sua mano (giù, giù, la voleva più giù), provando a spostare una delle gambe poco più in alto, per tirarlo un po' di più a sé, e si leccò le labbra per poi sospirare piano.
Einar si lasciò guidare, lasciò che fosse Filippo a decidere quanto ancora in giù far scivolare le dita - deglutì sfiorando coi polpastrelli la piega del suo sedere, lì, in quel punto bollente che gli rendeva la bocca secca.
Filippo lo guardò negli occhi e gli sorrise, baciandolo subito dopo. "Fallo." sussurrò sulle sue labbra, premendosi contro di lui.
Cazzo, fu il primo pensiero del cubano, che si sentì travolto da un'ondata di emozione - un respiro frammentato gli rotolò via dalla bocca, denso di sensazioni. Spostò la mano, riportandola tra i loro visi: con l'indice gli accarezzò le labbra, facendogliele schiudere e scivolandovi all'interno con l'indice - gemette, che la sua bocca era sempre così calda da farlo impazzire.
Il cantautore sorrise un po', chiudendo le labbra intorno al dito dell'altro e succhiando appena, quasi scherzosamente.
Quanto cazzo poteva essere sexy Filippo lì, sotto di lui, a quel modo? Dio. Quello si mosse piano in lui, prendendosi tutto il tempo, un sorriso sulla bocca e - si scostò qualche attimo dopo, la fronte contro la sua mentre tornava ad accarezzarlo piano, delicatamente, tra la piega delle natiche. Un tuono lontano, lento come i loro movimenti, lento come la carezza che lasciò proprio lì, un secondo prima di scivolare nel suo calore - trattenne il respiro.
Filippo inspirò profondamente cercando di ignorare il fastidio che sentiva, provando a rilassarsi - lo baciò piano, sperando lo aiutasse.
Einar portò l'altra mano sul suo viso, seguendo con il pollice la linea della mandibola, senza smettere di baciarlo, di respirare contro di lui - "Relájate" sussurrò, continuando a muoversi con delicatezza, un sorriso ad increspargli le labbra, mentre provava a tenere a bada tutte le emozioni che lo stavano travolgendo.
Quello seguì il suo consiglio, rilassandosi a poco a poco, lasciando che tutta la sua attenzione fosse concentrata sulle labbra dell'altro, più che sulle sue mani: era nella sua bocca, in fondo, che Filippo sapeva di poter trovare ogni sorta di conforto. Sin dal primo giorno, era stato tutto così intenso, così incredibilmente semplice e naturale tra di loro che delle volte si chiedeva se - Dio, basta, basta. Era così preso dalla vita che stava passando lì, dalla quotidianità col barman che doveva sforzarsi di ricordare che non sarebbe rimasto lì per sempre, che doveva tornare, riprendere la propria vita ed essere sul serio se stesso. Ricominciare da zero.
Gemette piano contro la bocca di Einar, mentre questi sfilava delicatamente le dita e - gli strinse piano i capelli, con un sorrisetto un po' beato sul viso e fece scontrare la fronte con quella dell'altro. Si sentiva bene, bene, bene - spalancò la bocca in un gemito silenzioso, stringendo forte gli occhi ed inarcando la schiena - tanto, tanto bene.
Wow - Einar riuscì a pensare solo a wow, mentre il calore di Filippo lo investiva e gli faceva tremare la mano che andò ad unire con la sua, le dita intrecciate per stringerlo più forte. I minuti che seguirono furono estasi pura, estasi costellata di una piacevole confusione che quasi andava ad intorpidirgli i muscoli. Non fu esattamente sicuro di come riuscì a trattenersi, ad andare anche in quel momento con calma, che il suo calore era così - Dio, Dio, Dio. Scivolò con la mano libera tra le sue gambe, per aumentare quel piacere che stava iniziando a coglierli - ancora un tuono, mentre la pioggia si faceva più fitta ed il temporale si avvicinava.
Filippo si spinse contro di lui che - oh, lì, lì, lì, lì - gli sembrava quasi di stare per scoppiare. Lo baciò, mentre stringeva la sua mano e si rendeva conto di quanto libero si sentisse in quel momento: stava facendo qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare non appena arrivato e - cazzo, cazzo, cazzo.
Quello lo guardò negli occhi, mischiando quel blu a quel verde infinito, liquido, che quasi brillava di - oh, di libertà. Libertà, quella di cui si stava riappropiando Filippo, quella grazie alla quale stava tornando a respirare dopo mesi di apnea. Continuò a muoversi in lui, con spinte ritmate, a tratti più decise, che diamine stava cercando di trattenersi in ogni modo per non fargli troppo male - gemette, già meravigliosamente al limite del piacere. Lo baciò più forte, segmentando un altro respiro. Filippo era troppo - troppo e basta.
Il cantautore gli strinse forte i capelli con la mano libera, gemendo sulle labbra dell'altro. "Così, così." ansimò, mentre era quasi al limite e - tremò piano quando il piacere lo colse. Tremò ed inarcò la schiena, aggrappandosi alla spalla dell'altro, premendo forte con i polpastrelli fino a lasciare un segno.
In quei giorni, Einar aveva visto Filippo raggiungere il piacere tante volte, inquantificabili volte, eppure non lo aveva mai visto così. Gli bastò osservare ogni sfumatura del suo viso, ogni muscolo tendersi, quel sorriso nascergli sulla bocca e - cazzo - anche lui si lasciò cogliere dell'orgasmo, premendosi poco di più in lui, in profondità. Lo baciò forte, forte davvero, appoggiando la fronte alla sua, tremando dentro al piacere.
L'altro rise piano, tra un bacio e l'altro, sentendo chissà quale peso lasciarlo andare e sparire tra la pioggia. Era forse un po' ridicolo, ma si strinse forte al più grande, per godersi ancora un po' il peso del suo corpo addosso, ciò che provava ad averlo dentro. Com'è che finivano sempre per incastrarsi così bene?
"Ehi." sussurrò, spingendo la punta del naso contro la sua guancia.
"Estai bene?" domandò Einar dentro ad un sorriso, andando incontro al suo movimento leggero. Lo strinse a sé, che in quel momento non gli veniva nemmeno in testa di scastrarsi da lui - dannazione.
Filippo annuì, posandogli poi un bacio sulla mandibola. "Sì." sospirò. "Benissimo. Tu?" e ridacchiò un po'.
Quello scivolò via da lui con delicatezza, accompagnando il movimento ad una carezza lungo il corpo, dai fianchi alle cosce - sorrise.
"Muy bien" mormorò sdraiandosi di nuovo su di lui, che no, proprio non voleva lasciarlo andare, non poteva. Davvero, non poteva.
Il ventunenne allungò le gambe e si stiracchiò un po' sotto di lui, ché si sentiva così stanco, così soddisfatto.
"Lo sai," iniziò Einar dopo aver lasciato una serie di baci sulla sua spalla, su fino al collo "è estato difícil trattenermi" rise e lo baciò ancora mordendogli il mento. "Perché eri maravilloso."
Quello gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò, puntando poi gli occhi nei suoi. "Non dovevi trattenerti." mormorò, accarezzandogli le guance.
Lui rise e scosse piano la testa - gli morse la mano. "Avrò altre occasioni para non trattenerme" sorrise.
Dio, sì - Filippo era molto intenzionato a farlo e rifarlo, se fosse stato necessario. "Tantissime." confermò, divertito.
"Para farte mio, ancora y ancora" sussurrò al suo orecchio, mordendolo un po' ovunque riuscisse ad arrivare.
Quello non disse nulla per un attimo, perso in quel possessivo che gli aveva fatto bloccare ogni pensiero, poi gli baciò il collo e rise un po'. "Cazzo, sì." soffiò.
Un tuono più forte fece sussultare Einar, che si imbronciò appena e si allungò a coprire entrambi col lenzuolo, ché dalla finestra aperta entrava un venticello a tratti fastidioso. Adesso, sdraiato accanto a lui, gli si accoccolò contro, una mano ad accarezzargli lo stomaco - il rumore della pioggia a cullare i loro pensieri.
Filippo lo baciò, facendosi più vicino a lui, cercando di ignorare il dolore lancinante che era apparso al minimo movimento.
Quello posò la mano sul suo fianco e la fece scivolare fino al centro della schiena, lì dove accennò un massaggino - gli sfiorò le labbra con un sorriso.
"Come se chiama quel juego de società che avete en Italia, quello famoso, col nombre de la città?" chiese d'un tratto, come se c'entrasse qualcosa con quel momento, con loro.
"Monopoli?" chiese il biondo, appoggiando la fronte contro la sua spalla e lasciandosi massaggiare.
Einar fece un po' più di pressione con le dita, cercando di dargli un po' di sollievo. "Monopoli, si" ripeté allora, dopo qualche attimo di silenzio. "Tu ci hai mai giocato?" chiese con tono curioso.
Lui gemette appena, chiudendo gli occhi. "Sì, certo." rispose, quasi fosse ovvio. "Tu no?"
"No. È vietato - no existe aquí" spiegò il cubano, facendolo voltare a pancia sotto e inginocchiandosi accanto, per dedicarsi meglio a quel massaggio - iniziò ad usare entrambe le mani.
"Vietato?" ripeté Filippo, abbandonandosi contro il materasso. "Il Monopoli?"
"Sì. Prima de la Revolución de 1959, era molto famoso, sai, molto comune - i cubani ci giocavano siempre, no?" continuò a spiegare, allungando il massaggio fin su alle spalle. "Dopo che triunfó Fidel Castro, el Monopoli scomparve - las tiendas, i negozi di giocattoli furono obbligati a destruirlo - distruggerlo."
"Oh." fece quello, sorpreso. "Ma davvero?"
"Sì, davvero" confermò Einar per poi continuare per un altro po' il massaggio in silenzio. Si interruppe qualche minuto dopo e gli si sdraiò accanto, la testa appoggiata alle braccia ed il viso voltato verso il suo. "Fidel Castro istituì un altro juego, che se chiamava Deuda Eterna. El concepto era quasi uguale a quello del Monopoli, in realtà, ma ovviamente era politicamente in accordo con la idea revolucionaria de quei tempi - pues, direi quasi anche de questi tempi" disse, le labbra che si muovevano attentamente, ad articolare ogni parola con cura, gli occhi blu puntati in quelli di Filippo - così bello, era così bello.
"Il Monopoli originale era troppo capitalista, uh?" commentò l'italiano con una punta di ironia, leccandosi le labbra. "Sarebbe carino provare a giocarci, pensandoci."
Quello gli si appiccicò un po' più addosso, la pelle d'oca per una folata di vento più fastidiosa. "En el juego sei il Gobierno de un paese del terzo mondo: devi approfittare delle materie prime de Latinoamérica, devi metterle sul mercado e venderle al nord" spiegò ancora. "El objetivo es cancellare il Fondo Monetario internacional - distruggerlo, del tutto" concluse con una smorfia, che certamente da bambini non era un gioco divertente... beh, nemmeno da adulti, forse.
Filippo gli baciò via la smorfia e lo strinse a sé. "Se finisci in galera che succede? Fine del gioco?" scherzò a bassa voce, poi si morse un labbro. "Forse non dovrei scherzarci su." sussurrò, un po' divertito da tutti quei cambiamenti.
"Galera?" chiese perplesso lui, ragionandoci per un attimo e - ah! "Non esiste la galera en este juego" chiarì scostandogli un ricciolino dalla fronte. "Però puoi fare un golpe de Estado."
"No, ma davvero?" fece il cantautore, aprendo un po' di più gli occhi. "Non vado in galera, ma salgo al governo? Questa è un po' una figata." disse, dandogli un bacio sulle labbra.
Quello aggrottò la fronte, proprio mentre si stava piegando verso il suo bacio - si bloccò. Salgo?
"En che senso salgo?"
"Nel senso che vado al governo, no?" chiarì lui, ché magari l'altro non conosceva quel modo di dire.
Einar aspettò che l'ennesimo tuono si esaurisse per parlare: "Hai detto salgo" fece. "Porque voi italiani dite che uscite per prendere el potere dello Stato?" chiese, sinceramente incuriosito. "Lo dite porque fisicamente uscite de casa?"
Ora, Filippo era incredibilmente confuso. "Uscire? No, no. È salire." ripeté. "Come salire le scale." provò di nuovo, pizzicandogli una guancia. "Salgo al potere come salgo le scale."
Quello gli schiaffò via la mano con un risolino, ma subito dopo tornò a concentrarsi: e così per loro salgo significava salire e non uscire - che strano. "Salire se dice subir: yo subo las escaleras."
Oh, salire voleva dire uscire e subire significava salire? "Quindi, ora -" mormorò, facendolo stendere sulla schiena. "- potrei dire che subo su di te?" chiese, divertito, mentre si metteva con cautela sull'altro.
