La Pugnetteide

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Ridiamo, comare, di Antonino,
che, sì caro perverso giovincello,
nell’umor di maniarsi il fringuello,
serrato subito il chiavistello,
allo specchio capì d’averlo preso
in quel posto, proprio su nel culo:
il braccio destro lo teneva lesto
per temprarsi il ciondolo più duro
del marmo; ma... fato beffardo!
Massiccio invece divenne l’arto,
bianco tutto per la garza di gesso.
Faceva l’elicottero Antonio,
però mica brandiva un cannone!
L’epopea di toilette serale
lo trasformò in mancino di virtù,
che, seduto sulla tazza rotonda,
impugnò lì la spada di Re Artù.
Dove fu, allora, Mago Merlino?
Un incantesimo solo poteva
rendere un tronco quel fagiolino!
Più che scuotere il gran volatile
scosse le sinapsi nella sua mente
perché cascasse fuori un’idea,
come quando il sacco di farina
si svuota forte con ambo le mani
così che venga giù ogni granello.
Ma il contenitore fu vacante,
per malasorte del nostro eroe!
Lo torturava in qualunque punto,
il collo, il centro, le parti basse;
ma di destarsi non volle saperne,
e il mancino fu presto consunto.
Gli venne poi nella sua testolina -
e sì! qualcosa venne finalmente -
il ricordo di Pasqualina Renga,
figlia del macellaio Sebastiano,
uomo ingenuo od assai furbo
a non notare che la prima vacca
gli girava in casa chiamandolo
“papà”. E, a rinforzo del proverbio,
se il peggior sordo non vuol sentire,
Sebastiano si mozzò le orecchie:
un macellaio con la figlia vacca
sarebbe il colmo per quel mestiere!
La mucca pasceva nelle idee
del nostro pastorello Antonietto,
e quanto più lenta brucava l’erba
tanto più s’ingrifava il serpente,
che bramava strisciare per il manto,
diventar allora camaleonte
confondendosi muto in quel prato
verde, e cogliere quella di sorpresa!
Oh, che ingiustizia, e che sciagura!
Aver un cannocchiale sì potente
inutile per ammirar la Luna!
Alzata l’asta ma senza bandiera,
o comare, perché il pugnettiere,
si sa,
è cittadino dell’immondo,
come ghermire un tale aratro?
come aggiogare siffatta fiera?
Come il giocatore di pallone
che riceve nell’area la sfera ,
però sul piede sbagliato... che fare?
E col difensore già alle spalle,
che non si sa se gli abbia puntato
palla o caviglia, tanto vicine?
Non è situazione per la logica
quella che si ha da fare subito,
così che se non può in precisione,
il calciatore tira in potenza!
Antonietto non si perse d’animo,
chiuse gli occhi e aprì la Renga,
e come se agitasse lo sciroppo
prima dell’uso, la penna scarica
perché vi esca l’ultimo inchiostro,
la bolla di plastica di Natale
per simulare la neve che fiocca,
così cavalcò il toro feroce
che si dimenava e dimenava!
E come il malato allo stomaco
sente il rigurgito del vomito
e si precipita al gabinetto
per sporcare solo ciò che di sozzo
abbia già il nome, così l’audace
direzionò il siluro al water,
verso la pozza d’acqua tra la baia
di ceramica, piccolo Mar Morto,
perché, o mie pettegole comare,
è cosa risaputa dalle guerre
che un dardo rumoreggi in mare
come l’ape che prenda il nettare.
Lavatosi con la carta del sangue
della vittima, temerario gioì
come in silenzio può far il ladro,
che ha da non urlare dell’impresa
per evitare che non si ripeta.
O mie care, deposto il suo gesso,
Antonietto ci prese anche gusto
a lasciar riposar il braccio destro,
ché più non lo eccitava la Renga
del ricordo delle mancine gesta.

Ciro Terlizzo

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