Capitolo 一

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Il giardino degli immortali

La festa delle lanterne stava giungendo al suo termine, ma Daiyu avrebbe voluto fermare il tempo per potersi godere ancora un po' quella libertà illecita che era riuscita a trascinarla lontano dalla casa di suo padre e aveva condotto i suoi piedi al giardino delle Nubi Brumose. 

Quando la ragazza aveva varcato la soglia di quel luogo, una calma celeste le si era adagiata sulle spalle e l'aveva sospinta tra le colline verdeggianti e gli specchi d'acqua limpidi, popolati da uccelli canterini e carpe dorate. Quegli esseri, parevano brillare più dell'eterna Chang'an. 

La capitale dell'impero, quella notte, si era tinta delle sfumature del fuoco. A Daiyu sarebbe bastato sollevare lo sguardo per osservare le mille lanterne che si andavano disperdendo nel cielo oscuro, simboli di gioia per gli altri e di tristezza per lei. 

La ragazza sedette sulle sponde di uno stagno popolato da cigni e attese, in silenzio, finché non avvertì un suono di passi solitari squarciare la calma del suo angolo di pace. Un'improvvisa sensazione di paura la costrinse a mettersi in piedi e a voltarsi verso gli alberi di pero in fiore, scossi da una presenza estranea, che sembrava non avere alcun riguardo per quei poveri tronchi. 

Daiyu si guardò intorno, alla ricerca di un ramo o di un sasso con cui difendersi, invano. La presenza l'aveva raggiunta e un ragazzo dagli abiti verdi si era palesato nella penombra del giardino. I lunghi capelli scuri incorniciavano dei lineamenti marcati e gli occhi sottili, lucidi, ostentavano confusione. In una mano stringeva una brocca da cui si sprigionava un tiepido odore di vino al miele, mentre l'altra ciondolava lungo i fianchi.

"Tu..." mugugnò il giovane, sollevando un dito verso di lei. "Tu chi sei? E che..." tossì, cercando di nascondere l'evidente accento straniero, poi tornò a parlare con una parvenza di serietà. "... che cosa ci fai nel mio giardino?"

Daiyu strinse le proprie ciocche corvine tra le dita, indecisa. 

Avrebbe dovuto ricambiare quell'offensivo modo di rivolgersi con una risposta piccata, non voleva certo passare per un'umile serva in torto. Non lei, che era la figlia di uno dei più grandi proprietari della città. 

Solo che ciò che disse non fu esattamente degno di nota. 

"Io sono la bella dama del lago!" esclamò la ragazza, sollevando il mento. "E questo è il mio giardino, gōng zǐ. Farai meglio a scappare, prima che modelli il corso del tuo destino come faccio di solito con i corsi d'acqua e gli stagni placidi."

Il giovane sgranò gli occhi e si affrettò a gettarsi sull'erba, per inchinarsi con solennità. "Perdonatemi dama del lago! Non volevo offendervi in alcun modo, potete dimenticare le mie parole indegne e farmi un... minuscolo favore?"

"E sia!" esclamò Daiyu, sedendo di fronte a lui.  

"Potete..." il ragazzo abbandonò sul prato la brocca vuota e si mise in ginocchio, facendo ciondolare il viso da un lato all'altro. "Dirmi come, a Chang'an, si riesce a essere rispettati da tutti?"

Daiyu avrebbe voluto ridere. Lei non aveva mai ricevuto rispetto a causa del proprio occhio destro, screziato d'azzurro. Particolare che le era costato il netto rifiuto da parte di tutti gli uomini facoltosi che suo padre le aveva presentato, sperando di poterle combinare un matrimonio prestigioso. 

"Solo se prima mi dici perché vuoi essere rispettato da tutti."

"Il fatto è che... nel mio regno non lo sono" rispose lui, con un tono più sottile e rammaricato. "Sono solo considerato come uno sciocco, pigro, stupido, ignorante e viziato principe..."

La Giada di Chang'an Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora