capitolo 7

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7. CAPITOLO

Vieni, siediti. Ti dirò tutto-

Si guardarono per un lungo, interminabile istante.

Vide nei suoi occhi la paura.

Paura di quello che stava per dirgli, paura che una volta lasciato libero il suo segreto, non sarebbe più stata in grado di controllarlo.

Forse avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa.

Ma una forza incontrollabile lo aveva spinto a volerla aiutare a tutti i costi.

Anche se a volte lo faceva davvero imbestialire, voleva bene a quella “mocciosa”.

Come per Rufy, teneva a lei più che a tutti gli altri: loro tre erano i pilastri della ciurma, avevano passato tante avventure insieme prima di incontrare gli altri membri.

C’era un legame speciale.

D’accordo- ruppe il silenzio - Vuoi che rientriamo?-

No…Dentro qualcuno potrebbe sentirci…- rispose lei, visibilmente preoccupata - Torniamo sotto i mandarini-

Va bene-

In pochi passi raggiunsero il posto in cui erano seduti qualche minuto prima.

Si accomodarono sull’erba, uno di fianco all’altro.

Zoro continuava a guardarla di sottecchi, aspettando che iniziasse a parlare.

La vide fare un respiro profondo, chiudendo gli occhi.

Quando li riaprì, cominciò il suo discorso.

Hai ragione. Ci sono tanti episodi del mio passato che non conoscete, e quello che è successo oggi me ne ha riportato alla mente uno che credevo di aver cancellato per sempre dalla mia mente. Evidentemente non è così. Il passato non si può dimenticare, non è vero?- sorrise, guardandolo.

Un sorriso amaro, pieno di tristezza e rassegnazione.

Non sapeva nemmeno cosa risponderle, perciò si limitò ad annuire con un lieve cenno del capo.

Tenendo lo sguardo rivolto a terra, Nami continuò il suo discorso.

Quando ero prigioniera di Arlong, agli inizi, mi rifiutavo di collaborare: per questo motivo venivo punita e maltrattata. Mi picchiavano e mi minacciavano, per poi fare del male anche alle persone del villaggio. Così decisi di sottostare al loro volere, nella speranza che smettessero con tutta quella violenza. E, in effetti, vedendo la mia disponibilità a collaborare, le angherie, almeno quelle su di me, diminuirono, quasi scomparvero. Tuttavia, non ottenni mai da loro il massimo del rispetto, perché ai loro occhi io ero solo un oggetto indispensabile per raggiungere l’obiettivo che si erano prefissi. Un giorno, però, successe una cosa…-

Si fermò, restando per un attimo in silenzio.

Poi riprese.

All’epoca avevo tredici anni. Il mio corpo stava iniziando a cambiare, ad assumere forme più femminili. Di questo se ne accorsero anche loro. Anche se erano per metà pesci, la loro parte umana aveva comunque degli istinti. Quel giorno, ero nello studio che Arlong mi aveva riservato a disegnare cartine; uno dei suoi scagnozzi entrò, probabilmente per controllare che stessi svolgendo il mio compito. Ma invece che sulle cartine, il suo sguardo era concentrato sul mio corpo. Ne studiava attentamente le forme, sorridendo in modo sghembo, quasi sadico. La cosa mi infastidiva, e anche parecchio; così, mi alzai dal tavolo dove stavo  disegnando per andare ad appendere la cartina che avevo appena ultimato, in attesa che l’inchiostro si asciugasse. Poi, sarei tornata subito al tavolo, con la speranza che quel viscido essere se ne sarebbe andato, vedendo che stavo facendo quello che mi era stato chiesto senza ribattere. Ma non ebbi modo di farlo, perché quando mi voltai per ritornare alla scrivania, me lo ritrovai davanti. Mi guardava con lussuria, e la cosa mi spaventò. Avevo intuito le sue intenzioni. Indietreggiai di qualche passo, dicendogli che dovevo finire il mio lavoro; lui, invece, mi rispose che potevo farlo dopo, e che ora dovevamo divertirci. Continuava a chiamarmi “bambolina”, proprio come se fossi un oggetto-

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