Einar rise piano posando le mani sui suoi fianchi, accarezzandogli la pelle chiara - forse Filippo si era leggermente abbronzato... colorito, forse era il termine più giusto, ecco.
"Lo sai, hay un posto dove ti vorrei portare, però è un poquito lontano de qui."
"Andiamoci." propose il ventunenne, sedendosi per bene a cavalcioni su di lui. "Fa nulla se è lontano."
"Non sai nemmeno che posto es" lo prese in giro il cubano, puntellandosi sui gomiti per allungarsi verso di lui e cercare la sua bocca per un altro bacio.
Quello gli afferrò il viso e lo baciò ancora, piegandosi un po' su di lui. "Sentiamo: che posto è?" domandò, quasi per assecondarlo perché, davvero, sembrava quasi che gli bastasse stare con lui, in quei giorni, non importava dove - no, no. Fermo, torna indietro.
Einar rallentò il bacio, le labbra schiuse contro le sue ancora per qualche secondo - si staccò lentamente dalla sua bocca, il suo sapore sempre, sempre in lui. "Se chiama Cueva de Saturno e si trova en Verdadero - circa due ore de viaje da qui" spiegò, le mani appiccicate a lui, a toccarlo di continuo, quasi stesse cercando di disegnare una mappa del suo corpo nella testa - tenerla lì, per quando Filippo sarebbe tornato alla sua vita reale in Italia.
"Due ore." ripeté Filippo, baciandolo ancora. Finì per stendersi completamente addosso all'altro, sorridendo un po'. "Sappiamo già cosa fare domani, allora."
"Non vuoi sapere altro?" mugolò quello divaricando un po' le gambe per accoglierlo meglio contro di sé. "No sé, cómo andiamo, cosa facciamo, como vestirti..." ridacchiò, che era giusto perché voleva rompergli ancora un po' - gli tirò una ciocca di capelli.
"L'importante è che non debba truccarmi - sai, mi scoccia un po'." scherzò lui, fingendo poi di mordergli il mento.
"Maquillarte" rise lui stringendo le ginocchia attorno alla sua vita per non farlo scappare - gli percorse la linea delle labbra col polpastrello. "Secondo me estaresti molto bene truccato. Con el rossetto rojo."
"Dici?" domandò, prima di baciargli il dito.
"Sì, a Marisol gusteresti" rise, incastrando un verbo spagnolo in una coniugazione italiana - piegò piano il capo all'indietro, socchiudendo gli occhi. Aveva paura di rendersi davvero conto di quanto bene stesse con lui.
"E a te? A te gusterei?" fece Filippo, baciandogli piano il collo, intrecciando le dita con quelle delle mani dell'altro.
A mi me gustas en cualquier manera, avrebbe voluto rispondere quello, ora che la bocca era diventata secca, così secca da non riuscire a farglielo dire - strinse più forte la sua mano, sentendo un sentimento di tristezza salirgli alla gola. Scaccialo, Einar, mandalo via. Mandalo via. "Forse" rispose, provando ad accennare un sorriso e ad apparire divertito - niente.
Il suo tono era così strano che il cantautore alzò il viso per studiare la sua espressione: lo guardò per un po', provando a capire cosa avesse in testa - non ci riuscì. Sospirò un po' e, poi, gli posò dei baci umidi sulla guancia e all'angolo della bocca.
Einar serrò braccia e gambe attorno al suo corpo, se lo premette meglio addosso per sentirlo, per ricordarlo - chiuse gli occhi forte.
"Porqué non facciamo colazione qui, a letto?" propose poco dopo, che di alzarsi ne aveva ben poca voglia.
Quello annuì, continuando a baciarlo. "Perché non facciamo che io mangio te?" provò a scherzare, accarezzandogli il viso.
"Me mangi?" rise lui, cercando di sottrarsi - e allo stesso tempo di avvicinarsi di più - a lui. Socchiuse gli occhi e respirò piano nella sua bocca. "Y se me mangi, come fai domani ad andare a Verdadero?"
Filippo lo baciò sulle labbra e sorrise un po'. "Lo scopriremo solo vivendo." canticchiò a bassa voce, prima di scivolare in basso.
"Lo escopriremo solo viv - oh" commentò sentendo le sue mani sui fianchi e - oh, oh, la sua bocca così giù, così calda, così - ah. Inarcò la schiena schiudendo le labbra in un sospiro.

Cubalibre || EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora