Capitolo 7.

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<<Ethan stava per sposarsi.
Stava per diventare padre, sarebbe stato un ottimo padre.
Lui era l'unica famiglia che avessi mai avuto>> dissi a Greg dopo che io stesso chiamai la polizia per  segnalare l'accaduto.
<<Guardami figliolo>>
Non lo guardai, pensavo solo ad Ethan, i miei pensieri erano fissi su di lui.
<<Ho detto guardami>> ripeté, allora lo guardai.
<<Il procuratore non vuole te, lui vuole Danny>>
Certo, la polizia voleva mio padre. Ero stato io ad uccidere Ethan, ero pronto a prendermi la colpa di tutto, lo meritavo nonostante l'avessi fatto involontariamente.
<<Se li aiuti, loro aiuteranno te>> continuò Greg
<<L'ho ucciso io, Greg. Merito di stare qui>> gli dissi.
<<Si ti sei presentato lì con un fucile carico, dovrai stare dentro per un po'. Ma figliolo, c'è una ragione per la quale sei qui. Tu hai una vita da vivere e devi reagire, continuare a reagire>>
Mise la sua mano destra sulle mie mani insanguinate, quelle mani non sporche di sangue, bensì sporche delle mie azioni.
<<Perché nonostante ciò che pensi tu non sei il figlio di tuo padre. Cole, tu non sei come tuo padre e i suoi amici, tu sei un bravo ragazzo, e sei il mio ragazzo>> mi disse ancora. Scoppiai in lacrime ripensando ancora alla morte ingiusta di Ethan, per il fatto che fossi figlio di un delinquente, per Sierra, per Autumn, ma soprattutto, per quel "sei il mio ragazzo". Nessuno mi aveva detto mai questo parole, nemmeno mio padre, Greg aveva per caso voluto dire che mi sentiva come suo figlio?
Credo proprio di sì, allora anche Greg aveva un cuore. Nonostante non avesse figli aveva più esperienza e sapeva comportarsi meglio di mio padre.
<<Hai sentito!?>>
Si riferiva al "sei il mio ragazzo"
<<Si, sissignore>>
<<Sissignore>> ripeté Greg.
Ad un tratto entrò un sbirro. Mi guardò e mi disse: <<li stiamo andando a prendere, stai tranquillo>> mi sorrise.
Non risposi nulla, cazzo me ne importava.
Mio padre e i suoi amici erano l'ultimo dei miei pensieri, perché non andavano a prendere Ethan per riportarlo in vita, invece?
Partirono 10 pattuglie dirette all'indirizzo di casa di mio padre.
Giunti lì gli sbirri scesero uno dopo l'altro.
Mio padre e i suoi furono presi alla sprovvista, non si aspettavano proprio un cosa del genere.
I meschini tentarono di fuggire, ma naturalmente vennero presi.
Mi tennero alla polizia di stato per una settimana. Era da una settimana che non sentivo Autumn, non sentivo Sierra. Non sapevo nulla di nessuna di loro.
Appena entrato restai a bocca aperta, non solo in prima fila vi era Greg, era presente anche Autumn. No, non era possibile, speravo di avere le visioni a causa della sua mancanza. Invece no, lei era proprio lì.
Ero deluso, ero deluso per averla delusa e lo ero soprattutto di me stesso. Cosa avevo fatto?
Le avevo promesso che non le sarei mai stato lontano, che avrei rischiato tutto per lei, e invece sarei dovuto rimanere dietro le sbarre per i successivi anni della mia vita, se non tutti.
La donna che amavo era davanti a me, che mi guardava quasi piangendo, non poteva vedere determinate cose, non facevano per lei. Io la amavo, ma non sarebbe potuta rimanere dietro per per molti anni. Eravamo giovani, lei voleva andare al college, aveva così tanti progetti e sogni, voleva una famiglia. Ma io tutto questo non potevo darglielo, non gliel'avrei mai potuto dare. Che delusione!
Due sbirri mi portarono al tribunale per il processo.
Mi sedetti e il giudice mi chiese: <<c'è qualcuno tra quelle persone presenti in aula in questo momento?>>
<<Si>> risposi
<<Potrebbe indicare Bart Brooks?>>
Indicai il primo.
<<Potrebbe indicare Daryl Brooks?>>
Indicai il secondo.
<<Potrebbe indicare Danny Brooks?>>
Indicai mio padre con sguardo schifato.
Sorrise al mio gesto. Un sorriso da "la pagherai ad un prezzo molto alto"
Guardavo Autumn e Autumn guardava me.
Distolsi lo sguardo dai suoi dolci occhi, non riuscivo a guardarla a causa della tanta vergogna. Avrebbe sofferto, non se lo meritava, e la causa ero io. L'unico che le avrebbe dovuto regalare amore e felicità.
Finito il processo mi portarono direttamente in carcere. Che schifo di ambiente era, e che persone vi erano? Che stupido, di certo non posso esserci degli uomini, solo tanti maschi che si sentono uomini commentando reati di vario tipo e genere.
Mi guardavo in giro, nessuno che mi accoglieva o che mi faceva un sorriso. Niente e nessuno, solo io, Cole e Cole. La solitudine.
Aprirono la porta della mia "stanza". Vi era una rete con sopra un materasso sporco, un cuscino che più che cuscino sembrava un'asse di legno e poi Cole, l'assassino del secolo.
<<Ecco ragazzo, questa è la tua stanza. Ti abituerai, l'unico modo per vivere qui dentro, è sopravvivere>> detto questo andò subito via. Non avevo paura, pensavo solamente agli 8 lunghi anni che avrei dovuto passare senza vedere Autumn, senza la vita che pian piano avevo costruito a casa di Greg. Senza niente, ero senza niente.
Non avrei dovuto passare solo 8 anni senza Autumn, avrei dovuto passare senza lei tutta quella merda di vita. Sono stato un po' egoista, lo so perfettamente, ho deciso per lei senza pensarci due volte e senza chiederle un parere.
Avevo deciso che quel giorno sarebbe stato l'ultimo giorno in cui le avrei parlato.
Aveva una vita davanti, era piccola, era la mia piccola. Doveva fare ancora tanta strada, era prossima a diventare una donna in carriera, una splendida madre, con un fantastico marito che però non ero io. Non la meritavo, tutto era come diceva mio padre, quello stronzo aveva ragione, Autumn non poteva innamorarsi di un pezzo di merda come me.
<<Cole Brooks!>>
Sussultai al richiamo del mio nome, stavo dormendo, ero abbastanza stanco. Non avevo sonno, stanchezza fisica che mi avevano portato quelle brutte azioni.
<<Che succede?>> Chiesi strofinandosi gli occhi e con la voce impastata dal sonno.
<<C'è una visita per te>>
Sapevo fosse Autumn. Greg l'avevo visto il giorno prima.
Uscito da quella stanza tutti mi guardarono male come la prima volta.
Arrivai alla stanza in cui si svolgevano i colloqui. Era Autumn.
Mi sedetti e presi la cornetta.
<<Ciao!>>Mi disse con un sorriso
<<Ciao>> risposi io ricambiando il sorriso
<<Ti ho portato dei libri e altre cose>>
<<Grazie>> le dissi. Ero felice di vederla e del fatto che avesse in qualche modo pensato a me. Ma non doveva più farlo, dovevo riuscire a trovare le parole per dirle che doveva andare avanti, senza di me.
<<Senti dimmi di cos'hai bisogno, così ti porto tutto la prossima volta>>
Amore mio, era così bella. Non ero capace a dirle che non ci sarebbe stata una prossima volta, dovevo sembrare duro e deciso, anche se fondamentalmente non lo ero. Dovevo farle capire tutto quello che volevo per lei.
<<Non ci sarà una prossima volta>> dissi tutto d'un fiato e guardano in basso. Che schifo di uomo, non avevo nemmeno il coraggio di guardare la mia donna in faccia. Chi ero? Che ci facevo lì? Che ci faceva lei?
<<Che vuoi dire?>> Mi chiese turbata
<<Mi hanno dato otto anni, saranno quanti? Forse quattro prima della libertà vigilata>>
<<Ti aspetterò>> mi rispose.
Avevo già fatto troppo, non potevo anche pretendere o credere che mi aspettasse, un'altra volta.
<<No, non te lo posso permettere>>
<<Non tocca a te decidere>>
Volevo interrompere quella conversazione, ma allo stesso tempo volevo durasse per sempre.
Volevo piantarla perché ad ogni parola, ogni frase, ogni lettera che usciva dalla mia bocca era dolore, solo tanto dolore e amarezza. Volevo durasse per sempre Perché quella sarebbe stata l'ultima volta che la vedevo, l'ultima volta che vedevo Autumn a 18 anni. Se in futuro l'avessi rivista sarebbe stata sposata, con un lavoro e con figli. Quindi era meglio dire addio a quella "piccola" Autumn.
<<Se questa fosse l'ultima volta che mi vedi, cosa mi diresti?>> Le chiesi
<<Ti prego, non fare così>> quasi mi implorò
<<Io ti direi grazie, Autumn>>
<<Io non me ne vado>> mi disse
<<Io direi addio>> le risposi
<<Cole>>
<<Ti amerò sempre>>
<<Cole ti prego non fare così, per favore>>
Dovevo farcela, dovevo togliere quella cornetta dal mio orecchio.
La spostai, guardai Autumn un attimo, riposi il telefono al suo posto, poi mi alzai e me ne andai.
Camminai per tutta la stanza fino ad arrivare alla porta.
La sentivo urlare, urlava come una madre alla quale viene strappato il proprio bambino.
<<Cole>>
<<Ti prego>>
<<Parliamone>>
<<Non fare così>>
Mi feci rimettere le manette e salii in ascensore.

AUTUMN'S POV

Non credevo davvero a ciò che aveva detto, alle parole uscire dalla sua bocca.
Voleva che vivessi la mia vita come se lui non ci fosse mai stato, come se io e lui non fossimo stati mai nulla. E questo perché? Solo perché io avevo dei progetti e secondo lui non potevo "aspettarlo". Quando si ama, ragazzi, è tutto diverso. È diverso da qualsiasi rapporto, è il rapporto più bello.
Volevo vivere la mia vita con Cole.
Non avrei realizzato i miei sogni? Non fa niente.
Non avrei realizzato il mio sogno di avere una famiglia? Non fa niente.
Non avrei fatto l'amore per i prossimi anni? Non fa niente.
Agli occhi altrui può sembrare assurdo attendere una persona, nessuno l'aspetterebbe mai. Anch'io la pensavo così prima di incontrare Cole. Ma l'amore non può negare nulla all'amore.
Dunque non potevo negare che l'avrei aspettato otto anni e una vita.
Non negavo di aver imparato tante cose da lui. Avevo imparato che si può vivere anche senza la macchina, senza i soldi e senza le belle case. Lui non ha mai avuto tutto quello che io, invece, ho avuto. Sono proprio le persone più povere ad avere il cuore più ricco.
Mi aveva insegnato a fare l'amore, quello vero.
Tutti possono dire "ho fatto sesso"
ma pochi possono dire, "ho fatto l'amore". Io non solo avevo fatto l'amore più bello del mondo, l'avevo fatto con l'uomo più importante della mia vita e anche qui avevo imparato. Lui mi aveva insegnato a fare l'amore e io gli avevo insegnato ad amare. Si, è così. Quando si ama forte le cose si imparano in due.
Non ci sono frasi, né parole accettabili nella mia testa. Mi esce solo l'unica verità che resta, come quegli alberi che vedi solitari nel verde immenso: io sono qui.
Sapevo che Cole non poteva sentirmi, ma non mi importava.
Ricordo ancora i nostri corpi uniti, l'uno sull'altro, le labbra bagnate dai baci, i succhiotti sul corpo e la pelle sudata.
Ricordo questo momento come la cosa più preziosa che abbia mai avuto.
Tutta quell'attrazione fisica che avevo verso di lui era passata, in un solo secondo. Il secondo in cui le mie labbra sfiorarono le sue.
"Amare", signori miei, è un verbo, non un sostantivo. Non è una cosa stabilita una volta per tutte, ma si evolve, cresce, sale, scende, si inabissa, come i fiumi nascosti nel cuore della terra, che però non interrompono mai la loro corsa verso il mare. A volte lasciano la terra secca, ma sotto, nelle cavità oscure, scorrono, poi a volte risalgono e sgorgano, fecondando tutto.
Io lo amavo
e l'avrei amato per sempre
perché lui era: il meglio di me.

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