DOCE

607 48 11
                                    

CUBALIBRE
Doce

Domani

Domenica

Einar aprì la porta del frigo con un passo di danza - compì un giro su se stesso e poi dimenò un po' i fianchi canticchiando ancora quella canzone che aveva ascoltato la notte prima. La notte prima, sì: voglio fare l'amore con te, gli aveva sussurrato Filippo e lui si era sentito morire dentro, ma morire positivamente - ci si poteva sentire morire in senso positivo? Diamine, doveva per forza essere possibile, perché lui era così che si era sentito quando Filippo glielo aveva confessato, quando lo aveva guardato con quegli occhi verdi ed infiniti e poi lo aveva baciato, mettendo a tacere ogni pensiero. Poi avevano riso per la sabbia appiccicata ovunque, che non si staccava più di dosso e, anzi, più provavano a toglierla, più se la trovavano addosso - "Come la sabbia in Sardegna" aveva detto Filippo ridendo, rinunciando a scrollarsela via dalla coscia.
Erano tornati a casa camminando per le strade deserte, spintonandosi e prendendosi in giro, con dentro una sensazione di leggerezza indescrivibile. Messo piede in casa si erano trascinati sotto la doccia, giocando come due bambini e finendo per insaponarsi a vicenda, sbaciucchiandosi e facendosi i dispetti, esaurendo le ultime forze: erano letteralmente crollati a letto, esausti per quella giornata infinita, abbracciati stretti nonostante il calore che non lasciava praticamente mai la città.
Einar, che aveva deciso di procacciare la colazione, infilò meglio la testa dentro al frigo: non ci trovò niente di commestibile se non un cartone di succo di ananas, ancora pieno per metà - chiuse la porta con un altro giro su se stesso, piegò le braccia (il succo di frutta stretto in una mano) e compì un passo di salsa, sculettando qua e là, la canzoncina che gli suonava tra le labbra. Dopo un'altra breve ricerca (ed altri movimenti che sicuramente avrebbero fatto impazzire di malizia Filippo) riuscì a scovare dei biscotti al cioccolato. Danzò lungo il corridoio e fece capolino in camera da letto, lì dove Filippo pareva essersi di nuovo appisolato - si lanciò sul materasso tenendo stretto il bottino, per svegliare quel sussurellone.
Filippo non riuscì a trattenere un sorriso divertito quando avvertì il letto muoversi ed il respiro del cubano sul viso: si era svegliato giusto due minuti prima ed aveva chiuso gli occhi per fingere di dormire. Imbronciò le labbra, come a voler chiedere un bacio - le palpebre serrate.
"Siempre duermes mentre io devo lavorare para avere el desayuno" si lagnò quell'altro pinzandogli il naso con due dita e facendogli muovere il viso su e giù, come se stesse annuendo. "Vedi, tu estesso dici che è vero."
"Ma sono un niño." rispose lui, aprendo gli occhi e sorridendo divertito dalla voce incredibilmente nasale. "Devi prenderti cura di me, darmi cibo -" si leccò le labbra. "- baciarmi."
"No, se sei dispecioso" puntualizzò il cubano, inventando una parola tutta nuova - era così in italiano, no?
Il cantautore lo guardò confuso - dispe... Che? "Dispettoso?" domandò, cercando di capire se avesse compreso.
"Eh, e io che he dicho" fece Einar premendogli l'indice sulla punta del naso e facendoglielo arricciare - mollò la presa e si abbandonò sul letto con un sospiro, a pancia su e con le braccia larghe (una proprio sul viso dell'altro, per infastidirlo ancora un po').
Filippo gli morse piano il dorso della mano, prendendola poi nella sua ed intrecciando le dita. Sorrise un po', voltando il capo per guardarlo. "Allora devi punirmi?" chiese, stendendosi su un lato.
Lui scoppiò a ridere e girò la testa per incrociare il suo sguardo - fece schioccare la lingua cercando di mandare via quel pensiero malizioso che gli stava attraversando pericolosamente la mente.
"Penso che te punirà sapere che cosa ha rimasto para desayunar" scherzò.
Il biondo si morse un labbro. "Dimmi che non sono rimasti soltanto i pop corn." lo pregò.
L'altro si tirò su a sedere e si allungò a prendere ciò che aveva trovato in cucina: "Succo de ananas y biscotti al cioccolato" gli rivelò, mostrandogli il pacchetto ed il cartone della bevanda, che quando si era lanciato sul letto erano finiti sotto le lenzuola, dietro di lui.
Filippo si sporse a dargli un bacio, rubandogli la confezione di biscotti. "Cioccolato, cioccolato." canticchiò sulle sue labbra.
"Niñito eres" rise Einar mordendogli un po' il labbro e poi lasciandosi cadere di fianco a lui, lo sguardo sulla finestra a guardare il sole già alto.
"¿Qué horas son?"
Il cantautore sospirò e si lasciò cadere all'indietro con un tonfo. "Vediamo un po'." disse allungando il braccio per prendere il cellulare dal mobiletto di fianco al letto. Lo sbloccò e scosse il capo, notando un sms. "Sono le dieci e mezza." rispose, cliccando poi sulla notifica. Lorenzo - gli aveva mandato un sacco di messaggi su WhatsApp, perché mandargli anche un sms? Aprì il messaggio e si bloccò per un attimo, poi si mise seduto di colpo.
No, no, no, non era possibile, cazzo.
Einar si tirò su d'istinto, le gambe incrociate e la mano che si muoveva, in automatico, per posarsi sulla sua spalla, notando quanto fosse teso il suo corpo e - cazzo, Filippo era sbiancato. "¿Todo bien, niño?" mormorò allora, come quella volta, come la prima notte che avevano passato insieme, quando l'italiano gli era parso nervoso ed insicuro.
Filippo aprì la mail di conferma della prenotazione del volo e controllò la data di ritorno: merda, era davvero...
"Domani sera ho il volo per l'Italia." disse soltanto, che era ancora incredulo: com'era possibile che il tempo fosse passato così in fretta?
In che senso il giorno dopo lui sarebbe - no, no, no. Einar sentì un fischio insistente nelle orecchie, il cuore che gli martellava nel petto ed il respiro totalmente bloccato. Cazzo - rimase immobile.
L'italiano gettò il telefono un po' più in là, arrabbiato con se stesso per non aver controllato la data, per essere arrivato all'ultimo giorno. "Porca puttana." si lasciò scappare tra i denti, passandosi le mani sul viso, incredibilmente frustrato.
Quello mosse la mano dalla spalla alla base del collo, lì dove salì ad accarezzargli i capelli. "Ehi" mormorò - si tirò su in ginocchio e gli si fece più vicino aderendo con il petto alla sua schiena ed abbracciandolo. "Ehi..." ripeté.
"Non credevo fosse già domani." provò a giustificarsi. "Avrei dovuto controllare, cazzo." sbuffò, stringendosi a lui.
"Abbiamo ancora tante ore" gli rispose Einar, la mano stretta alla sua e le labbra, adesso, appoggiate alla sua guancia. "Muchísimas, Feli."
E stava davvero provando a convincersene, ad assimilare quella notizia e a pregare il cuore di smetterla di battere così forte e le orecchie di fischiare così, rendendo tutto ovattato e lontano - e tanto, tanto pesante.
A quelle parole, Filippo deglutì e si voltò verso di lui, seduto a cavalcioni sulle sue gambe. Gli afferrò il viso con le mani e lo guardò negli occhi, già malinconico. Aveva ragione, aveva ragione, aveva - "Non sprechiamone neanche un po'." fece. "Nemmeno un secondo."
Quello sorrise - tristemente, un sorriso così triste - ed annuì, la fronte contro la sua, le mani sui suoi fianchi, ad accarezzarli piano. La sua pelle, la sua consistenza, gli spigoli delle sue ossa, Dio, quanto gli sarebbero mancati - bloccò il tremore alla mano, che stava provando in ogni modo a mostrarsi positivo. "Devi portarte via tutto, Feli, tutta la libertad che hai trovato qui en Cuba. Non - tu non lasciarla qui, portala contigo."
Te, pensò il cantautore, vorrei portare te con me. Inspirò profondamente, poi lo baciò, provando a mettere da parte la tristezza ed ogni cosa negativa. Voleva star bene nel tempo che gli restava lì, star bene e basta - star bene con lui.
"Prometelo" insistette Einar dentro ad un altro bacio, le mani premute più strette sui suoi fianchi. Sapeva quanta fatica fosse costata a Filippo liberarsi di tutte le paure e di tutte le paranoie che lo avevano sempre soffocato e limitato - spogliarsi di tutto, permettersi di essere vulnerabile senza vergognarsene era stato difficile. Per questo non poteva permettere che Filippo perdesse il vero Filippo, quello che aveva cercato e trovato sotto strati e strati di maschere che aveva sempre indossato. Avrebbe potuto sopportare - forse - l'idea di perderlo per sempre, ma non il pensiero di fargli perdere se stesso.
Quello gli passò le mani tra i capelli e lo baciò ancora. "Prometto." sussurrò sulle sue labbra. "Te lo prometto." ripeté, baciandolo poi con forza.
Einar gemette piano, gli occhi adesso socchiusi ed il cuore - quasi - in pace, ora che glielo aveva promesso. Si alzò, sbrogliando le gambe dalle lenzuola stropicciate ma continuando a baciarlo, camminando all'indietro fino ad appoggiarsi al davanzale interno della finestra, la schiena nuda contro il vetro - sorrise, tirandosi il cantautore meglio addosso.
Filippo sorrise piano e gli morse il labbro inferiore, mentre con le mani scendeva a stringergli i fianchi e si premeva contro di lui. "Sei la mia colazione per stamane?" chiese, appoggiando la fronte contro una delle sue guance.
"Una colazione especiale: colazione con vista su La Habana" sussurrò quello in risposta, allacciando le gambe alla sua vita e respirando piano: da una parte voleva far correre il tempo e riuscire a fare altre mille cose con Filippo - a farlo altre mille volte con lui. Dall'altra, invece, voleva fermare il tempo, impedirgli di avanzare, impedire di far arrivare domani.
"Quanto sono fortunato." disse quello, sinceramente, lo sguardo fisso nel suo. Lo baciò lentamente, che quasi voleva andare più piano possibile: voleva durasse tanto, durasse più del dovuto.
Il cubano rise piano, il cuore che gli tremava in petto mentre lo baciava ancora e la risata andava a spezzarsi tra le sue labbra. Posò di nuovo i piedi a terra e si voltò tra le sue braccia, lasciando che la bocca di Filippo non si staccasse mai dal suo corpo, dalla sua pelle - socchiuse gli occhi, girandosi a guardarlo oltre la spalla, la mano posata lievemente sul vetro. "Y ahora - ¿ahora te gusta más?" mormorò, un sorriso lascivo sul viso.
Il cantautore inspirò profondamente il profumo della pelle dell'altro, provando a memorizzato, a immagazzinarlo nella mente. Con le mani attirò il bacino del barman verso il proprio e sorrise un po', premendo le labbra contro la sua guancia. "Cazzo, sì." mormorò, quasi scherzando, mentre tornava con la mente a giorni prima, quando erano stati nella stessa situazione, ma a ruoli inversi.
Ed Einar chiuse gli occhi, chiuse gli occhi e sorrise, sentendosi bene, bene come se quel momento potesse essere infinito - forse lo era, forse doveva esserlo davvero.
Domani, domani, domani - il pensiero faceva paura, il pensiero era pesantissimo e minava la leggerezza che avevano conquistato in quei giorni. Serrò la mano a pugno trasformando quella paura in un gemito - vivere il momento, dovevano vivere il momento.
Lo sentì premersi di più contro di sé, le labbra posate alla base del collo, un sospiro sulla pelle, la mano adesso sulla sua - ed Einar non desiderò altro che sentire il profumo ed il respiro di Filippo vicini per tutto il resto della sua fottuta esistenza.

Cubalibre || EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora