Miles fu svegliata dal suono insistente di un clacson. Alzò di poco il busto e si guardò attorno un po' confusa, ma poi si ricordò della sera prima. Aveva dormito su una panchina.
- Miles! - si sentì chiamare. - Dai, alzati, che torniamo a casa prima che arrivi mia madre! -
Lei fece come le venne detto e salì in macchina. Sentiva dal tono dell'amico che era abbastanza arrabbiato, ma non ci fece troppo caso. Le sue spalle pesavano di una stanchezza che non se ne andava.
- Ma dov'eri finita? Mi hai fatto preoccupare, cavolo! - disse Matt, stringendo il volante con le mani sudate, mentre Miles lo ascoltava, senza dire una parola, la testa appoggiata sul finestrino. Non voleva litigare, non era il caso.
- Ti ho telefonata, ti ho mandato un casino di messaggi e di te nessuna risposta! -
- Senti, non voglio litigare, e sinceramente ho un mal di testa tremendo da ieri notte. Oh, ma scusa, questo tu non potevi saperlo dato che mi hai lasciata come una cretina tutta da sola! -
In quel momento, Matt abbassò la testa, sapendo che Miles aveva ragione. L'aveva mollata lì sul divano per tutta la serata e nemmeno lui si era fatto vivo. Questa volta era lui dalla parte del torto.
- Mi dispiace. - disse quasi come un sussurro.
- Come, scusa? - Miles era troppo presa dai suoi pensieri che non si rese conto che il ragazzo avesse parlato.
- Ho detto che mi dispiace. E, ti prego, non farmelo ripetere. -
La ragazza gli sorrise dolcemente, mentre una piccola fitta di sollievo le attraversava il cuore. Sapeva che era stato difficile per lui pronunciare quelle parole, Matt era molto orgoglioso.
In risposta, lei gli scompigliò i capelli che tanto amava e accese la radio. Una canzone dei The 1975, la loro preferita, risuonò nell'aria. Entrambi si rilassarono, per un momento dimenticando tutto il resto.
Entrambi arrivarono a casa esausti. Praticamente, stavano per crollare sul pavimento, incapaci di tenere gli occhi aperti a causa della stanchezza. L'aria che li circondava sembrava pesante, come se ogni passo fosse un enorme sforzo.
Matt chiuse a chiave la porta d'ingresso, con un movimento meccanico, mentre Miles gli fece un debole sorriso, un saluto appena accennato, le labbra quasi impercettibilmente socchiuse. Attraversò il corridoio come in trance, il suo corpo che chiedeva solo riposo, e andò dritta in camera sua a prendere il pigiama.
Una volta preso tutto, andò in bagno e accese la doccia. Il rumore dell'acqua che cominciava a scorrere la calò in un piccolo rifugio di tranquillità. Quando l'acqua divenne calda, si spogliò con movimenti lenti, come se ogni centimetro di pelle nuda le pesasse. La sensazione del vapore che saliva nell'aria le avvolse il viso, cancellando per un attimo la stanchezza. Si rintanò sotto il getto bollente, il calore che le accarezzava la pelle come una mano gentile.
Le piaceva la sensazione dell'acqua che scivolava sulla pelle e il vapore che riempiva l'aria, creando una nuvola morbida e calda attorno a lei. Ogni goccia che le toccava il corpo sembrava levarle un peso, sciogliendo tensioni che nemmeno si accorgeva di avere. Il rumore dell'acqua che batteva sulla piastrella era l'unico suono che sentiva, un sottofondo costante che la faceva sentire come se fosse l'unica persona al mondo.
In quel momento nessun pensiero le passava per la testa. Era come se la doccia le stesse pulendo anche la mente, levando via il peso delle sue preoccupazioni, lasciandola in uno stato di quiete. Tutto il resto sembrava lontano, un ricordo sfocato.
Dopo un po' che era rimasta in piedi a fissare il vuoto, i suoi occhi ormai annebbiati, prese la spugnetta con sopra un po' di sapone liquido. Cominciò a strofinare lentamente, sentendo la schiuma che scivolava lungo il corpo, lasciando una scia fresca e pulita. Si risciacquò, e il calore del getto d'acqua che la baciava sembrò spazzare via anche il più piccolo pensiero.
Era come se, in un certo senso, si stesse liberando. Pulendosi da tutto lo sporco, tutto il caos che si rinchiudeva dentro di lei, dentro la sua testa. Ogni goccia d'acqua che scivolava lungo la pelle portava via qualcosa, come se potesse finalmente respirare di nuovo. Era per questo che amava farsi la doccia: le dava un senso di libertà, di purezza, come se fosse la versione migliore di sé stessa sotto quel getto caldo.
Una volta finito, chiuse l'acqua con un respiro profondo e uscì dalla doccia. Il freddo dell'aria le sferzò la pelle bagnata, ma non le dispiacque, anzi, la fece sentire più viva. Si asciugò, lasciando cadere i capelli umidi sulle spalle, e si infilò il pigiama, quel pigiama morbido che le dava un comfort familiare. I suoi calzini, con dei pupazzi di neve disegnati sopra, avevano un che di infantile, ma erano il suo piccolo rifugio dal mondo esterno.
Li aveva amati sin da quando li aveva tirati fuori dal pacco regalo il Natale scorso. Da quel giorno non aveva fatto altro che indossarli per andare a dormire, un gesto che la faceva sentire protetta.
Si asciugò i capelli e ritornò in camera, il suono dei suoi passi che sembrava fuori posto in quella quiete che la circondava. Senza alzare la tapparella, si infilò sotto le coperte. Fuori splendeva il sole, ma per lei era ancora notte, il suo corpo e la sua mente ancora immersi nel buio della fatica.
Quando si svegliò, ore dopo, il mondo fuori sembrava più luminoso, ma al suo risveglio tutto era rallentato, come se il tempo si fosse preso una pausa. Matt era già a scuola. Perciò, senza una meta precisa, decise di andare in cucina ad aiutare Betty con il pranzo. La casa era ancora silenziosa, come se l'energia della notte non fosse ancora andata via.
Prima, però, prese la gonna che aveva lasciato sulla poltrona all'angolo della stanza e tirò fuori dalla tasca il cellulare.
Lo accese e, dopo aver aspettato un paio di secondi, si ritrovò con varie chiamate dallo stesso numero e una decina di messaggi, oltre a quelli di Matt della scorsa notte, aventi la stessa frase: "dobbiamo parlare".
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The Journey
Roman pour AdolescentsDalle decisioni che prendiamo, da come lo organizziamo e come lo affrontiamo, dipenderà come ci andrà in questo viaggio.