DIEZ

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CUBALIBRE
Diez

Ciao Jo!

Venerdì

Alla fine in doccia si erano soltanto rilassati e scaldati - Filippo si sentiva così piacevolmente stanco che si sarebbe addormentato volentieri sotto il getto d'acqua, ma era valsa la pena stare svegli per quello che era successo dopo.
Già, dopo: Einar aveva preso la chitarra ed aveva cominciato a strimpellare, mentre lui cantava frasi apparentemente senza senso, appuntandosele poi sul quadernino.
"Mi fai impazzire che ti ammazzerei." canticchiò, lanciando un'occhiata divertita al barman.
Einar lasciò andare una piccola risata, le gambe incrociate e la chitarra appoggiata alle cosce - scosse un po' la testa a ritmo, continuando a suonare quelle note che parevano aver ispirato l'italiano. Dopo che Filippo glielo aveva chiesto più volte, Einar aveva deciso di portare la chitarra alla villetta, per poter suonare qualcosa con lui in quei giorni che gli rimanevano. Pizzicò le corde coi polpastrelli, il capo piegato in avanti a guardare che le dita seguissero il ritmo giusto.
Il cantautore lo osservò con un sorriso e si leccò le labbra. "Mi piace da morire vederti suonare."
Quello si allungò verso di lui per lasciargli un bacio sulla labbra, poi si sistemò di nuovo la chitarra sulle gambe, la schiena appoggiata ad un cuscino. "Proviamo algo un poquito più esotico?" gli propose con un sorriso: voleva aiutare la sua ispirazione coi ritmi cubani, quelli che avevano assorbito in tutti quei giorni - quelli di cui era impregnata Cuba.
Filippo sorrise un po' di più alla melodia ritmata che Einar aveva cominciato a suonare. "Cazzo, sì, questa è bella." disse, mentre la mente cominciava a buttare qui e lì frasi sconnesse. "Io e te, un bar." cominciò, gli occhi fissi sull'altro. "Andiamocene via di qua." come ogni dannata volta che quasi scappavano via dal locale. "Dove l'orizzonte non ha fine." continuò, infilandoci un po' di la la la la dopo. "Se ci perderemo resterà un momento."
Quello seguì le sue parole con le note, la testa che si muoveva a quel ritmo e le labbra arricciate, mentre annuiva in accordo con le strofe che scivolavano via dalla bocca dell'italiano. "Dove el orizzonte non ha fi-ne" ripeté ammorbidendo tutte le pronunce. "La sabbia fi-ne" aggiunse, ispirato a quelle lunghe passeggiate sulla spiaggia, ad aspettare l'alba tra le mille chiacchiere.
L'altro lo guardò, compiaciuto per quel continuo e non fermò le parole che seguirono. "Quanto sei fi-ne quando arrossisci per un complimento." canticchiò, anche perché era così vero: lo aveva visto arrossire fin dalla loro prima notte insieme.
"Esmettila" rise Einar, sentendosi avvampare, forse proprio per il modo in cui Filippo lo stava guardando mentre canticchiava quella strofa - gli diede un calcetto, divertito.
Filippo si allungò a dargli un bacio sulle labbra, ridacchiando un po'. "Vedi che ho ragione?"
"Estúpido" continuò quello, trattenendogli il labbro tra i denti e poi lasciandolo andare piano, con un sorrisetto. Riprese a suonare, leggero e con le guance ancora lievemente arrossate: "Io y te, un bar" iniziò di nuovo, la testa che si muoveva da una parte all'altra, mentre pizzicava le corde. "Andiamocene via de qua - dove el horizonte non ha fi-ne, la sabbia fi-ne" canticchiò, mettendo insieme le strofe.
"Quanto sei fi-ne quando arrossisci per un complimento." continuò quello, segnandosi quei versi sul quadernino. "Se ci perderemo resterà un momento." anche se quel resterà non lo convinceva molto. Seguì un na na na allo stesso ritmo.
Einar bloccò le corde di botto, come per dare un ritmo diverso, la testa sempre che seguiva le note - rallentò la melodia, intonandola con un semplice na na na, mentre pensava. "Te deseo, ¿no ves cuánto te dese-e-e-o?" scherzò, tanto per buttare lì qualche altra strofa - tanto per giocare ancora un po' con lui.
"Mi piace!" esclamò Filippo, sorridendo divertito. "Sai che ne potrebbe uscire una hit estiva?" scherzò, canticchiando tra sé e sé quelle strofe.
"Escrivi, escrivi" lo prese ancora in giro quello, dandogli un altro calcetto. "Felipe: la estrella con las plumas" inventò divertito, scrivendo in aria quelle parole e poi facendo segno con le dita di un neon che le illuminava a intermittenza.
Il cantautore arricciò il naso, divertito, poi iniziò a fischiettare, pensandola in italiano. "Guarda che poi ti do parte dei diritti d'autore." lo avvisò, facendogli l'occhiolino.
Einar scoppiò a ridere e scosse la testa, mormorando un ci conto e poi facendo cadere il silenzio per qualche attimo - ancora qualche nota.
"Esperiamo che a fare hit estive sei più bravo che a fare le foto, però" lo prese in giro dopo un po' (stupido bisogno di allontanare quel pensiero rivolto al futuro), che quel pomeriggio avevano scattato qualche selfie e lui si era divertito a rovinare tutte le pose con smorfie e boccacce, come un bambino dispettoso - fissò le corde della chitarra, adesso fischiettando un po' e fingendo disinteresse.
Filippo lo guardò, fingendosi scandalizzato, e prese in mano il cellulare, scorrendo le foto che avevano fatto quel giorno. "Questa è colpa mia?" domandò, mostrandogli una foto in cui lui era serissimo, mentre il cubano faceva una boccaccia.
Einar fece un sorrisetto, si chinò in avanti a guardare meglio lo schermo e si indicò col dito. "Qui? Estavo starnutendo" si giustificò con la faccia da schiaffi.
"Sì?" rise quello. "E qui?" chiese, mostrando una foto in cui faceva una linguaccia.
"Qui estavo pensando a el Rabo Encendido perché avevo fame" annuì lui, cercando di buttare giù la risata che gli stava nascendo in fondo al petto e mantenersi serio.
"Ah, sì, certo." rispose Filippo. "Scusa se non l'ho capito prima."
"¡Mira!" esclamó spalmandosi Einar su di lui, il petto nudo contro la sua schiena - lo fece chinare in avanti, dispettoso, e fece scorrere la foto successiva. "Qui, invece, mi era entrato qualcosa en el naso" spiegò indicando lo scatto, dove con l'indice si teneva la punta del naso premuta e faceva gli occhi storti.
"Quanto sei scemo." rise l'italiano, voltando il viso e provando a mordergli una guancia.
Quello gli mise la mano sulla faccia e lo spinse un po' via, divertito. "Vediamo las otras, las otras!" esclamò allora, esaltato come un bambino, cadendogli assolutamente per sbaglio addosso, che si era sbilanciato per battere le mani, mica intenzionalmente.
Filippo si lamentò con tono infantile, mordendogli piano la punta del naso. "Mi hai fatto tanto male." si lagnò.
Einar rise, annuendo in accordo - scivolò sotto il suo corpo, le labbra appena appena imbronciate. "Qué malo soy" si accusò da solo, l'espressione a metà tra l'innocente e il colpevole - e divertita, tanto divertita.
"Malo, malo, malo." canticchiò il ventunenne, baciandolo piano. Amava così tanto questi momenti così spensierati.
E lui si lasciò baciare, chiuse gli occhi e schiuse le labbra incontrando meglio la sua bocca, respirando piano - calma, quei minuti erano diventati un concentrato di calma ed Einar iniziava ad avere paura di perderli, di non poterli avere più. Ma era così, dopotutto, prima o poi li avrebbe persi: quando parti?, era la domanda che gli bruciava dentro, eppure non aveva il coraggio di farla uscire. Spinse la punta della lingua lungo la linea del suo labbro superiore e sospirò appena.
Quello lo osservò attentamente, studiando ogni minimo particolare per imprimerlo nella testa. Lo baciò ancora ad occhi socchiusi, ché aveva voglia di guardarlo sempre - sempre sempre.
C'era qualcosa, invece, che continuava a venire in mente al cubano, mentre baciava Filippo così lentamente da sentirsi rilassato del tutto: era un pensiero che, inconsciamente, ributtava all'indietro, come qualcosa che aveva dimenticato di fare e - merda! - saltò in aria tirandosi su a sedere d'improvviso (e quasi dando una testata all'altro).
"Che succede?"domandò Filippo, sedendosi e guardandolo confuso. "Che hai?"
Quello quasi si catapultò giù dal letto sistemandosi l'elastico dei boxer. "Ho il turno al locale!" spiegò, che nella sua vita non si era mai dimenticato nulla, soprattutto le cose importanti, ed ora si ritrovava a non essersi ricordato di dover lavorare - ma dove aveva lasciato i vestiti? Ah, già, bagnati a bordo piscina. Ma doveva avere qualcosa lì, no? Praticamente ci si era trasferito!
Il cantautore lo osservò muoversi agitato per la stanza e si schiarì la gola, alzandosi. "I tuoi vestiti sono nell'armadio." gli ricordò.
Oh, vero. Aveva lasciato dei cambi in quella casa dopo qualche giorno che si erano conosciuti, quando era diventato piuttosto chiaro che avrebbero passato altro tempo insieme (sebbene la maggior parte implicasse attività da fare senza vestiti). Aprì l'armadio e prese la sua divisa, infilandosi i pantaloni bianchi di corsa e poi lanciò a Filippo un paio di jeans chiari. "¡Muévete!" rise, che era ovvio che andasse con lui al locale.
Quello scosse il capo e si infilò in fretta i pantaloni. "Eccomi, eccomi." rispose divertito, prendendo una maglietta a caso ed indossandola. Lo baciò forte non appena gli fu vicino, pizzicandogli poi un fianco. "Andiamo."
"Me fai pure dimenticare mi trabajo" mugolò il barman trattenendolo per un altro bacio - e ancora uno, sì. Tanto era già in ritardo, cosa sarebbe cambiato se lo avesse baciato ancora un po'?
Poco, poco, pochissimo, un minutito más.

Cubalibre || EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora