CINCO

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CUBALIBRE
Cinco

Nulla dà più libertà della musica

Domenica

Aveva iniziato a piovere fortissimo proprio mentre Einar e Filippo si erano messi ad ascoltare un signore che raccontava di come la musica lo avesse portato a perdere tutto materialmente parlando, eppure ad avere tutto spiritualmente parlando. Musica, sì, l'ultimo giorno e mezzo era trascorso non solo dentro al ritmo della musica (e della vita quotidiana) cubana, ma anche dentro a discorsi musicali, su artisti italiani e cubani, su cantautori famosi, sulla carriera di Filippo, sulle sue canzoni - ne aveva ascoltate tre, Einar, e la sua preferita era subito diventata Semplice, senza che sapesse davvero perché. Forse proprio perché era semplice e la semplicità era ciò che caratterizzava la vita a Cuba.
Erano dovuti correre a casa, comunque, perché la pioggia non avrebbe cessato di lì a breve e, anzi, si era trasformata subito in un gran temporale - avevano corso, ridendo per il poco fiato del cantautore e prendendosi in giro mentre cercavano di evitare le pozzanghere, anche se avevano finito per saltarci dentro appositamente, come due bambini dispettosi. Einar aveva ancora stampato in testa il bacio senza respiro che si erano scambiati non appena erano arrivati al riparo dal mondo, nel giardino della villa - era come se avessero avuto il bisogno di baciarsi per tutto il giorno. Il bisogno.
Adesso, dal cellulare di Filippo, posato sul mobile della cucina, proveniva la melodia di Semplice e il cubano teneva in mano un cucchiaio di legno (trovato per caso tra i cassetti di casa) e lo usava come microfono, cantando a squarciagola il ritornello che aveva imparato il giorno prima.
"...così semplice que canto shalalalaaaaa!"
"Uaaaaa." continuò Filippo, ridendo un po' mentre lo osservava ballare sulla sua canzone. Era così bello che il cantautore si stava godendo la scena seduto issato su un ripiano della cucina.
"Yo que no ce riesco a estare calmo con las personas, que sono -" si bloccò imbronciandosi appena, le labbra arricciate. "Como era poi?"
Quello sorrise divertito e continuò " - sono complicato e canto in poche ore."
"Sono complicado y canto - espera, espera" si interruppe, il cucchiaio fermo a mezz'aria. "No, no, repite" fece mentre la canzone continuava a scorrere. Gli si parò davanti, le mani adesso sui fianchi e il capo piegato appena da una parte.
Il cantautore prese un respiro profondo e lo guardò negli occhi. "Non servono le parole per dirmi che cosa pensi," cominciò a canticchiare. "per darmi buonumore o per farmi cadere a pezzi." si leccò le labbra. "Mi bastano tre note ed una vita fatta di gesti così semplici che..."
E quello lo baciò, lo baciò forte, le mani premute sulle sue guance e poi rise. "Canto shalalalalaaa uaaaaa" quasi urlò, i ricciolini ancora umidi e gli occhi blu traboccanti di qualcosa di molto simile alla felicità.
Filippo lo attirò a sé allacciando le gambe intorno alla sua vita e le braccia attorno al collo. "Shalalalalalalala uaaaa" canticchiò contro la sua bocca, baciandolo poi.
Einar gli accarezzò i capelli, poi le labbra con la punta della lingua - "Uaaa" ridacchiò ancora. Leggerezza, leggerezza - solo leggerezza.
"Ti piace molto, uh?" chiese l'altro, sorridendo ed arricciando il naso.
"Muchísimo" rise quello passandogli le dita tra i capelli, disfacendogli i ricci ancora un po' umidi. "Me pone alegre" gli confessò con quel sorriso enorme.
Filippo lo baciò ancora. "Mi fa davvero piacere."
"Ho fame da morir" mugolò un attimo dopo Einar, scostandosi e ricordandosi che non avevano pranzato - fuori diluviava e di uscire non se ne parlava proprio.
"Credo ci siano dei popcorn in quel mobile lì." indicò il ventunenne. "Ma li dobbiamo cucinare."
Einar seguì la traiettoria del suo dito ed individuò il mobile in basso - ci si diresse e lo indicò. "Lì?" domandò con un sorrisetto per poi chinarsi in avanti, per cercare per bene in quell'armadietto dopo aver aperto l'anta di legno.
Il cantautore inspirò profondamente e lo guardò, scuotendo il capo. "Cazzo, sai cosa? Mi sa che è più in basso."
"¿Más bajo?" domandò il cubano abbassandosi di più col busto, divertito, tenendo il sedere ben in alto, fasciato nei pantaloni di quella tuta grigia. "Qui? Non li trovo" mentì scherzoso, ignorando il pacchetto di mais davanti agli occhi. "Vieni, ayúdame."
Filippo scese dal ripiano e gli si avvicinò e sorrise divertito, notando il pacchetto proprio lì davanti. Gli accarezzò i fianchi con entrambe le mani e si finse preoccupato. "Chissà dov'è."
Quello rise sculettando un po', appoggiato a lui - gli si spinse appena contro. "Tu lo vedi?" scherzò ancora.
"Ah!" esclamò lui, spalmandosi addosso ad Einar per prendere la confezione. "Credo sia questa."
Lui piegò appena le ginocchia per farlo premere meglio contro di sé, per farlo chinare di più in avanti. "Sicuro? Non è più in profondità?" chiese, fingendosi dubbioso.
"Non avevi fame?" rise l'altro.
Il cubano si voltò e si tirò su, le mani di nuovo suo suoi fianchi - quanto gli piaceva la consistenza del suo corpo sotto il proprio. Oh, quanto sarebbe stato magnifico averlo sotto di sé - lo fissò negli occhi e si costrinse a deglutire, mandando via il pensiero malizioso. "Sì, mucha. Tu?"
Quello si morse un labbro per nascondere un sorriso e annuì. "Tantissima." rispose con voce roca, provando poi a schiarirsi la gola.
Einar rise e gli fece ondeggiare il pacchetto di mais davanti agli occhi, appena ripreso da dove lo aveva appoggiato. "Popcorn" gli ricordò divertito per poi scastrarsi da quell'angolo e sgattaiolare verso i fornelli, riprendendo a canticchiare la canzone di Filippo che continuava ad andare sul telefono. "Non ho fatto la Universidad, giro con - no, miro?" chiese di nuovo confuso. "No entiendo las palabras, ayúdame" sbuffò.
Filippo chiuse il mobile, sentendo lo stomaco completamente svuotato - si sentiva così felice. "Tiro tardi a bere con i fra." fece, pronunciando con chiarezza ogni parola.
"Tiro tardi a bere conifra" ripeté lui esagerando automaticamente tutte le erre e condensando le ultime tre parole - prese la padella e la mise sul fuoco. "Ma che significa: "Tiro tardi"? E conifra?"
"Beh." cominciò il cantautore, abbracciandolo da dietro ed appoggiando il mento sulla sua spalla. "Tiro tardi vuol dire fare tardi." spiegò. "Con i fra sarebbe con i miei amici - fra sarebbe come bro, no?"
"Ah, non è una palabra única? Conifra?" chiese interessato l'altro mentre apriva il pacchetto e ricopriva di mais la superficie calda della pentola - posò la mano sulla sua, con l'altra prese il cucchiaio di legno.
"No, no. Sono tre parole distinte." rispose, baciandolo sulla nuca. Affondò con il naso nei ricciolini poco lì sopra e sospirò.
Lui si voltò tra le sue braccia, appoggiandosi al mobile, la pentola e i popcorn ormai lontani dalla sua mente. "Con i fra'" ripeté allora, adesso che lo guardava di nuovo. "Non ho fatto la universidad, tiro tarde a bere con i fra', giusto?"
"Esatto." disse Filippo, baciandolo sulla punta del naso. Lo guardò fisso negli occhi e dimenticò per un attimo la fame.
Anche il cubano dimenticò qualsiasi cosa fosse loro attorno: il rumore battente della pioggia, la musica, il fornello a gas e - ah, i popcorn, vero. Il mais iniziò ad esplodere per il calore della pentola e a saltare ovunque, su di loro, sui mobili, in terra. Einar si coprì la testa - "¡La tapadera, la tapadera!" esclamò, che gli scappava pure da ridere.
Il cantautore si affrettò a spegnere il fornello, abbassandosi per non essere colpito. "Cos'è la tapadera?" chiese, mentre quasi scivolava su un popcorn caduto a terra.
Quello lo afferrò per il gomito per non farlo cadere e si ritrovò appiccicato a lui. "Es quella cosa che devi mettere sopra, no? Sopra a la pentola. La tapadera" gli spiegò allentando un po' la presa sul suo braccio, ora che Filippo gli pareva di nuovo in equilibrio.
"Il coperchio." tradusse l'altro, prendendo tra le dita un popcorn che era finito sui ricci dell'altro.
"Coperchio" ripeté Einar arricchendosi di quella parola - la mano così romanticamente a cercare la sua, fino a serrare delicatamente le dita sul suo polso, a cercare un contatto del quale non aveva più fatto a meno nell'ultima settimana: avevano praticamente convissuto in una maniera del tutto naturale, ritrovandosi a tornare a casa insieme senza prima deciderlo, senza darlo per scontato, eppure - eppure. A pensarci, Einar non sapeva nemmeno per quanto Filippo sarebbe rimasto a Cuba (di solito si rimaneva lì poco più di una settimana, no?) - con l'altra mano gli sfiorò la piuma all'orecchio, che il cantautore non se ne separava più, adesso che era tornato ad indossarle. Ad essere sinceri, il cubano non era sicuro di poter superare la visione di Filippo nudo, su di lui, mentre raggiungeva il piacere con le labbra schiuse e quelle fottute piume che gli sfioravano la linea del collo - erotiche, quelle fottute piume erano quanto di più erotico avesse mai visto, su di lui. Un altro popcorn scoppiò in aria, interrompendo la linea del suoi pensieri e facendolo sobbalzare.
Filippo scoppiò a ridere, osservando la sua espressione spaventata, e scosse il capo. "Non è che possiamo ordinare qualcosa, vero?" domandò, indicando poi i popcorn sparsi ovunque. "Mi sa che nella pentola non ne sono rimasti abbastanza."
"Ordinare qualcosa?" domandò quello divertito prima di colpirlo sulla fronte con un popcorn. "No, temo che non si possa ordinare niente" rise, che con Joele il discorso sul cibo a domicilio era uscito più volte: proprio non si capacitava di quanto fosse impensabile lì un'abitudine del genere.
"Nemmeno un sushino? Un kebabino?" scherzò il cantautore, imitando l'accento milanese. "Allora mi toccherà mangiare te." concluse, alzando le spalle.
Einar scosse la testa divertito dall'ultima affermazione e, con le braccia appoggiate alla superficie del ripiano, si issò per sedersi sul mobile, accanto ai fornelli. Era così europeo Filippo, così italiano che da una parte gli veniva da ridere (ordinare cibo a casa? Perché mai, quando si poteva cucinare o mangiare in compagnia por las calles?), dall'altra rimaneva piacevolmente sorpreso - decise di regalargli una confessione che, ai tempi, aveva fatto rimanere incredulo Joele.
"Lo sai, non ho mai assaggiato el sushi."
Quello lo guardò sorpreso. "Davvero? Mai mai mai?" chiese conferma.
Il cubano rise della sua espressione posando le mani sulle ginocchia. "No, mai. Ci sono restaurantes japoneses en La Habana, però sono posti por turisti, no? Posti dove i cubani non andrebbero porque -" scrollò le spalle "- pues, sono molto cari y elegantes y - e por turisti, appunto."
Filippo posò le mani sulle sue e sorrise un po' di quella risposta. "Che dici: vorresti provarlo?" domandò - aveva tantissima voglia di vederlo provare il sushi per la prima volta.
Quello lo guardò, pentendosi immediatamente del segreto che gli aveva rivelato - sentì il cuore accelerare un po' all'idea di trovarsi in uno di quei posti lussuosi, lui che non aveva niente e - "Sì, va bene" rispose accennando un sorriso, che poi magari quella proposta sarebbe caduta nel dimenticatoio e farsi tanti problemi ora non era necessario, tanto meno nella sua filosofia di vita.
Il ventunenne lo baciò e gli strinse le mani. "Perfetto." disse, allontanandosi e prendendo il cellulare. "Allora cerco un po' qual è il più vicino e ci andiamo." propose, reso totalmente cieco dalla fame.
Einar lo fissò mentre quello armeggiava con telefono - gli venne il mal di stomaco al pensiero di trovarsi lì, in quel ristorante da ricchi. Merda, non aveva niente da mettere, sarebbe stato fuori posto e a disagio e poi - si passò la mano sul viso, un velo di sudore dato dall'ansia. Filippo avrebbe capito quanto si sarebbe sentito fuori posto, avrebbe capito quanto erano diversi, quanto - calma.
"Ce n'è uno proprio qui vicino, non credo prenderemo molta pioggia." lo informò l'altro, avvicinandosi di nuovo a lui. "Ti va di andare?" chiese, accarezzandogli una guancia.
"Si" rispose lui schiarendosi la voce e poi scendendo dal mobile - merda, poteva davvero avere un attacco d'ansia per una cosa così stupida? "Devo - devo cambiarme però" disse, che forse i pantaloni bianchi della divisa sarebbero stati abbastanza eleganti, no? E sì, ormai la divisa era rimasta a casa di Filippo.
"Va bene." rispose quello. "Anche se, per me, vai benissimo così."
"Scemo" mormorò il cubano con mezzo sorriso, per poi dirigersi in camera da letto per cambiarsi - stava sudando e gli tremavano le mani. Si allacciò i pantaloni con una certa difficoltà, che il bottone non voleva proprio saperne di entrare nell'asola. Calmati, Einar, calma. È solo una cena, è solo un posto qualsiasi, una nuova avventura, un'esperienza nuova da vivere alla cubana, da - "Sono pronto" annunciò poco dopo tornando in cucina.
Filippo lo squadrò e sorrise, un po' stupidamente: non si sarebbe mai abituato alla bellezza del cubano, mai. "Sei davvero elegante, sai?" mormorò, notando quanto lui, al contrario, sembrasse uno scappato di casa.
Lui piegò appena il capo da un lato, fissandolo e nascondendo le mani in tasca - non rispose.
"Andiamo?" disse, che aveva bisogno di affrontare quella situazione per togliersi di dosso l'ansia.
"Andiamo." confermò quello, prendendolo per mano.

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