Capitolo 32

17 0 0
                                    

In quel periodo, Ellie stava davvero male, ma né noi né i medici riuscivamo a capire di cosa soffrisse.
Aveva la febbre, quando non l'aveva, aveva i brividi; stanchezza persistente, o comunque debolezza. Non riusciva più a giocare tranquillamente come aveva sempre fatto; infezioni come aspergillosi (infezione dell'apparato respiratorio) o candidemia (infezione sistemica da candida); perdeva peso, nonostante mangiasse molto; da alcuni controlli fatti in ospedale, ci eravamo accorti dell'ingrossamento dei linfonodi e del fegato; le facevano male le ossa; sudava eccessivamente, soprattutto di notte. Era inverno, non sapevo darmi una spiegazione; come ultimo sintomo, arrivarono delle macchioline rosso-violacee sulla cute, simili a delle petecchie.
Non ne potevo più di vedere mia figlia così, decisi di portarla in ospedale a New York, al Bellevue Hospital Center.
Spiegai tutti i sintomi all'infermiera e mostrai le petecchie presenti sulla pelle, dunque decisero di farla entrare d'urgenza.
La mia unica figlia femmina, la più piccola, la bambina più dolce e gioiosa del mondo, l'unica che riusciva a calmarmi con un solo sorriso aveva la leucemia e stava morendo, le restavano poche ore di vita.
Come avevo fatto a non accorgermene? Di solito mi accorgevo sempre quando i miei bambini stavano male, capivo in un batter d'occhio cosa avessero. Inoltre, conoscevo bene i sintomi della leucemia, però non li avevo riconosciuti. Era più la paura di riconoscerli, non volevo assolutamente pensare che la mia bambina potesse avere una cosa del genere e morire da un giorno all'altro.
A stento riuscii ad avvisare la mia famiglia e le mie amiche.
Nessuno può capire quanto avrei desiderato essere al suo posto, volevo che la morte portasse via con sé me, non lei. Cosa aveva fatto di male la mia bambina per meritarsi tutto quello?

<<Sai mamma, io penso che quando la vita ti mette davanti certi ostacoli e certe situazioni da superare, è perché sa che tu sei forte abbastanza per provare a combatterle. Magari non riuscirò a vincere, però potrò dire d'aver messo tutta me stessa in questa battaglia. L'unica cosa che mi manca, sono i miei capelli>>
Ero sconvolta dalle sue parole, così piccola e senza esperienza, aveva già molta più forza e voglia di vivere di me. Sapeva della malattia, ma non sapeva che sarebbe morta entro qualche ora.
<<Mamma, so di essere malata, ma non so cosa sia la leucemia>> fece una pausa per la perdita di fiato
<<Me lo spieghi tu, per favore?>>
<<La leucemia è un tumore del sangue che nella maggior parte dei casi origina da una cellula staminale emopoietica. Essa colpisce i globuli bianchi, cellule che hanno lo scopo di proteggerci dalle infezioni che si moltiplicano normalmente solo in base alle esigenze dell'organismo. Quando essa si sviluppa, il midollo osseo produce grandi quantità di globuli bianchi che non funzionano correttamente. Inoltre, queste cellule prive di controllo, impediscono la normale crescita delle altre cellule prodotte dal midollo osseo, ossia globuli rossi e piastrine>>
<<Non ho capito niente>>
<<Come immaginavo>> le dissi ridendo
<<Mamma, mi prometti che farai le cose che sto per chiederti quando morirò?>>
<<Tesoro, ma tu non morirai, sei immortale>> mi venne spontaneo dirle. Era inaccettabile, non riuscivo minimamente a pensare ad una me senza mia figlia.
<<Esatto, io voglio essere immortale dentro i tuoi pensieri e dentro il tuo cuore. Desidero che tu non ti arrenda mai, che sia sempre felice e sorridente, che mi pensi sempre, che non ti farai abbattere dalla mia morte e che ti prenderai cura sia di Benji che di papà>>
<<Sei la cosa più preziosa che ho, mamma>> continuò rompendo il silenzio
<<Tu sei molto più di così, amore mio>> dissi stringendola forte a me e baciandola
<<Adesso sono stanca, voglio riposare>>.
I medici mi avevano avvertita. Non appena si sarebbe addormentata, non si sarebbe svegliata mai più.
Cominciai a piangere, ero immersa in un pianto disperato. Se n'era appena andata e io già ero distrutta. Le diedi un ultimo bacio sulla fronte ed uscii dalla stanza.
<<Se n'è andata, per sempre>> dissi ad alta voce. Fuori dalla stanza c'erano ad aspettarmi i miei genitori, Brandon, i suoi genitori e le mie migliori amiche.
Ero riuscita a calmarmi prima di uscire dalla stanza, però vidi perdere la calma a colore che erano fuori. I nostri genitori, Cheryl e Britney, scoppiarono a piangere; Brandon, scosso e mortificato andò via ed io gli corsi dietro.
<<Dov'è Benji?>> Riuscii solo a chiedergli
<<È a casa con la baby-sitter>>disse scoppiando a piangere e gettandosi fra le mie braccia. Piansi insieme a lui.
<<Dobbiamo farci forza, sia per noi stessi che per Benji>>
<<Non ce la faccio Autumn, non ce la faccio proprio>>.
Tenemmo il funerale il giorno dopo.
Era bellissima, l'avevo sempre desiderata, avevo desiderato chiamarla col nome che poi le ho dato, ho sognato giocare con lei, insegnarle la bellezza nascosta delle cose, dei tramonti, del mare, di tutto. Ma il tempo, non mi era bastato e non avevo fatto in tempo a vivere tutte quelle cose insieme a lei.
Il funerale si era svolto il giorno dopo. Benji era venuto insieme a noi, diceva che voleva dare forza alla sua mamma e al suo papà. Anche lui era un bambino così dolce, si prendeva cura di sua sorella ogni giorno e in ogni momento senza stancarsi mai.
Le cose cambiarono. Amavamo Benji e inizialmente ci prendemmo cura di lui più attentamente. Dalla morte di Ellie avevamo capito di dover rendere ogni momento passato con lui il più prezioso e unico al mondo, come se anche lui fosse destinato a morire l'indomani.
Ma è proprio quando iniziammo ad essere più apprensivi che tutto peggiorò.
Io e Brandon precipitammo in un oblio dal quale non uscimmo facilmente.
Passavamo più tempo insieme alle bottiglie di rum e vodka che con nostro figlio. Non capivamo quasi più nulla, se avessero rapito Benji, noi non ce ne saremmo nemmeno accorti.
Avevamo sbagliato a diventare due alcolizzati, avevamo cominciato per dimenticare. Dopo venti shots di rum e pera, una vodka lemon e quattro bianchi con fragola. Avevamo rimosso i nostri ricordi e quello di Benji, ma non quello di Ellie.
I bicchieri erano vuoti, le bottiglie in pezzi, il letto spalancato e la porta sprangata, tutte le stelle di vetro, della bellezza e della gioia risplendevano nella polvere della camera spazzata male. Brandon ubriaco morto, era un fuoco d'inferno, io ubriaca viva, nuda fra le sue braccia.
Eravamo ubriachi fradici, è vero. Abbiamo gridato dicendo quanto ci mancasse Ellie per le strade della città, siamo arrivati al cimitero alle quattro del mattino per starle "vicino". Volevamo dirle quanto ci mancasse.
Noi eravamo ubriachi, ma lei non c'era ugualmente e ci mancava sempre più.
Ero ubriaca, ma proprio ubriaca al punto da non capire neanche cosa facessi. Andavo in camera di Ellie e facevo le coccole al cuscino, pensando fosse lei. La chiamavo e mi mettevo ad urlare, così mi avrebbe potuta sentire ovunque fosse. Urlavo dicendo quanto la amassi, quanto mi mancasse e mi disperavo, minuto dopo minuto. Avrei voluto dirle tutti i progetti che avevo in mente. Gridavo dicendo che la vita è una stronza, che non faceva che presentarsi per poi andarsene. Non ero più colei che pensava a quanto fosse bella la vita, non riuscivo a farmene una ragione, la mia vita faceva schifo; fece ancora più schifo, quando mia madre decise di portarmi via Benji. Diceva che fin quando non avremmo smesso di bere, lui sarebbe rimasto a vivere con loro. La vita mi aveva distrutta in un solo attimo e io non potevo fare nulla per cercare di cambiare tutta quella merda.
Certe sere, pensavo pure di non meritarmelo tutto questo dolore, e che la mia vita non avesse nemmeno un senso ormai. Non sapevamo più che fare. Eravamo ubriachi e ci mancava nostra figlia.
Avevamo iniziato a spingerci all'interno del tunnel, per non sentire il tempo passare e spezzarci a metà e atterrarci senza pietà. Avevamo deciso di ubriacarci a merda.
E se talvolta, sul tetto di casa nostra, sull'erba verde del nostro giardino, nella tetra solitudine della nostra stanza, ci risvegliavamo perché l'ebrezza era diminuita o totalmente svanita, chiedevamo al vento, all'orologio, alle stelle e agli uccelli, a tutto ciò che fuggiva, a tutto ciò che gemeva, a tutto ciò che scorreva, a tutto ciò che cantava, a tutto ciò che parlava, che ora fosse, e il vento, le onde, le stelle gli uccelli e l'orologio, ci rispondevano: "è ora di ubriacarsi! Per non essere schiavi martirizzati dal tempo, ci ubriacavamo, ci ubriacavamo sempre! Vino, rum, vodka e long island. Mix perfetto.

Il meglio di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora