SEIS (2/2)

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CUBALIBRE
Seis (2/2)

La musica non è abbastanza importante per te?

Per la prima volta in più di un anno che lavorava alla discoteca, Einar aveva telefonato per dire al capo che non si sentiva bene e che non sarebbe potuto andare a lavoro - si, non si dicevano le bugie, la sua parte da bravo ragazzo era un po' indispettita con lui, in effetti. Però, davvero non aveva avuto la voglia e la forza necessarie per uscire di casa dopo quel pomeriggio passato lì con Filippo. Si erano alzati dal divano con molta calma (e piuttosto esausti da quella sessione extra di attività fisica) ed il cantautore aveva ceduto il posto sotto la doccia all'altro, invitandolo ad andare per primo e ricordandogli che, se solo avesse avuto le forze, certamente non lo avrebbe lasciato lì tutto solo, col rischio che si addormentasse come in passato.
In quei giorni passati a stretto contatto con l'italiano, Einar si era lasciato travolgere da ricordi agrodolci che, a volte facevano bene, altre facevano male: non aveva potuto impedirsi, stando a stretto contatto con un cantautore, di ripensare alla musica in maniera diversa, in maniera più personale e non solo come componente basilare della vita cubana: era come se, anziché accompagnarlo e stargli accanto, questa volta la musica lo avesse trafitto e gli fosse tornata dentro, a mescolare tutte le sue emozioni. Forse era proprio per questo che mentre l'italiano era sotto la doccia, lui aveva aperto l'armadio della camera da letto e aveva tirato fuori la vecchia chitarra di suo padre. Guardarla aveva fatto male, aveva portato a galla ricordi dolorosi, aperto di nuovo ferite ancora fresche. Eppure - eppure, l'aveva presa ed era andato in salotto, si era seduto sul davanzale interno della finestra, la tenda di nuovo scostata e, con la testa china sullo strumento, aveva iniziato a muovere le dita sulle corde, pizzicandole piano, come a riprendere il giro, invadendo la stanza di una melodia inventata.
Filippo rientrò in salotto mentre si asciugava i capelli con un asciugamano - addosso soltanto un paio di boxer ed una maglia marroncina di Einar che gli andava un po' grande. Aveva quasi creduto che la musica venisse da fuori, poi, però, aveva alzato lo sguardo e si era fermato a pochi passi dal divano, quasi non volesse spezzare il momento: la chitarra gli donava maledettamente bene e, anzi, sembrava quasi essere in un altro mondo ora che suonava. Rimase lì a fissarlo e ad ascoltare senza dire o fare nulla.
Einar fece ciondolare la testa piano, da una parte all'altra, mentre seguiva le note che creava con le dita, gli occhi socchiusi - articolò qualche parola, ora che la melodia era diventata una canzone che conosceva. Buffo, buffo fosse arrivato a suonare la canzone preferita di suo padre. Buffo che d'improvviso ne ricordasse il testo come mai prima.
"Mai, tu non mollare mai, rimani come sei, ensegui el tuo destino, porque tutto el dolore che hai dentro non potrà mai cancelar el tuo camino" fece, mischiando lo spagnolo all'italiano. "Allora escoprirai che -" aprì gli occhi e - oh.
Il cantautore incontrò il suo sguardo e gli sorrise piano, facendogli un segno con la mano. "Vai, continua. Voglio ascoltarti."
Quello si umettò le labbra, deglutì - impedì alla voce di tremare mentre riprendeva a cantare, gli occhi umidi bassi, che si vergognava un po'.
"Y allora escoprirai che la storia de ogni nostro minuto pertenece solamente a noi" intonò, sentendo qualcosa dentro crescere dentro di lui - si bloccò dopo il ritornello, facendo scemare le note lentamente. Il silenzio che seguì l'attimo dopo fu assordante.
Filippo, ormai seduto sul divano a gambe incrociate, lo guardò impressionato, quasi non credesse a quello che aveva sentito. Si leccò le labbra, poi sorrise (un sorriso enorme) e applaudì piano. "Quanto cazzo sei bravo?" si lasciò scappare, stropicciandosi un occhio con la mano.
Il cubano lo fissò, quasi a cercare tracce di bugie in quella frase che aveva buttato fuori. Si tolse la chitarra dalle gambe e la posò a terra, tenendola per il manico - scrollò le spalle. "Non è nada" disse solo, un sorriso un po' amareggiato sulla bocca.
"Ein, sei bravissimo." ripeté il cantautore. "Credimi, non ho mai sentito nessuno cantare così." ed era vero: la voce di Einar era calda, limpida, elegante - quasi non aveva aggettivi per descriverla.
Quello strinse le labbra, poi scosse vigorosamente la testa. Aveva sbagliato, non avrebbe dovuto suonare di nuovo, né lasciare che le parole dell'altro potessero anche solo iniziare a mettergli strane idee in testa - o forse avevano solo iniziato a togliere della polvere dai suoi desideri più forti e, ormai, nascosti.
"Ci ho provato, ci ho provato a seguire i passi de mi papà" disse, però, prima che riuscisse a fermarsi. "Ma a volte se debe dare la precedenza alle cose importanti de la vida" completò. Eccola, la differenza tra di loro: Filippo avrebbe potuto fare ciò che sognava, lui no, non se rimaneva fermo lì, in un paese dove non aveva futuro.
Filippo aveva sentito quel genere di frasi decine e decine di volte, da quando aveva confidato ai suoi quello che voleva realmente fare; sentirle da Einar, però, lo colpì in pieno petto. Lui che nei giorni scorsi gli aveva fatto capire di pensarla più o meno allo stesso modo, lui che - prese un respiro profondo e scosse il capo. No, no. Erano due cose diverse probabilmente.
"La musica non è abbastanza importante per te?" domandò, sinceramente curioso.
Einar lo fissò per un lungo attimo, quasi stesse soppesando cosa rispondere, quasi si stesse chiedendo se davvero Filippo gli avesse fatto una domanda simile - si umettò le labbra, le dita più strette attorno al manico della chitarra.
"Tutto ciò che te ho dicho in questi giorni è il mio vero pensiero - non mento, quando parlo de musica. Ma guardati intorno, niño, come posso esperare en un futuro fatto de musica in questa realtà?" fece, mantenendo sul viso un sorriso - amaro, amarissimo, eppure c'era. "È solo - solo un hobby, non -" prese un respiro profondo, che faceva così male affrontare di nuovo quella verità. Si era messo il cuore - apparentemente - in pace in quegli anni, però adesso era tornato tutto a galla, a causa di o grazie a Filippo. "Non può essere altro, adesso."
Il cantautore si sentiva quasi stupido perché non riusciva a comprendere quelle parole, non quando l'altro lo aveva spinto a continuare, non quando lo aveva fatto decidere sul contratto. Il musicista di strada era per caso servito solo a lui? Dio, si sentiva - si guardò intorno, come se la casa potesse dargli delle risposte, ma d'improvviso sembrava così angusta ed estranea da disorientarlo. Deglutì e strinse le labbra, provando ad avere un atteggiamento positivo. "Puoi provarci, però, no?" disse. "Puoi provare a cantare in qualche locale, puoi provare a - puoi."
Il cubano sorrise, mentre una parte di sé si sentiva rassicurata da quelle parole, rigenerata e gli faceva venire voglia di cantare fino alla fine dei suoi giorni. Si alzò, appoggiò la chitarra alla parete e si avvicinò a Filippo, sedendosi sul divano, la testa contro il cuscino. "Mio padre è mancato poco più di un anno fa - all'improvviso, sai" mormorò chiudendo gli occhi, la spalla a sfiorare la sua. "È estato tutto così rápido che da un giorno all'altro mi sono ritrovato a dover mantenere mi familia, che papà era l'unico a tener un trabajo: mia madre, lei non -" scosse la testa, un sorriso amaro di nuovo sulla bocca. "Mando tutto el dinero che posso alla mia famiglia, dall'altra parte di Cuba: è una vita sencilla la nostra, ma - Dios, non so perché te estoy raccontando tutte queste storie tristi" accennò una risata - tetra, piuttosto tetra, sì.
Filippo gli accarezzò una guancia e gli posò un bacio tra i capelli. La situazione divenne più chiara, man mano che Einar parlava e lui si sentì ancora più stupido. "Hai mai pensato di andartene?" perché sembrava così ovvio, per lui, trasferirsi per trovare fortuna. Forse, però, non era la domanda giusta da fare.
"Andarmene?" mormorò quello raggomitolandosi contro il suo corpo, gli occhi ancora chiusi. "Come potrei lasciare indietro la mia famiglia? Mi abuelo - mio nonno è anziano e está malato, io non - non posso farlo" spiegò, la voce calma, quasi positiva. "E poi costa troppo, ricominciare altrove."
Il biondo annuì, stringendolo a sé. Era stata una domanda abbastanza scema, lo doveva ammettere, ma non aveva potuto farne a meno. Gli baciò la fronte e gli accarezzò la nuca. "Facciamo una cosa? Solo se ti va, però." propose.
"Cosa?" mugolò quello, la faccia premuta contro la sua spalla, ad ostacolare le parole.
"Finché sono qui, ti va di cantare e suonare per me?" domandò Filippo, giocando con qualche ricciolo.
"¿Desnudo?" scherzò Einar, che forse avrebbe voluto chiedergli: e fino a quando rimarrai qui?, ma non ne ebbe il coraggio. Alzò gli occhi a guardarlo e lo trovò infinitamente bello - portò la mano ad accarezzargli il viso, l'ombra di un sorriso sulla bocca.
"Non mi dispiacerebbe, sai?" rispose lui, dandogli poi un bacio sulle labbra.
Quello socchiuse gli occhi sotto il bacio, sentendo una strana calma invaderlo, placargli tempesta di sentimenti che sentiva dentro, mandare via ogni brutto ricordo - si sdraiò sotto di lui, rilassando ogni muscolo, un sospiro contro la sua bocca. "Chissà, magari te ayudaré a escrivere una canzone" lo prese in giro.
"Magari scriverò una canzone su di te." mormorò quello, baciandolo ancora. "Su quanto morbido sei."
"Non sono mica un peluche" ridacchiò il cubano sfuggendo scherzosamente al bacio, le gambe divaricate e allacciate alla sua vita.
Filippo rise e gli leccò una guancia. "Allora su quanto sei buono." si corresse, divertito.
"Bonito" fece Einar mettendogli una mano sul viso per fingere di volerlo allontanare - gli tappò il naso e scoppiò in una piccola risata. Bene, bene, quanto cazzo stava bene in quel momento. "Perchè non me ayudi a preparare qualcosa per cena? Y después te insegno a fare el cubalibre, se vuoi."
Filippo si strinse a lui ed annuì. "Va benissimo." rispose. "Sappi che sono un disastro in cucina, però."
"Lo sai che non avevo dubbi?" fece quello con tono divertito. Che forse, Filippo davanti ai fornelli c'era stato due volte in tutta la sua vita - una il giorno che avevano disastrosamente tentato di fare i popcorn.

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