SIETE

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CUBALIBRE
Siete

Me llamo Marisol

Martedì

Si erano svegliati abbracciati, stretti nel letto ad una piazza di Einar, con lui premuto con la schiena contro il muro e le braccia avvolte attorno al corpo di Filippo. Avevano fatto piuttosto tardi, avevano finito per sorseggiare cubalibre seduti sul davanzale interno della finestra del salotto, spizzicando il riso rimasto dalla cena e guardando il sole sorgere ed il quartiere svegliarsi lentamente - un perfetto quadro romantico, sotto ogni punto di vista (forse non per l'arroz con todo per colazione), che li aveva visti, poi, trascinarsi in camera da letto, con il cubano che aveva tentato di dire che il suo letto era piccolo e che gli dispiaceva per quello e Filippo che lo aveva fatto tacere a modo suo. Si erano addormentati tra un bacio e l'altro, più come una perfetta coppia che come due che si erano conosciuti da una settimana; Einar aveva fatto un bel sogno, mentre dormiva abbracciato a lui, come se fosse nel posto migliore e perfetto di tutto il mondo. Se l'erano presa molto con calma, dedicando la giornata alla più totale nullafacenza: una doccia - o meglio due, dato che una era servita a tutt'altro che lavarsi -, qualche chiacchiera ("Sai che molti cubani piensan che el Gobierno li spii?"), per, infine, decidere di andare al mare per il resto del pomeriggio, ad oziare sulla spiaggia immensa ("Questa volta mettiti la crema, niño.") e, di tanto in tanto, buttandosi in acqua per rinfrescarsi un po'. Faceva caldo, davvero caldissimo, ma nonostante tutto loro due faticavano a lasciarsi respirare, a non stare quasi appiccicati: quando erano tornati al villino di Filippo si erano baciati e toccati per un'eternità, per recuperare il tempo perduto durante il giorno, in pubblico. Doccia, cena, poi Einar aveva raggiunto il posto di lavoro con Filippo come, ormai, accompagnatore fisso.
In tutti quei giorni, comunque, avevano un po' trascurato il sonno e anche se quella mattina avevano riposato, il cubano aveva una faccia piuttosto sbattuta - era certo che non fosse solo a causa delle ore di sonno perso, ma soprattutto per un altro motivo piuttosto, pues, piacevole.
Einar si appoggiò con la schiena al muro, ancora fuori dal locale, e passò la sigaretta a Filippo, buttando fuori il fumo.
"Seguro de non esserti bruciato le espalle oggi pomeriggio?" domandò corrugando un po' la fronte.
Quello prese un lungo tiro ed annuì, sorridendo un po'. "Sto benissimo." disse, sbuffando via il fumo e dandogli indietro la sigaretta. "Tu? Ti fa male qualcosa?"
Einar gli sfiorò le dita prendendo di nuovo la sigaretta, un sorrisetto sulle labbra: il suo corpo si stava un po' ribellando, in quei giorni, per tutta quella attività fisica e gli doleva qualsiasi muscolo, ma, pues - il sorriso sulla bocca si allargò. "Io non me quemo quando vado a la mar" rispose invece.
"No, ma hai bisogno di qualche massaggio?" disse, divertito. Volle baciargli una guancia, ma c'era troppa gente e, quindi, gli tirò piano la stoffa della camicia.
Il cubano gli diede uno schiaffetto sulla mano divertito, mentre allo stesso modo cercava di allontanare l'immagine di Filippo, quando, qualche ora prima, gli si era inginocchiato davanti con un sorrisetto malizioso sulla bocca - fottuta bocca, era perfetta. Si scastrò da quel ricordo bollente e si schiarì la voce. "Magari più tardi - las manos, sai, faranno tanto male dopo aver fatto volare le bottiglie senza farne cadere nemmeno una" ridacchiò.
Il cantautore gli prese una mano e sorrise. "Potrei avere un modo per farti passare il dolore, poi." fece, guardandolo malizioso.
"Tu proprio non me vuoi fare trabajar" rispose lui, accarezzandogli il palmo e puntando gli occhi nei suoi.
L'altro gli strinse le dita, mentre i suoi occhi scivolavano sulle labbra del barman - aveva questa grandissima voglia di baciarlo. Sospirò appena e si morse un labbro, scuotendo il capo. "Certo che voglio farti lavorare." rispose. "Sennò, poi, come bevo io?"
"Magari estasera voglio fare el bailarino y bailar tutta la noche" fece ancora Einar, alzando le braccia e muovendo i fianchi ad un ritmo inventato. "Così, vedi?"
"Se fai così, dovrò lottare per tornare a casa con te." disse con un sorrisetto, stringendogli per un attimo i fianchi e poi mettendo le mani in tasca.
Quello rise, la testa buttata all'indietro mentre si abbandonava alla risata - abbassò di nuovo gli occhi sulla sigaretta che gli bruciava tra le dita, mentre il suo capo arrivava da in fondo alla strada e gli faceva un cenno di saluto con un gran sorriso: lo soppesò con lo sguardo corrugando un po' la fronte.
"¡Qué cansado estás, Einar. ¿Estabas enfermo ayer? ¿Qué tal hoy? Necesitas dormir, tío, trabajas demasiado" rise l'uomo passando e dandogli una pacca sulla spalla e facendo ridacchiare il cubano, che gli rispose qualcosa parlando parecchio veloce, per poi guardarlo sparire all'interno del locale.
"Mi jefe" spiegò, allora, rivolto a Filippo che li stava guardando.
Filippo strinse istintivamente le labbra, osservando il tipo sparire nel locale e quasi non sentì la voce di Einar. Quanto gli doleva lo stomaco...
"Cosa? Che hai detto?" chiese, tornando a guardare il barman.
"Era il mio capo" gli tradusse, quindi, pensando che l'incomprensione fosse data dallo spagnolo. "Ha detto che mi vede estanco y che devo dormire di più" ridacchiò.
Il cantautore gli afferrò il viso tra le mani per un attimo, guardandolo negli occhi, provando a capire cosa avesse sentito in quel momento, prima di lasciarlo andare. "Dovrò lasciarti dormire, allora." ed il peso sullo stomaco era improvvisamente sparito.
"Oh, davvero? Ay, es un peccato, allora. Avevo altri proyectos" ammise quello candidamente scrollando le spalle e un attimo dopo prendendo una lunga boccata di fumo. "Ma se vuoi farme dormire..."
"Beh, dipende dai tuoi progetti." rispose il biondo, gli occhi fissi sulle sue labbra. "Se dovessero piacermi..."
"In questi giorni ti sono piaciuti tanto" gli ricordò quell'altro, poi buttò la sigaretta distogliendo lo sguardo dal suo - troppo, era troppo. "Inizio mi turno" disse sistemandosi la camicia blu sui pantaloni bianchi. "Vieni?"
Filippo sorrise appena ed annuì, seguendolo nel locale. Nonostante quella sera fosse più pieno del solito, trovò il suo sgabello vuoto e lo guardò un po' sollevato prima di notare una collega di Einar fargli l'occhiolino. Oh, glielo aveva tenuto?
Einar passò dietro al bancone, lasciando scivolare la mano lungo la schiena dell'altro mentre faceva il giro, poi guardò la ragazza e piegò un po' il capo da un lato. "¿Qué?" rise guardandola.
Quella lo squadrò e poi gli rivolse un sorrisetto malizioso. "Me pareces muy - ay, scusa." fece, rivolta a Filippo, provando poi a parlare italiano (con tutti quei turisti qualcosa aveva imparato) per includere anche lui nella conversazione. "Sei molto estanco, ¿qué habéis hecho, voi due?"
Il biondo ridacchiò silenziosamente, scuotendo il capo.
Einar arrossì di botto e provò a scomparire dietro la bottiglietta d'acqua dalla quale stava bevendo - quasi si affogò. "Fuimos alla spiaggia" disse, pensando che il mare potesse essere una buona spiegazione alla loro stanchezza - da quando Marisol si metteva pure a parlare italiano?
La ragazza alzò un sopracciglio e scosse il capo. "No me la conti justa." gli disse e poi guardò il biondo, indicando il barman. "Todo lo que dice este chico es una bugia." lo prese in giro, facendo scoppiare a ridere l'italiano.
"Lo so, lo so. È un mentiroso, no?" rispose, facendo la linguaccia al cubano.
Quello seguì la linea delle labbra di Filippo mentre articolavano la parola in spagnolo - sexy. "Mentiroso, sì" ripeté appoggiando la bottiglietta sul ripiano. "Ma siamo estati alla spiaggia davvero" fece poi rivolto alla collega e lei incrociò le braccia al petto con un sorrisetto divertito. "Claro que si" rispose voltandosi a guardare l'italiano. "Me llamo Marisol" gli disse tendendogli la mano oltre il bancone.
"Filippo." si presentò lui, sorridendo. "Grazie mille per il posto, eh!" disse.
"De nada" rispose lei iniziando a pulire dei bicchieri con un sorriso divertito sulla bocca. "Por el fidanzato de Einar lo facio volentieri" ridacchiò.
"Il fid- ah, no, noi non siamo..." cominciò, schiarendosi la gola. "Non siamo fidanzati." continuò, mordendosi un labbro.
"Non ancora" rise ancora Marisol, la mano davanti alla bocca a coprire quella risata, mentre Einar la colpiva con uno straccio sul sedere. "Estúpida" la apostrofò - alzò gli occhi quasi timidamente verso Filippo e scosse la testa, come dire di non farci caso, mezzo sorriso addosso.
Filippo rise e scosse il capo. "Cosa mi fai bere oggi?" domandò, cercando di cambiare velocemente argomento. Non capiva proprio perché la cosa lo mettesse a disagio.
"Piña colada?" gli propose quello prendendo con leggerezza - come tutto, d'altronde - l'imbarazzo che aveva appena letto nei suoi occhi. Che poi, quello sguardo imbarazzato non lo aveva visto quando Filippo quella mattina era scomparso con un sorrisetto tra le sue gambe e - cazzo, cazzo, cazzo, era stato magnifico. "Ti va?" aggiunse, riferendosi al cocktail.
L'altro annuì. "Vediamo se lo fai bene. Potresti essere specializzato solo nel cubalibre, sai." scherzò, sentendo l'imbarazzo scemare via.
Einar rise e scosse la testa iniziando a prendere tutto l'occorrente per preparare la piña colada: latte di cocco, ananas e rum bianco. Afferrò la bottiglia e la fece volare in aria - girò su se stesso e la riprese, cominciando a versarne nel bicchiere che teneva in mano (e che aveva appena fatto scivolare lungo il braccio).
"Ecco" annunciò qualche minuto dopo facendo per consegnare il cocktail a Filippo - si distrasse un attimo (fottuto sorriso) e, prendendo male le misure, scontrò il bordo del bancone col bicchiere di vetro, facendolo infrangere in mille pezzi e procurandosi un taglio sul braccio con una delle schegge. "Joder" ringhiò.
Filippo si appoggiò sul bancone per osservare il taglio che l'altro si era fatto. "Cazzo." mormorò, scendendo giù e andando dall'altra parte. "Non ti tagli mai, eh?" lo prese un po' in giro, afferrandogli il braccio e studiando bene la ferita. Lo trascinò verso il lavandino per passarci un po' di acqua su. "C'è un kit del pronto soccorso?" domandò a non si sa chi.
Einar lo fissò per un lungo attimo, pensando a come si fossero invertiti i ruoli, a come solo il giorno prima fosse stato lui a mettergli il taglio sotto l'acqua fredda - sorrise appoggiandosi con la fronte alla sua spalla. "Non è nada" gli disse - l'altro braccio adesso attorno alla sua vita - senza accorgersi del modo in cui Marisol li stava guardando, con quel sorriso enorme sulla bocca (e forse gli occhi a cuoricino).
Il cantautore strinse le labbra ed appoggiò la guancia sulla sua testa. "Si deve disinfettare e devi metterti un cerotto." rispose, gli occhi fissi sul taglio.
"Tirita" disse quello traducendo, a caso, la parola cerotto e poi spostandosi piano dal suo corpo - ritirò il braccio. "Meno male che non estavi quando mi sono bruciato la mano" scherzò.
"Se estavo cosa sarebbe successo?" domandò, sorridendo un po'.
"Chiamavi la ambulancia" lo prese in giro Einar, adesso in piedi davanti a lui. Cercò di ricordarsi quando fosse stata l'ultima volta in cui qualcuno si era preso cura così di lui, in cui si era preoccupato a quel modo solo per un taglietto.
Il biondo scosse il capo e gli pizzicò un fianco. "Sai che ci tengo alle tue mani." mormorò, in modo da farsi sentire soltanto da lui. "Dai, non c'è una tirita?"
Proprio in quel momento, Marisol spuntò accanto ai due ragazzi con un rotolino di garza ("Aquí está la gasa") e la consegnò a Filippo facendogli l'occhiolino e facendo alzare gli occhi al cielo al cubano, che man mano che passavano i minuti era sempre più indispettito per aver ferito il proprio orgoglio, rompendo quel bicchiere - incrociò le braccia al petto, anche se un secondo dopo fece una smorfia, che aveva sfregato il taglio contro la stoffa.
Filippo ringraziò la ragazza con un sorriso e, poi, rivolse un'occhiata ad Einar. "Quanto cazzo sei stupido." fece, cominciando ad arrotolare la garza intorno al braccio.
Quello distolse lo sguardo per un attimo, cercando di capire quanto lavoro gli si stesse accumulando, ma fortunatamente parevano tutti concentrati a ballare e di ordini, in quel momento, ne stavano arrivando pochi. Allora gli si appoggiò di nuovo addosso e respirò il suo profumo. "Grazie, niño" soffiò contro il suo orecchio - si sentì strano: rassicurato, calmo, in pace col mondo intero.
Il cantautore gli diede uno schiaffetto sul sedere. "Tranquillo." rispose e gli posò un veloce bacio tra i capelli.
"Ahora te preparo di nuovo la piña colada, siéntate" gli disse lui, sospingendolo ad allontanarsi con la mano sul suo fianco e poi infilandosi nel piccolo ripostiglio per prendere scopa e paletta e tirare su il casino che aveva fatto. Una volta finito, ripose il tutto e si scrocchiò le dita, piegò il capo da una parte e poi dall'altra, pronto a ricominciare il suo lavoro.
Filippo si sedette di nuovo al proprio posto e lo osservò lavorare, facendo attenzione ai movimenti (a suo dire) bruschi che all'altro capitava di fare col braccio.
Cinque minuti dopo, Einar servì il cocktail all'italiano e gli rivolse un sorriso - volò via subito, però, che i clienti parevano essersi svegliati tutti in quel momento per avere sete e gli ordini arrivavano uno dopo l'altro tenendo sia lui che Marisol parecchio impegnati. Mentre preparava l'ennesimo cubalibre, Ein alzò gli occhi verso Filippo, seduto dall'altro lato del bancone, e gli fece cenno, come dire: è buono?
"Perfetto." gli urlò quello al di sopra della musica, ché l'ananas, il rum e il cocco erano miscelati meravigliosamente insieme. Come cazzo faceva a fare i cocktail più buoni che avesse mai bevuto?
Il barman arricciò le labbra soddisfatto e fece volare l'ennesima bottiglia con un sorriso più grande sulla bocca. Quando riuscì ad avvicinarglisi di nuovo (gli aggiunse del rum a ciò che era rimasto della piña colada) si appoggiò al bancone coi gomiti. "Hay muchísima gente, esta noche" fece, un velo di sudore sulla fronte ed un bottone slacciato in più.
"L'ho notato. Chissà perché." rispose il ventunenne, guardandosi intorno. "Non avrete mica fatto qualche promozione?" si chiese, curioso.
"Promoción?" domandò lui a sua volta, poi scosse il capo. "No, va solo a giornate. Puede ser que yo finisca un po' dopo, però. Perché non vas a bailar?" propose, che gli sarebbe dispiaciuto se fosse rimasto lì, ad annoiarsi, mentre lui doveva districarsi tra un ordine e l'altro - gli rubò un sorso di piña colada dalla cannuccia.
Filippo gli sorrise e gli accarezzò una mano. "Sicuro? Non vuoi che ti faccia compagnia?" chiese, giocherellando con l'anello dell'altro.
"No, tranquilo" lo rassicurò Einar, voltando la mano col palmo all'insù e intrecciando le dita alle sue - naturale, quel movimento era stato del tutto naturale, non ci aveva ragionato su nemmeno un attimo. Gli piaceva, poi, vedere le loro tonalità di pelle accostate, che, nonostante fossero differenti, erano totalmente in armonia. "Va' a divertirte."
L'italiano gli sorrise e finì il drink mentre teneva stretta la mano dell'altro, senza neanche un motivo valido se non la voglia di averlo vicino. "Quando torno, fammene un altro." si raccomandò. Dovette farsi forza per lasciare la stretta e gettarsi in pista, confondendosi con la gente che ballava.
Quello lo guardò per qualche attimo: lo vide umettarsi l'angolo della bocca, piegare il capo da una parte, poi dall'altra e subito dopo muovere qualche passo, le piume che ondeggiavano piano ad ogni suo movimento. Un attmo dopo, Einar si lasciò assorbire - o forse ci annegò dentro e basta - dal lavoro, concentrandosi su tutti gli ordini e le richieste che continuarono ad arrivargli per tutta l'ora successiva. Di tanto in tanto, comunque, cercava di individuare Filippo tra la folla, tra qualche cameriera che andava da una parte all'altra della sala, tra quelli che amoreggiavano appoggiati alla parete, quelli che si scatenavano sulla pista da ballo e - oh. Lo stomaco gli si ribaltò per una sensazione strana, fastidiosa, acida. Rimase col bicchiere a mezz'aria, a guardare la scena che gli si stava presentando davanti - cazzo, cazzo, cazzo. Sapeva di doverselo aspettare, certo, ma vederlo era... - scosse la testa e cercò di riprendere il suo lavoro, ma non poteva che continuare ad alzare la testa verso il centro della sala, sentendo ogni volta una fitta allo stomaco.
Filippo avrebbe riso, se avesse potuto: era incastrato a ballare tra una ragazza ed un ragazzo e la cosa gli sembrava alquanto surreale. Lei gli si strusciò contro seguendo il ritmo della musica, mentre l'altro posò le mani sui suoi fianchi ed il cantautore si sentì disorientato per qualche attimo - cercò lo sguardo di Einar quasi istintivamente, trovandolo indaffarato. Dio, finiva sempre per pensare a lui. La ragazza gli diede la schiena iniziando a dimenare il sedere a ritmo, le gambe piegate, per protendersi meglio verso di lui, mentre l'altro gli si appiccicava addosso stringendo di più i suoi fianchi.
Einar, invece, qualche metro più in là, shakerò un cocktail con un po' troppa forza, serrando le dita attorno al cilindro con quello che era - oh, era fastidio? Controllati, cazzo, si disse, che lui e Filippo non avevano firmato alcun contratto di esclusiva, che si stavano semplicemente divertendo a passare le giornate insieme e a scopare, che stavano entrambi cogliendo l'attimo con leggerezza, che - fanculo. Prese un grosso respiro e versò il cocktail nel bicchiere, evitando che gli occhi gli cadessero ancora sulla pista da ballo (quella gli stava twerkando addosso!!!) o sul braccio, lì dove Filippo gli aveva fatto la fasciatura con quella cura che - basta. Filippo poteva scoparsi chi voleva e lui doveva essere contento di vederlo così libero mentre ballava, che aveva ascoltato tutti i suoi consigli dati in quei giorni. Cazzo, aveva la bocca secca e un dolore incredibile allo stomaco.
Il cantautore posò le mani sui fianchi della ragazza e si leccò le labbra, mentre cominciava a sentire un caldo soffocante. Continuò a muoversi seguendo la musica, piegando il capo da un lato quando il ragazzo gli mormorò chissà cosa nell'orecchio - il bacino incollato al suo.
Einar si fermò un attimo e fissò la scena deglutendo per cercare di calmare tutte le emozioni che stava sentendo dentro: una grossa parte di sé avrebbe voluto andare lì e riprenderselo, mentre l'altra, più razionale, sapeva di non aver alcun diritto a - fanculo. Fanculo, fanculo, fanculo.
Mollò il cocktail in mano a Marisol dicendole che avrebbe fatto la sua pausa e, senza nemmeno aspettare risposta, uscì da dietro il bancone: fendette la folla, quasi senza guardare dove stesse mettendo i piedi, ma camminando dritto verso la meta, i tratti del viso tesi, affilati dal fastidio che stava sentendo dentro.
Si infilò tra Filippo e la ragazza, praticamente spodestandola, facendola andare a twerkare un po' più in là (lei protestò nemmeno troppo debolmente e lui la ignorò), l'importante che adesso fosse lontana dall'italiano - posò le mani sulle spalle del cantautore, sebbene in realtà nemmeno lo stesse guardando, ché i suoi occhi erano impegnati ad attirare lo sguardo del tizio che ballava appiccicato a Filippo, premendosi su di lui.
"Tu" fece non appena quello lo guardò. "Muévete. Vete a la mierda" sibilò con aria, pues, piuttosto minacciosa.
Filippo sentì quello dietro rispondere con qualcosa che suonava offensivo, prima di spostarsi e ballare da un'altra parte. Guardò confuso Einar, trovandolo incredibilmente sexy con quell'espressione scura in volto.
"Cazzo, non è che potresti ripeterlo?" domandò in tono quasi scherzoso, cingendogli la vita con le braccia.
Quello si assicurò che sia il ragazzo che la ragazza si fossero volatilizzati da lì e poi abbassò di nuovo gli occhi per guardare (o forse vedere) Filippo. "Cosa? Vete a la mierda?" chiese a sua volta, la mandibola ancora serrata.
Ed eccolo lì, il modo in cui la voce del cubano si piegava sotto quelle parole - il biondo si schiarì la gola e lasciò un bacio sul collo dell'altro. "Mi piace come lo dici."
Einar socchiuse gli occhi: si sentiva stupido per quello che aveva appena fatto, ma si era sentito così geloso da non ragionare e - cazzo - tutto ciò non aveva senso. Gli passò le dita tra i capelli e gli tirò il capo all'indietro, lì per andare a succhiare una porzione di pelle, proprio sul pomo d'Adamo - quasi lo fece con prepotenza, graffiandolo coi denti.
Filippo sospirò appena, stringendolo a sé e lasciandolo fare. "Eri geloso, Ein?" mormorò contro la sua guancia, un sorriso divertito sul viso.
Quello risalì coi baci lungo la linea del collo, gli morse il mento e proseguì fino all'orecchio, lì dove sospirò appena. "No" mentì.
Il ventunenne sorrise un po' e lo baciò forte, completamente rapito da quello che era appena successo. D'un tratto non si sentiva più così stupido per essere stato geloso del capo giusto poco prima. Merda, stava cominciando a provare qualcosa che andava oltre, vero? No, no. Passa, passa. Passerà presto.
Einar gli tirò i capelli dentro a quel bacio, gli fece reclinare il capo all'indietro mentre seguiva la linea del suo corpo col proprio, mentre gli si premeva addosso. Si scostò appena, il fiato spezzato da quel momento - lo guardò dritto negli occhi. "Va' con loro, se lo vuoi" mormorò, che alla fine lo pensava davvero, per quanto gli desse fastidio anche solo immaginare un finale di serata simile. Dopotutto, Filippo era libero di fare ciò che voleva: erano due sconosciuti alla fine, no? Cazzo, no. Non lo erano più. No.
Quello scosse il capo, ridendo un po', mentre gli baciava il collo e risaliva fino alla guancia, poi la tempia, finendo poi sulle sue labbra mentre scendeva. "Fanculo loro, voglio te." affermò, guardandolo negli occhi. "Quand'è che finisci il turno?"
Voglio te. Voglio te, voglio - Einar si aggrappò alle sue spalle, lo sguardo che si perdeva nel suo. "Tardi" ammise, rendendosi conto che sarebbe dovuto tornare dietro al bancone in breve. "Ti va de aspettarme?" domandò, come se fosse davvero necessario chiederglielo.
Filippo lo baciò e lo strinse un altro po' a sé. "Certo. Dopo andiamo di nuovo in spiaggia? Prima di andare a casa." propose, strusciando il naso contro il suo collo.
"Sì" rispose lui, le labbra contro la sua guancia, mentre si muovevano piano, ad un ritmo inventato, dentro a quelle note cubane - solo loro, c'erano solo loro, nessun altro. "Vuoi fare el baño?"
"Diciamo." fece il ventunenne in tono misterioso, baciandogli la guancia.
"Devo tornare a trabajar" mormorò il cubano, scostandosi piano. "Vuoi bere algo más?"
Filippo ci pensò su, mentre lo seguiva verso il bancone. Per quello che aveva in mente, probabilmente, gli sarebbe servito tantissimo coraggio liquido - uno dei pochi modi che conosceva per sentirsi realmente libero. "Degli shottini di rum?" chiese, sedendosi al proprio posto.
Einar rise, annuì piano e tornò dietro al bancone posando subito dopo un bicchierino davanti all'italiano. Si chinò verso di lui e gli lasciò un bacio sulla bocca, le mani sul suo viso.
Dietro di loro, una Marisol sorridente.

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