Cioccolata scaduta (Capitolo I)

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- Tu sei fortunato ad essere nero, perché al buio non ti si vede e rimani nascosto da tutti! Guarda invece io
dove devo rannicchiarmi per essere invisibile.
Quando Balik sorrise a quello che avevo detto, quei denti così bianchi, che risaltavano ancora di più sulla
pelle scura, diedero come l'effetto di una luce a neon che appena si accende ti lascia parzialmente accecato
per qualche secondo.
- Mattè, sei un deficiente! Ho la maglia rossa addosso! Mi scoprono comunque!
Io ne avevo una bianca, che brillava enormemente in quel sottoscala fetido e umidiccio. Faceva freddo in
quel posto, e imbottigliarsi tra gli scatoloni e le cianfrusaglie non era sufficiente a scaldare noi e il sudore
gelido che ci scendeva dalla fronte.
- Tieni.
Mi disse così quando mi porse la sua maglia con una mano e mi chiese in cambio la mia con l'altra, con una
fronte corrugata e occhi spianati ad intimarmi di far presto perché si stava congelando.
- Adesso rischiamo tutti e due allo stesso modo, e il colore della pelle per te non sarà più uno svantaggio
rispetto al mio.
Un bambino nero che dice questa frase ad uno bianco. Credo che queste parole, esattamente nell'ordine in
cui le ho scritte e con l'intonazione che in questo esatto momento mi ripeto in mente, insieme al "lo voglio"
di mia moglie all'altare, siano le uniche che non ho mai voluto dimenticare.
Quando iniziammo a sentire dei passi provenire dal cortile del palazzo ci facemmo ancora più piccoli di
quanto non fossimo già. Ci tappammo la bocca con entrambe le mani, come se non fossimo più noi a
controllare le parole che dovessero essere dette e come se usassimo le dita per rigettare in gola le lettere
ad alta voce che avrebbero potuto farci scoprire.
Sentivamo Egidio che si lamentava, gridava e faceva il mio nome.
Quello di Balik non lo pronunciava perché non lo aveva mai capito e perciò, quando raramente gli dava a
parlare, lo chiamava Barbie, come la bambola giocattolo delle ragazzine. Penso ancora oggi che conoscesse
perfettamente il nome del mio amico e che usasse quell'appellativo solamente per prenderlo in giro
liberamente alla luce del sole con una scusa che reggesse. Io e il mio compagno-bambola non facemmo
rumore neanche con le ciglia che battevano sugli occhi a tempo di palpebra.
L'avevo fatta in mille pezzi la finestra di quel vecchiaccio. Ma che tiro! Sapevo che Balik ci stava ancora
pensando: veronica su Alessandro, sombrero a Mattia e tiro di sinistro. Il colpo era stato così forte e così
vicino al muro della porta avversaria che il pallone era rimbalzato a molla verso la veranda di Egidio
frantumando un vetro. Tutti erano scappati, mentre io e Balik ci eravamo nascosti nel sottoscala del
condominio: in realtà non m'ero accorto che m'avesse seguito.
- Non volevo lasciarti solo: so che hai paura dei grandi.
"Cioccolata scaduta" non mi aveva lasciato solo. Era stato Mattia a dargli quel nomignolo.
- Credo se ne sia andato, possiamo uscire.
- Quello fa il portiere e sta sempre nel palazzo. Non ci mette niente a capire che siamo stati noi se ci vede
senza gli altri. Rimaniamo qua ancora.
Ancora adesso nutro dubbi su quelle intenzioni, come se fosse stato tutto un pretesto per parlarmi e
conoscermi facendosi conoscere.
- Ma che facciamo qua?
- La vuoi sentire la storia di Cioccolata Scaduta?
E iniziò a raccontarmi che la cioccolata era il suo cibo preferito, perché provava che anche quello che era
nero poteva essere dolce e piacere alle persone.

Ciro Terlizzo

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