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Betty si appoggiò delicatamente alla porta chiusa della stanza di suo figlio, tamburellando le dita sul legno con un gesto paziente, materno. Il silenzio dall'altro lato era denso, pesante, come un sipario calato troppo presto su uno spettacolo interrotto.

- Amore, apri la porta. - La sua voce era dolce, un sussurro attento, carico di premura.

Dall'altra parte, il ragazzo emise un verso di frustrazione, sepolto sotto un groviglio di coperte ormai calde del suo stesso respiro. Aveva passato ore lì dentro, incapace di trovare pace. Poi, una risposta secca, quasi urlata:

- No, vattene! Voglio stare da solo. - rispose con un tono soffocato, la voce impastata di stanchezza e malinconia. La voce roca di chi ha pianto troppo a lungo.

Premette il cuscino contro il viso, lasciando che la stoffa soffocasse un altro gemito di esasperazione. Il materasso sembrava avvolgerlo come sabbie mobili, trattenendolo in quella bolla di buio e pensieri pesanti.

Betty chiuse gli occhi per un istante, cercando di trattenere la frustrazione e il dolore. Sapeva che Matthew soffriva, ma vederlo chiudersi in se stesso era straziante.

- Matthew, sei lì dentro da troppo ormai. - insistette con un tono dolce ma fermo. - Esci solo per mangiare e quando torni da scuola, ti nascondi dentro queste quattro mura e non esci più fino al giorno dopo! -

Un rumore metallico. La chiave girò nella serratura una, due volte. Poi, di scatto, la porta si spalancò, lasciando entrare una lama di luce tenue nel buio della stanza. Karen si fece avanti con passo deciso, scrutando il volto del figlio.

Gli occhi di Matt erano arrossati, gonfi, cerchiati da ombre profonde come pozzi senza fondo. I capelli blu erano in disordine, segno evidente che aveva passato troppo tempo a tormentarsi nel letto.

Si affrettò ad accendere la piccola lampada sul comodino, e la luce calda si diffuse lentamente nella stanza. Gli occhi del ragazzo si strinsero all'improvviso per il fastidio.

- Tesoro... - mormorò lei, avvicinandosi.

Matt si voltò di scatto, passandosi velocemente una manica della maglietta sugli occhi per asciugare le ultime lacrime. Ma non poteva ingannarla.

- Lei come sta? - chiese sottovoce, sedendosi sul bordo del letto, le mani incrociate tra le ginocchia.

Betty sospirò e si sedette accanto a lui, con una lentezza studiata. Voleva dargli il tempo di prepararsi alla risposta.

- Non è messa meglio di te. - rispose con un filo di voce. - Ogni giorno aspetta che tu finisca di mangiare per poi portarsi il suo piatto in stanza. Ho notato che fuma più del solito... Ho provato a parlarle, ma niente. -

Matthew si lasciò andare contro la spalla della madre, un gesto che non faceva da anni, come se in quel momento avesse bisogno di tornare bambino, anche solo per un attimo.

- Non so che fare, mamma. Sono disperato. - ammise con un sussurro, mentre si torturava le dita. - Questa situazione mi sta consumando. Tra poco mi cadranno perfino i capelli dalla disperazione! - cercò di ironizzare, ma la sua risata si spense subito.

Betty gli accarezzò piano la guancia, un gesto antico, di conforto, di casa. Gli depositò un bacio leggero sulla testa.

- Vedrai che tutto si sistemerà. Devi solo mettere la paura da parte. -

Per un attimo rimasero in silenzio. Madre e figlio, in una camera che odorava di malinconia e di sogni spezzati.

- Dov'è adesso? - chiese poi Matt, alzandosi di scatto.

Betty si strinse nelle spalle, incerta. - È uscita parecchie ore fa e non è ancora tornata. E adesso che ci penso, succede molto spesso ultimamente... -

Un brivido attraversò Matthew. Una stretta di ansia gli attanagliò lo stomaco, ma scacciò via i pensieri negativi e si alzò dal letto. Si avviò verso il bagno e, quando alzò lo sguardo verso lo specchio, si fermò. Il riflesso che lo fissava era quello di uno sconosciuto. Capelli arruffati, occhi spenti, occhiaie scavate nella pelle troppo chiara. Perfino il colore blu della sua tinta sembrava aver perso intensità. Si passò una mano tra i capelli con un gesto esasperato, poi tornò in camera.

Prese un paio di jeans neri stretti, una maglietta bianca. Sempre nero e bianco, mai una sfumatura di grigio. Poi, senza pensarci troppo, uscì senza avvisare Betty. Doveva trovarla.

Camminò per le strade del quartiere, lasciandosi guidare dall'istinto, immerso nel silenzio della sera. I lampioni gettavano ombre lunghe sul marciapiede, e i pochi passanti lo sfioravano senza far caso a lui.

Arrivò davanti al campo dietro la scuola. Qualcosa gli fece rallentare il passo.

Lì, tra le luci soffuse dei lampioni e il profumo dell'erba bagnata dalla rugiada, c'era Miles. 

E non era sola.

Si avvicinò cautamente, nascondendosi dietro un cespuglio. Osservò in silenzio la scena davanti a lui. Matthew rimase nell'ombra, il cuore che gli batteva forte nel petto.

Era curioso. 

Miles rideva, i capelli mossi dal vento, il suo profilo delineato contro la notte, mentre Tiago le parlava con un sorriso complice. Lei beveva da un bicchiere di cartone, probabilmente cioccolata calda. Sembrava... felice.

Per un attimo, Matt provò un dolore sordo. Come se lei fosse andata avanti senza di lui.

Li seguì mentre camminavano lungo la strada, fino a vederli entrare in un piccolo negozio. 

Osservò Miles indossare un grembiule nero, seguita da Tiago, e raccogliersi i capelli in una coda alta.

Fu in quell'istante che notò la cicatrice sulla sua fronte. Una piccola linea bianca che lei di solito nascondeva sotto la frangia. Era sempre stata insicura delle sue orecchie e raramente si legava i capelli. Eppure, in quel momento sembrava non farci caso.

Miles aveva bisogno di fare mente locale. Le cose stavano cambiando troppo in fretta, quasi come quando un treno ti passa davanti a tutta velocità in stazione e tu manco te ne accorgi. Senti solo il vento che ti scuote i capelli. Alzi lo sguardo e ormai è lontano.

A volte, nella casa del suo migliore amico, si sentiva di troppo. Così, ogni pomeriggio fino a tarda sera, si rifugiava nel piccolo negozio d'antiquariato nella piazzetta principale, dove lavorava per la cugina di Tiago.

Entrambi avevano ritrovato un amico nelle ultime settimane.

Un tuono rimbombò sopra la città. Matt alzò gli occhi al cielo. Nuvole grigie si erano addensate sopra di lui senza che se ne accorgesse. Sentì una goccia fredda scivolargli sulla guancia. Poi un'altra. E un'altra ancora.

Doveva rientrare.

Si alzò in fretta, ma i suoi muscoli erano intorpiditi per la lunga posizione accovacciata. Inciampò su un ramo caduto, atterrando rovinosamente a terra con una smorfia di dolore.

- Merda. - sibilò, stringendo i denti mentre si massaggiava il ginocchio.

Quando finalmente raggiunse casa, si tolse la maglietta fradicia e le scarpe sporche. Si avvicinò allo specchio, girandosi per controllare il punto dolorante. Probabilmente sarebbe rimasto un livido. Sospirò, esausto.

Si preparò uno spuntino veloce e poi si lasciò cadere sul divano del salotto. I suoi occhi si chiusero lentamente, stremato. Non sapeva quando Miles sarebbe rientrata.

Ma l'avrebbe aspettata.

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