Capitolo 23

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Devo ammetterlo quel periodo per me era molto confuso, avevo conosciuto delle persone che mi avevano fatto cambiare completamente il modo di vedere le cose...
Riflettevo mentre ero sul mio balcone a fumare, i miei erano fuori città per il weekend, ero a casa da sola i miei fratelli erano usciti con i nostri amici, non avevo voglia di uscire.
Soffiai fuori per l'ultima volta il fumo e spensi la sigaretta nel posa cenere, mi alzai e andai dentro, lasciando però la porta del balcone aperta, c'era una bellissima giornata di sole.
Mi misi a leggere dei miei vecchi diari, mentre accarezzavo il mio cane.
Ero veramente confusa, pensavo ad Andrea e poi ad Amanda nello stesso modo, i sentimenti erano diversi ovviamente ma mi piacevano entrambi, lui era la calma dopo la tempesta, lei era la tempesta. Non capivo che problemi avevo, per quale motivo io ero così confusa.

Non sapevo come comportarmi, a scuola ne parlai con una mia amica che mi consigliò di parlarne ai miei. Anche se avevo un po' di paura decisi di farlo. Ero loro figlia mi avrebbero accettata comunque.

Ne parlai con i miei genitori la sera stessa, mia madre scoppiò a piangere, mio padre mi disse che ero malata, che era contro natura ma che non dovevo avere paura che avremmo sistemato le cose.

Mi portò da un suo amico psicologo, per farmi parlare con lui di questa situazione, il problema è che nemmeno quest'uomo riuscì a parlarne, continuava a girare intorno al problema, fino a che mi stancai e diedi ragione ad ogni cosa che mi diceva, quando uscii da li, ero ancora più convinta del mio orientamento sessuale, ma non ne avrei parlato mai più con nessuno della mia famiglia.

Le cose sembravano tornate alla normalità, ma i miei genitori non se la bevevano, mia madre ogni tanto mi faceva qualche domanda per capire se "il problema" o così lei lo chiamava, era passato oppure no.

Dopo una pesante discussione a tavola per l'ennesima volta mi rifugiati in camera mia, con le lacrime agli occhi e le brutte abitudini presero il sopravvento.

Cercai nel mio comodino la lametta, quella dannata lametta che mi aveva accompagnato per anni, l'appogiai sul braccio, e pensai a quanto mio padre potesse odiarmi, preferire una qualsiasi figlia a me, a quanto avesse voluto avermi migliore, così la premetti sul braccio e iniziai a incidermi la pelle, più e più volte.

Non lo facevo per lui o per qualcuno in particolare, lo facevo per me, per sentirmi ancora viva, perché la colpa di tutto era mia e sempre lo sarebbe stata.

Un sorriso di lacrimeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora