Capitolo Otto - Belle le Mutandone.

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La luce del sole che accarezza il mio viso mi sveglia dolcemente dal mio meritatissimo sonno di bellezza ma nemmeno il tempo di alzare mezzo busto che inizio a pensare al nuovo socio di mia madre e a quanto sia esageratamente arrogante.

Il bello è che non lo conosco nemmeno da ventiquattro ore.

Nella mente compaiono le figuracce che ho fatto ieri pomeriggio al cafè e al ristorante con Shawn.

«Simpatico il tuo finto fidanzato.», lo imito.

«Smettila di fissarmi.», continuo.

Mi alzo irritata e il parquet è pure gelido, a piedi nudi vado verso la finestra che é posta davanti al mio gigantesco letto. Non riesco nemmeno ad aprirla che nel riflesso del vetro vedo di fianco a me, l'immagine di quello Shawn, roteo gli occhi.

FA-STI-DIO-SO ma maledettamente bello.

Scuoto la testa da questo stupido pensiero ormonale.

Non so che ore siano, ma so perfettamente che non sono a scuola. Un altro giorno a casa. Mia madre mi ammazzerà.

Esco dalla camera e vado diretta in cucina. Ma mentre cammino nel corridoio mi soffermo in salotto.

Shawn Mendes?

«Vacca boia.», riesco a dire, non posso nemmeno passeggiare tranquillamente in casa che me lo devo ritrovare davanti gli occhi.

E' seduto tranquillamente sul mio divanetto che guarda indaffarato della carta straccia. Ha una matita appoggiata sopra l'orecchio. Sbuffo sonoramente, si gira e mi fissa stranito.

«Non dovresti stare a scuola te?», perché mia mamma non ha il suo ufficio direttamente in azienda?

«Che ore sono?», chiedo gentilmente.

Di prima mattina ho zero voglia di battibeccare.

«Undici.», dice guardando l'orologio analogico al polso. Vedo che mi fissa dall'alto verso il basso sorridendo maliziosamente ma non ci faccio molto caso.

«Grazie.»

«E perché te non sei nello studio?», continuo.

«Tua madre ieri si è dimenticata di darmi la copia delle chiavi, la sto aspettando.»

Mia madre in questo preciso istante dovrebbe essere a New York, ieri sera appena tornati dal ristorante ha comprato il primo biglietto che ha visto e credo che tornerà questa sera tardi, è qua ad aspettare per niente.

«Ma mamma non ti ha detto che è a New York?», lui mi guarda perplesso.

«Vai a casa e torna domani, è andata a prendere dei documenti a casa per la faccenda sua e di mio padre. Dovrebbe tornare questa sera tardi.», dico sbadigliando.

«Allora dammi la copia.», dice alzandosi.

Alto, robusto e bello ma tremendamente arrogante. Un'anguria splendente ma con succo amaro e disgustoso all'interno. Ecco come lo descriverei.

«Innanzitutto un per favore, per piacere... no? E comunque non ho una copia, mia mamma non ne vuole tenerne un'altra, ha paura di eventuali irruzioni in casa.», dico velocemente.

«Ho capito.», risponde con un tono di voce seccante.

«Pff...», dico andandomene via lasciandolo nella solitudine del salotto.

Entro in cucina e vado direttamente davanti il frigo e noto nel riflesso metallico che con mia vergogna ho parlato davanti a quello scorbutico sconosciuto con un paio di mutandone da ciclo su.

Otto. (Shawn Mendes)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora