capitolo 3

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3. CAPITOLO

Era ferma davanti alla porta dell’armeria da ormai dieci minuti.

I dubbi l’assalivano, impedendo alle sue gambe di muoversi.

Pensava e ripensava alla loro conversazione.

Forse aveva sbagliato.

Non doveva tirare in ballo la questione così apertamente.

C’era da aspettarsi che Zoro avrebbe reagito in quel modo.

Ripensandoci, non si era mai vantato una sola volta delle sue gesta, per quanto incredibili fossero.

Non era nella sua natura.

Lui era fatto così, introverso e riservato, semplice, senza artifici, viveva alla giornata accontentandosi di ciò che aveva.

Insomma, un “buzzurro squattrinato”, come lo definiva sempre lei.

Sorrise a quel pensiero.

In fondo, aveva imparato volergli bene per quello che era.

Sì, doveva ammetterlo, gli voleva bene, anche se battibeccavano di continuo.

Sapeva che non era cattivo, almeno non con loro.

La sua reazione di poco prima era stata dettata dal nervosismo.

Avrebbe dovuto essere più cauta con le domande.

Dentro Zoro abitava una ferita che sanguinava ancora.

Una ferita molto più dolorosa di tutte quelle che marchiavano il suo corpo.

Una ferita che forse non si sarebbe mai completamente rimarginata.

E lei aveva gettato sale, su quella ferita.

Aveva agito con le migliori intenzioni, ma non si era soffermata abbastanza a riflettere sulle conseguenze.

Scusi signorina, si sente bene?- sentì una voce accanto a lei.

Si voltò, e vide una donna di mezz’età che la guardava preoccupata.

Come scusi?- rispose confusa.

Ѐ qui ferma da molto tempo, ormai. C’è qualcosa che non va? Si sente male? Ha bisogno di aiuto?- chiese la donna, premurosa.

Ah…no…no, grazie. Ero solo sovrappensiero e mi sono distratta!- le sorrise.

Bene! Meglio così!- ricambiò il sorriso la donna, salutandola e riprendendo le sue occupazioni.

Nami infilò il sacchetto con il materiale per le spade in una delle sue borse piene di vestiti.

Tutto sommato, Zoro se lo era meritato un piccolo regalo!

Glielo avrebbe dato quando le acque si sarebbero calmate, magari inventandosi una scusa sul perché non lo aveva restituito.

Con il sorriso sulle labbra, si avviò per tornare alla nave.

Camminava ormai da un tempo interminabile.

Inspiegabilmente, però, si ritrovava sempre al punto di partenza.

Maledizione! Ma com’è possibile? Queste stradine sono tutte uguali!- imprecò a denti stretti.

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