capitolo 8

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 8. CAPITOLO

Aiutami…-

Quell’unica parola, sussurrata, come per paura di pronunciarla, giunse alle sue orecchie come un grido disperato.

Perdonare qualcuno che ci ha fatto soffrire non è facile, ma perdonare se stessi è ancora più difficile.

L’essere umano è fatto così: preferisce punirsi, piuttosto che accettare che non sempre tutto può andare come lui desidera.

Non sempre possiamo essere padroni del nostro destino.

L’aveva imparato a sue spese.

Lui stesso non era mai riuscito a perdonarsi di non aver retto lo scontro con Kuma, e successivamente quello alle Sabaody.

Ma la sua ferita era ancora fresca, nonostante due anni fossero tanti.

Forse, fra un altro paio d’anni, avrebbe guardato la cosa da una prospettiva diversa, e avrebbe accettato la sconfitta.

In quel momento, però, non era pronto.

Anche lui si stava punendo, in qualche modo.

Nami, invece, sarebbe riuscita a farcela, se avesse tirato fuori tutta la sua grinta.

Di questo ne era certo.

Per farlo, però, aveva bisogno di sostegno da parte di coloro che le volevano bene.

Ma lei era testarda, e non avrebbe detto a nessun altro della ciurma quello cha aveva appena confessato a lui.

Forse solo a Robin.

Non poteva negare che il fatto che Nami lo avesse scelto come suo confidente, come pilastro sul quale appoggiarsi, come unica persona di cui fidarsi, lo riempiva d’orgoglio, gonfiando il suo ego.

Lo faceva sentire importante.

Lei aveva bisogno di lui, e lui avrebbe fatto del suo meglio per aiutarla.

Non serve che tu me lo dica. Lo farò- le rispose semplicemente.

Fra loro non servivano inutili giri di parole: bastavano uno sguardo o una breve frase che andasse dritta al punto.

Gli piaceva questo lato del loro rapporto.

Liberandosi delle ultime lacrime di quel lungo pianto, gli regalò uno dei suoi più dolci sorrisi.

Grazie…- gli sussurrò.

Fu costretto a distogliere lo sguardo, per evitare di arrossire davanti a lei, anche se probabilmente le sue guance si erano già tinte.

Maledizione!

Perché quella ragazzina gli faceva quell’effetto?

Era come se quei sorrisi gli penetrassero nell’animo.

Sentì di nuovo la sua fronte fresca contro il suo petto: si era stretta ancora a lui.

Rannicchiata nello yukata verde che lui stesso le aveva prestato, cercava conforto fra le sue braccia.

Teneva le mani sui suoi addominali e, di tanto in tanto, toccava lievemente la cicatrice Mihawk gli aveva procurato anni prima.

Zoro?- lo chiamò, senza sollevare il volto.

C-che c’è?- rispose, tentando di nascondere l’imbarazzo che quella situazione gli provocava.

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