Capitolo 18.

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AUTUMN'S POV

Era giunto novembre già da qualche giorno.
Ed era anche arrivata la data di Copenaghen.
Io e Brandon avevamo l'aereo alle quattro e trenta P.M.
Avevamo messo a posto valigie e zaini; salutato amici e professori.
Britney e Cheryl ci accompagnarono all'aeroporto, saremmo dovuti essere lì almeno due ore prima per l'imbarco.
<<Ciao tesoro, fai la brava>> mi raccomandò Britney
<<E scrivici ogni tanto, stronza>> raccomandò anche Cheryl.
A questa sua affermazione sbuffai a ridere, sapevano che avrei scritto poco e niente. Ma non perché non avessi voglia, pensi per il tempo che lì non avrei avuto.
<<Ci proverò>> risposi sorridendo
<<E tu trattamela bene, sennò sai come ti finisce>> disse ancora Cheryl puntando il dito contro Brandon
<<Potete contare su di me, non le succederà niente>> rispose sorridendo anche lui.
<<Datemi un abbraccio invece>> dissi ad entrambe, le quali vennero subito a fare ciò che avevo chiesto.
<<Ci mancherai>>
<<Voi mi mancherete di più>>, detto questo scese qualche lacrima dal mio viso che subito esse asciugarono
<<Non piangere e ricorda: solo ciò che il tuo cuore desidera>> disse Britney tenendomi il volto tra le mani e con la fronte incollata alla mia
<<Lo ricorderò sempre, ti voglio bene>>
<<Te ne voglio anch'io>> ricambiò Britney baciandomi la fronte.
Dopodiché sia io che Brandon cominciammo a camminare lungo il percorso per far imbarcare i bagagli.
Cheryl e Britney cominciarono a piangere e anch'io continuai.
Era davvero difficile lasciarle, abbandonare l'America ed essere in un altro stato lontano dalla propria famiglia. Inizialmente è difficile per tutti, ma quando si hanno dei sogni si è pronti a fare qualunque cosa.
Stavo lasciando la terra in cui avevo conosciuto il ragazzo della mia vita, mi dispiaceva tantissimo. Cole l'avrei portato sempre dentro di me, qualunque e con chiunque fosse stata la mia vita. Mancavano solamente sei anni prima della sua libertà. Non avevo rispettato ciò che avevo detto: "ti aspetterò". Forse sembrerebbe proprio che io non l'abbia aspettato, però, se una persona la porti nel cuore è sempre con te, dunque io non lo stavo aspettando, era sempre stato con me, anche prima di incontrarlo.
Ero immersa nei miei soliti pensieri e mi riportò alla realtà la voce di Brandon: <<Autumn, tutto bene?>>
<<Oh si, certo, tutto bene>>
<<Sembravi con la testa in un altro mondo>>
<<Ma che dici, sono qui. Stiamo facendo il check-in>>
<<In realtà stiamo facendo l'imbarco>>
<<Oh si, l'imbarco, ho confuso i nomi>>.
Si certo, i nomi, avevo confuso i nomi, che ridere. Quando pensavo a Cole, pensavo solamente a lui. Era come se nel mondo ci fossimo solo noi, non io e lui.
Un "noi" è differente da un "me e te".
Noi lo si usa quando i due si amano, e pertanto non tutti possono definirsi "noi".
Mentre "me e te" lo si usa per un amico o una qualunque persona, e se ami una persona, quest'ultima non è una qualsiasi.
Girammo un po' per l'aeroporto prima di arrivare al check-in. C'erano negozi di camicie per uomo, di gioielli e luoghi di ristorazione.
L'aeroporto di New York era davvero molto bello. L'avevo preso solo una volta da piccola per andare in Canada dai miei nonni. Ai miei genitori non piaceva molto viaggiare, mentre a me si. Quando viaggi sei a bordo di un aereo e a chilometri e chilometri dalla terra, si vede tutto: il verde della natura, il marrone della terra, i colori dei tetti delle case; vediamo quella grande vastità sempre più piccola, fino a non vederla più quando si va ancora più in alto, a volare sulle nuvole.
<<Volo tredici, diretto per Copenaghen>> udimmo dal microfono
<<Dai Autumn, andiamo al gate>> mi invitò Brandon ad andare, io non risposi e lo seguii.
C'era la fila, ma per fortuna si sciolse presto.
<<Documenti e biglietti signori>> disse la donna
<<Tenga>> dissi io prendendo sia i miei che quelli di Brandon
<<Fatemi vedere i bagagli>>, detto questo mettemmo davanti a noi gli zaini, lei li guardò attentamente e dopo ci fece passare tranquillamente.
Percorremmo la strada per arrivare all'aereo, mostrammo nuovamente biglietti e documenti e dopo ci sedemmo nei posti a noi assegnati.
In aereo danno sempre posti a caso, infatti io ero nelle prime file, mentre Brandon molto più indietro.
Stare in aereo da una parte è bello, però quando ci sono sette ore e trenta minuti da fare è un po' angosciante. I telefoni non si possono utilizzare e bisogna star seduti tutto il tempo, al massimo ci si alza per andare ai servizi.
Ero accanto ad un'anziana signora e al nipotino.
<<Perché va a Copenaghen, signorina?>> Mi chiese. Le persone in età avanzata sono sempre un po' più impiccione rispetto alle altre.
<<Per studiare>>
<<Oh bene, è da sola?>>
<<No, c'è un mio amico più indietro>>.
Non eravamo ancora fidanzati, non sapevo cosa fossimo e finché non l'avessi saputo saremmo stati semplicemente amici.
<<Ma è solo un amico?>>
"Be', per adesso si. Forse qualcosa cambierà, forse si o forse no, chi lo sa"
"Mi scusi signorina, mi sto già dilungando e impicciando troppo della sua vita privata>>
<<No signora, non si preoccupi. Mi fa piacere parlare con qualcuno, possiamo parlare se lo desidera>>
<<Magari dopo cara, adesso leggo un vecchio libro>>.
Non le domandai il nome del libro e nemmeno di che parlasse, le sorrisi solamente.
La signora aprii quel libro e notai al suo interno una piccola viola e una rosa rossa con sfumature ancora viola.
<<Questi fiori sono importanti per lei, signora>> Chiesi incuriosita
<<Fin troppo, mia cara>>
<<Immagino glieli abbia regalati suo marito>>
"Proprio così, quando avevamo esattamente vent'anni e ventotto anni"
<<Se per lei va bene, vorrei sapere la storia di questi fiori>>
<<Certo che va bene>>.
<<Amo i fiori da quando sono bambina. Li coltivavo nel giardino di casa mia insieme a mio padre. Piantavamo rose, margherite, tulipani, girasoli e anche viole, le mie preferite.
Non so esattamente perché queste ultime siano sempre state quelle che preferisco, sentivo di essere legata a quel colore, mi trasmetteva pace e felicità. Quando mio padre mi sgridava non piangevo, non ho mai pianto, sono sempre andata a sdraiarmi in quell'immenso prato di viole con accanto le rose e guardavo il cielo.
L'aria mi passava tra i capelli e respiravo il profumo di quei fiori appena sbocciati, non c'era niente di più bello per me.
Il rosso e il viola sono sempre stati i miei colori preferiti.
Quando conobbi Victor vivevo a Los Angeles, nel Nevada. Non abitavo più nella casa in cui vivevo da bambina, mi ero trasferita dall'Ohio al Nevada a soli diciassette anni.
Ero in un pub con le mie amiche ed lì che avvenne la magia. Appena lo notai l'unica parola che riuscii a proferire fu wow, non avrei potuto dirne altre. Il destino ci voleva insieme, infatti a metà serata venne a chiedermi se avessi voglia di ballare con lui, gli dissi di sì.
Ballammo per tutta la sera l'uno incollato all'altra, senza mai staccarci. A fine serata mi chiese dove abitassi e da lì cominciammo a vederci sempre più spesso e a frequentarci.
La prima volta che usciamo insieme mi portò un fiore, e indovina? Era una viola.
Mi disse che il fioraio aveva finito le rose e dunque scelse per me una viola enorme.
Io gli dissi che erano i miei fiori preferiti, e sai, quasi quasi non ci credeva.
Pensava fosse coincidenza, ma io invece obiettai dicendo fosse destino. Tutto succede per una ragione, e a volte la ragione siamo proprio noi.
Io ero ricca, mia madre era un medico chirurgo, mentre mio padre era a capo di un'azienda di materiali e attrezzi per la muratura.
Victor si, era ricco, però suo padre faceva parte di un clan di mafiosi. Il clan si chiamava "della Rosa", l'altro fiore da me amato.
Il padre lavorava con droga, alcol e fumo, ma a me non importava proprio, amavo Victor e bastava questo.
I miei erano contrari, ma non avrei mai permesso a loro di rovinare la mia felicità.
Ci siamo conosciuti all'età di diciotto anni e dieci anni dopo ci siamo sposati.
Era un bel giorno. Ero emozionata e mi sentivo meravigliosamente bella e fortunata.
Victor non era come suo padre, era un bravo ragazzo e aveva sempre dimostrato d'amarmi.
Naturalmente al matrimonio regnarono sia rose che viole. Al posto del riso optai di far lanciare i petali dei miei fiori preferiti.
Ma è proprio in quel momento che avvenne il massacro. Arrivarono quattro motociclette con a bordo due uomini per ognuna, erano armati.
Spararono a Victor, a suo padre, ai suoi fratelli e sorelle. Spararono qualche colpo anche sulla folla uccidendo qualche parente di mio marito.
Ero disperata. Mi ero appena sposata e già il mio matrimonio era finito per colpa della mafia. Il mio vestito aveva cambiato colore, era diventato rosso, era tutto coperto dal sangue di Victor. Le persone rimaste vive chiamarono polizia e ambulanza, ma oramai era troppo tardi, non c'era più niente da fare.
Le uniche parole che riuscii a dirmi prima di morire furono: ti amo, continua a sorridere come la prima volta che ti ho conosciuta, tieni questa. Era una rosa rossa, colorata di sfumature viola.
Io ero incinta, l'avevo saputo da pochi giorni e avrei voluto annunciarlo al ricevimento ad amici e parenti, invece mi toccò dirlo in quel triste momento e solamente a lui.
Mi raccomandò di farlo crescere bene come me e dirgli che suo padre l'avrebbe protetto da lassù. Non mi sentivo pronta a crescere un bambino da sola, eppure dovevo farlo ugualmente.
Ero incinta di un maschio, lo chiamai Angelo.
Si, Angelo, perché lui era l'angelo che ancor prima di morire mi aveva donato Victor.
Angelo è il padre di Michael, il mio bel nipotino.
Faccio ancora oggi una fatica immane a riprendermi da quest'accaduto. Ho conservato il vestito del matrimonio nell'armadio della casa che ho a Copenaghen, è ancora sporco di sangue, non ho avuto la forza di farlo lavare.
Però, ho continuato a fare ciò che mio marito mi aveva raccomandato, sorridere.
Fa' di tutto per colui che ami, se ne vale la pena, devi spendere tutta te stessa. Ama mia cara, ama forte tu che ancora ne hai la possibilità>>.
<<È sconvolgente questa storia signora, sono stupita. È tanto strana quanto triste. Mi sorprende anche come sia riuscita a trattenere le lacrime>>
<<Mi sono abituata ad avere ferite che non si rimargineranno mai>>
<<Almeno lei ne è capace>>
<<Ma tu che ferite dovresti avere, tesoro? Sei così bella e giovane, hai ancora una vita davanti>>
<<Lo so lo so, però soffro tanto anch'io>>
"Ti va di raccontarmi?"
<<Certamente, signora>>.
Le raccontai la mia storia con Cole. Le raccontai tutto, dall'inizio alla fine.
Appena finito di narrare mi chiese: <<vedi?>>
<<Cosa vedo?>> Dissi sorridendo e girandomi verso destra e sinistra, non avevo capito cosa intendesse
<<Nemmeno tu hai pianto>>
<<Ah, lo so>>
<<Anche tu ci hai fatto l'abitudine, e anche in meno tempo di me>>
<<Ma lo amo ancora>>
<<Tesoro, non c'è bisogno che tu me lo dica. Ti si legge prima negli occhi e poi nel cuore>>
<<Lo amerai per sempre, riesco a sentirlo dentro di te>>
<<Davvero?>> Chiesi un po' triste
<<Chi non lo sentirebbe?>>
<<Io vorrei proprio non sentirlo>>
<<Ci sarà ancora un pezzo della tua vita da trascorrere con lui>>
<<E lei che ne sa?>>
<<Me l'ha detto mio marito in questo momento>>
<<Ne è sicura?>>
<<Lui non sbaglia mai>>
<<Mi fido di lei, signora>>
<<Oh, chiamami pure Anna>>
<<Allora lei mi chiami Autumn>>
<<D'accordo Autumn>>
<<Va bene Anna!>> Dissi anch'io ridendo.
Era stato davvero splendido sentir parlare una persona che soffriva molto più di me e che in un modo o nell'altro era riuscita a reagire.
Era strano, sia la signora Anna che mia madre avevano avuto storie complesse e soprattutto, finite male. Un'altra coincidenza? No, questo è destino, chiamasi destino cazzo.
Avrei voluto che Cole fosse accanto a me, proprio per rinfacciargli il fatto che il destino esiste e che non si chiamano coincidenze, dico ancora che tutto succede per una ragione.
<<Tra meno di cinque minuti è previsto l'atterraggio>> disse l'hostess al microfono
<<Uh, prepariamoci>> disse Anna
<<Spero non facciano un atterraggio brusco>>
<<È più facile che mio marito torni in vita, fidati>>
Risi e Anna fece altrettanto, nonostante parlasse del marito, ciò che aveva detto era davvero divertente.
Pochi minuti dopo facemmo per l'appunto quell'atterraggio di merda, l'aereo continuò a camminare per la pista e dopo ancora si fermò.
Tutti i passeggeri presero i loro bagagli e iniziarono a scendere.
Io e Brandon ci ritrovammo e ci dirigemmo al check-in con Anna e il piccolo Michael attraverso il corridoio che collega la porta dell'aereo all'aeroporto.
Mostrammo per l'ultima volta, fortunatamente, i documenti e poi andammo a recuperare le nostre valigie.
<<Autumn, un'ultima cosa>> mi urlò Anna
<<Dimmi pure>>
<<Ricorda: anche se la strada sarà lunga quanto alla luna e ritorno, va' sempre sorridendo>>
<<Te lo prometto, grazie per questo meraviglioso viaggio insieme>>
<<Grazie a te, tesoro!>>
Dopodiché ci salutammo con un cenno di mano e lei con il piccolo andarono verso l'uscita dallo smistamento dei bagagli.
<< La conoscevi?>> Mi interrogò Brandon stranito
<<No>>
<<E come mai ti ha fatto passare un meraviglioso viaggio?>> Chiese nuovamente facendo il segno delle virgolette con le mani
<<Poi ti spiego>>
<<No, voglio saperlo adesso>>.
Non gli avrei mai raccontato della conversazione tra me e Anna in aereo.
Non sapevo né cosa dire e né cosa fare, speravo solo che qualcuno o qualcosa mi tirasse fuori da quella situazione.
<<Oh, le vaglie!>> Esclamai.
Nella mia testa stavo già ringraziando quegli stupidi bagagli.
Brandon li prese e mi porse la mia valigia, dopodiché anche noi ci dirigemmo fuori.
Percorremmo tutta la strada necessaria per uscire dall'aeroporto.
Sembrava di essere in altro mondo.
Era mezzanotte e le luci della città erano a dir poco spettacolari, rimasi estasiata da ciò.
<<L'avventura comincia adesso>> disse Brandon scioccato da tanta bellezza
<<Già>> dissi anch'io scioccata anche più di lui.

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