Capitolo 13.

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Passavano i giorni, mio padre non mi parlava e quella era la seconda estate senza Cole.
Non potevo vivere così, dovevo trovare un modo per amarlo e vivere tranquillamente allo stesso tempo.
Era estate ed io non facevo nulla, mentre tutto i miei coetanei erano felici per l'arrivo dell'estate dopo la maturità.
Si, anch'io l'avevo avuta ed ero uscita con il massimo dei voti. Giuro di non sapere come feci dato che la mia testa era presa da tutto ciò che mi stava succedendo.
Cercavo sempre una soluzione, un modo, una via di fuga per scappare da me e dai miei pensieri, ma non lo trovavo mai.
L'unico modo per riuscire a vivere normalmente era convivere con il mio dolore che oramai era parte di me.
L'estate stava finendo e tra poco sarebbe cominciato il college. Nuove persone, nuovo ambiente e soprattutto nuovi studi, cose che a me sono sempre piaciute.
Era arrivato il fatidico giorno. Il giorno dell'inizio del college.
Stavo prendendo gli ultimi bagagli da mettere in auto, quando mia madre mi chiese: <<sei pronta, tesoro?>>
<<Prontissima mamma>> risposi sorridendole
<<La mia bambina>> disse abbracciandomi.
Sciolto l'abbraccio mi aiutò a prendere i bagagli e ci dirigemmo al piano di sotto.
<<Finalmente te ne vai>> proferì mio padre, scherzava naturalmente.
<<Già, chi ti preparerà il caffè la mattina? Chi verrà a dirti di guardare un film insieme? E chi ti dirà di andare a prendere un gelato?>>
<<Bobbie>> mi rispose scoppiando a ridere
<<Non sei per niente spiritoso>> gli risposi
<<Vieni qua piccola, dammi un abbraccio>>.
Corsi verso di lui per poi farmi avvolgere dalle sue braccia.
<<Fai la brava>> mi raccomandò stampandoli un bacio in fronte
<<Te lo prometto, papà>>.
Lo salutai perché mi accompagnò mia madre in aereo.
Stanford si trova in California, invece Brooklyn è uno dei cinque distretti di New York. Di conseguenza non sarei mai potuta andare in California in auto.
Ci mettemmo poco meno di mezz'ora ad arrivare a Stanford.
Non partii da sola perché mia madre voleva vedere dal vivo l'università che sarei andata a frequentare.
Appena arrivata restai di sasso, era ancora più bella e grande di come la si vedeva in foto, mi sembrava quasi di sognare.
Mia madre avrebbe alloggiato per una notte in hotel e il giorno dopo sarebbe ritornata tranquillamente a casa da mio padre.
C'erano ragazzi e ragazze che salutavano i genitori, altri tiravano fuori gli scatoloni, altri salutavano i fidanzati, mentre io avevo salutato Cole già tre anni prima.
Non mi feci prendere dai pensieri, non dovevo pensare a Cole per star di nuovo male.
Io e mia madre ci incamminammo per cercare il dormitorio che mi avevano assegnato, si chiamava Butler Hall.
Avrei condiviso la stanza con le mie amiche, Britney e Cheryl. Non le vidi appena arrivata, erano già in camera.
<<Stanza centodieci!>> Urlò mia madre al momento in cui vide la camera
<<Busso... ah, è socchiusa>> bussai e vidi Britney e Cheryl corrermi incontro.
<<Ciao tesoro! Come stai? Ci sei mancata tanto>> disse Britney con molto entusiasmo
<<Anche voi mi siete mancate>> dissi abbracciandole.
<<Vi lascio sole>> disse mia madre
<<Però un'ultima cosa Autumn, vieni qui>>
Mia madre prese la mia mano e mi portò fuori
<<Ci siamo tesoro, finalmente hai raggiunto ciò che hai sempre desiderato, il college! Ti raccomando di impegnarti, andare a letto presto e non fare baldoria>>
<<Okay mamma>> la interruppi
<<Due ultime cose e poi ti lascio sistemare la roba: ricordati di sorridere sempre; e dovunque andrai, piccola mia, vacci con tutto il tuo cuore>>
<<Si mamma, te lo prometto>>
Mi baciò la guancia e poi andò via.
Rientrai in camera e le ragazze avevano appena finito di sistemare le loro cose.
<<Ti aiutiamo>> dissero
<<Grazie ragazze, ma non ce n'è bisogno>>
<<Autumn dai, non fare la difficile>> disse Cheryl
<<Okay okay, facciamo in fretta che tra poco si cena>> risposi.
Sistemammo tutto in venti minuti e poi andammo in mensa per cenare.
Era irta di ragazzi, anzi, irta è dir poco.
Prendemmo da mangiare e andammo a sederci al tavolo più vicino.
<<Quel ragazzo ti guarda da ore>> disse Britney. Io ero di spalle, non potevo vederlo.
Mi girai dopo un po' per non fargli capire che stessimo parlando di lui.
Era davvero carino, aveva gli occhi azzurri e i capelli sul biondo cenere con un ciuffo non troppo lungo cadente sul viso.
<<È carino>> mi limitai a dire
<<Carino? Ma se è un figo assurdo>> disse Cheryl
<<Io ho i miei gusti, tu hai i tuoi>> risposi già stanca della discussione
<<Andiamo Autumn, ancora quel Cole in testa?>>
<<Questi saranno pure cazzi miei, Britney>> dissi alzando la voce e andandomene via.
Stavo provando a dimenticare cercando di portarlo sempre dentro me, e lei che faceva?
"Ancora quel Cole in testa?".
Si, era ancora nella mia testa, dentro il mio cuore, dentro ogni parola e ogni gesto che facevo.
Scappai fuori cercando un posto in cui sedermi e piangere tranquillamente.
Mi allontanai un po' dalla mensa e mi sedetti in una panchina in mezzo ad un prato del college.
Piangevo, piangevo e piangevo. Siamo tutti capaci di parlare quando non riusciamo a capire il dolore di altri, perché molte volte diamo per scontato che passerà ed è una cosa futile per la quale piangere. Poi, però, quando capita a noi ci lamentiamo dicendo che nessuno ci capisce, quando invece siamo stati noi i primi a non capire.
<<Stai bene?>> Sentii dire da una voce maschile
Mi volsi indietro e vidi il ragazzo della mensa.
Era buio, non mi avrebbe vista piangere nemmeno provandoci, non credo nemmeno mi avesse sentita.
<<Si, va tutto bene>> risposi cercando di parlare nel miglior modo possibile e di non singhiozzare
<<Se va tutto bene perché piangi?>> Mi chiese avvicinandosi di più
<<Come hai fatto a capire che stessi piangendo?>> Chiesi incuriosita
<<Be' perché quando una ragazza si accascia in tal modo o sta poco bene o piange>>
Ci riflettei un attimo prima di rispondere e dopo mi sentii davvero stupida
<<Si, hai ragione in effetti>>
<<Posso sedermi?>> Mi chiese sorridendo
<<Certamente>> risposi scostandomi un po' più in là
<<Da dove vieni?>> Mi chiese
<<Brooklyn, tu?>>
<<Manchester>> rispose
<<Che corsi seguirai?>> Gli domandai
<<Filosofia e psicologia, tu invece?>>
<<Oh anch'io, seguo solo psicologia però>>
<<Infantile>> dicemmo insieme.
Scoppiammo a ridere e mi disse: <<sai che la psicologia afferma che per star bene non bisogna aspettarsi nulla. Tutto quello che ci capita deve essere una sorpresa. Se una persona ad un appuntamento ti porta una rosa, la volta successiva non dobbiamo aspettarla di nuovo. Non possiamo abituarci alle cose, tanto meno alle persone. Se si considerano gli avvenimenti come delle sorprese e mai come delle aspettative, si è più felici>>
Mi persi quando parlò della rosa.
Ripensai alla rosa che Cole strappò dalla siepe al nostro primo appuntamento. Ci eravamo visti altre volte, senza dubbio, però non erano proprio degli "appuntamenti". Gli appuntamenti sono quelli in cui i due ragazzi non stanno ancora insieme. Quelli di una coppia sono degli incontri, e ogni volta è un nuovo incontro tutto da vivere.
<<Ehm scusami, ho detto qualcosa di male forse?>> Mi domandò vedendomi nuovamente triste
<<No no, stavo solo pensando>> risposi cercando di sorridere
<<A cosa?>>
<<Scusami, dovrei farmi gli affari miei>>
<<Tranquillo, nessun problema>>
<<Tu a cosa pensi quando guardi le stelle?>> Lo interrogai
<<Perché mi chiedi?>> Disse ridendo
<<Rispondi o no?>>
<<Si, scusa. Penso che siamo tutti nella merda, ma alcuni di noi guardano le stelle>>
<<E questo per te cosa sta a significare?>>
<<Che ognuno di noi pensa di fare e di essere meglio di altri, di essere unico. Ma non è assolutamente così, ognuno di noi è diverso dall'altro e unico a modo proprio, esattamente come le stelle, e guardandole abbiamo ancora una possibilità di rinascere>>
Lo guardai affascinata e mi bloccai pure
<<So che la mia bellezza ti ha fatta incantare ma adesso puoi pure smettere di guardarmi>> scherzò
<<Può darsi>> risposi sorridendo
<<Davvero pensi che io sia carino?>> Mi chiese
<<Certo che sì>>
<<Non me l'aspettavo, grazie!>>
<<Ma ora dimmi cosa pensi tu delle stelle>>
<<Be' penso che le stelle non solo siano milioni e milioni come le persone, ma ve ne è una per ognuna di noi, una stella polare per tutti che guidi i nostri cammini. Le nostre anime sono piene di stelle cadenti>>
<<Sei fantastica>> mi rispose
<<Quindi mi stai dicendo che io sono più bella di te?>> Domandai ridendo
<<Si, proprio così>>
<<Non avevo dubbi>> risposi con tono modesto.
<<Parliamo da un bel po', ma non ci siamo ancora presentati>> affermò
<<Ora che ci penso è vero, io sono Autumn, Autumn Mitchell>>
<<Io Brandon Torres, è un piacere averla conosciuta, signorina>> disse baciandomi la mano
<<Sei davvero un buffone!>> Gli dissi facendogli una carezza
<<Oh no! Si è fatto tardi, devo andare>> gli dissi guardando l'orologio
<<Ti accompagno, dove devi andare?>>
<<Butler hall, tu?>>
<<Maxwell hall>>
Fortunatamente erano vicini, così non avrebbe dovuto fare molta strada da solo.
Ci incamminammo velocemente e giungemmo al mio dormitorio.
<<Allora ciao, Autumn>> mi disse dandomi un bacio sulla guancia
<<Ciao Brandon>>
<<Ci vediamo domani al corso di psicologia, okay?>> Mi disse
<<Va bene>> risposi
<<Buonanotte!>> Mi disse, io ricambiai.
Entrai e vidi entrambe le mie amiche sedute sui loro letto con facce pietose. Nemmeno le salutai.
<<Scusaci Autumn, non volevamo. A volte dimentichiamo quanto per te sia importante, ma non lo facciamo di proposito. Vorremmo la Autumn di una volta, raggiante e sorridente, non vogliamo che tu sia triste, desideriamo solo che tu stia bene e sia felice>>
<<Perdonate, però sappiate che io sto provando a dimenticare, ma con quella domanda avete riportato a galla tutti i miei sentimenti>> risposi
<<Scusaci Autumn, ti vogliamo bene e lo sai>>
<<Lo so lo so, adesso abbracciatemi>>
Vennero ad abbracciarmi correndo e si tuffarono su di me facendomi cadere sul letto.
Stemmo l'una vicina all'altra per un po' fino ad addormentarci.

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