Apro la porta del loft trovandolo stranamente silenzioso. E buio, troppo buio.
Uno dei difetti di Gregory è quello di accendere le luci della sala non appena cala il sole e dimenticarsele fino a quando non dobbiamo andare a dormire, a volte devo alzarmi io per spegnerle dato che lui non ne ha voglia.
Questa oscurità che mi da il bentornato non è affatto rassicurante e come a voler cancellare la pessima sensazione che mi sta prendendo al cuore, accendo le lampadine con gesti rapidi e decisi.
La luce mi rincuora un po' ma è solo un momento effimero non appena noto il foglietto bianco poggiato sopra al tavolino basso in vetro, circondato dalle poltrone e divano in pelle bianca.
Mi avvicino con cautela prendendolo in mano come fosse appena uscito dal forno in piena attività e io fossi senza guanti protettivi.
Tutte le mie peggiori paure in una riga sola.Non ce la faccio.
Lo giro e rigiro ma tutto quello che trovo sono solamente quattro parole. Nessun addio, nessuna scusa, nessuna informazione in più.
Mi guardo attorno e all'improvviso l'appartamento acquistato dai miei genitori per me e il mio fidanzato si trasforma in un luogo troppo stretto, sconosciuto e ostile. Corro in camera da letto e le gambe diventano di burro non appena accendo la luce e vedo gli armadi spalancati. I suoi armadi. Vuoti.
"No." Sussurro pianissimo passando di anta in anta come un'assatanata mentre le lacrime iniziano a mordere i lati degli occhi. "No!" questa volta urlo più forte, corro in bagno ma non ha lasciato nemmeno lo spazzolino o i suoi bagnoschiuma.
Devo fare qualcosa, non può lasciarmi così!
Ho ancora indosso la borsa e prendo il cellulare al volo senza avere le minima idea di che ore siano, scorro la rubrica fino ad arrivare al suo numero, chiamo ma nemmeno fa in tempo ad arrivare uno squillo che una voce metallica mi avvisa che il numero non è raggiungibile.
Cosa faccio?
Telefono a sua madre?
Abbasso gli occhi sullo schermo, sono le una del mattino e non vorrei farle prendere un colpo, ci manca solo che mi accusino di omicidio e tutto sommato voglio bene a sua madre.
È scappato.
Da me, dal nostro matrimonio, dal nostro passato, dal nostro futuro.
E questa considerazione mi colpisce come un pugno in pieno stomaco.
Perché, maledizione, perché? Perché non ha preferito affrontarmi e parlarne? Per quale stupida ragione ha preso e se ne è andato lasciando solo poche righe per dirmi addio!
Il dolore lascia spazio ad una rabbia quasi incontrollabile.
Nessuno mi lascia o peggio, mi abbandona su due piedi senza darmi un motivo valido.
Nessuno.
L'ennesima notte in bianco è segnata dalle pesanti occhiaie scure, mi reggo in piedi solo grazie la doppia dose di caffè e perché oggi c'è un pungente vento gelido che ti aggredisce non appena volti qualsiasi angolo.
Arrivo alla Marymount School pagando una bella cifra al tassista pregandolo di aspettarmi qui anche se non so quanto tempo impiegherò per incontrare Gregory e chiedere spiegazioni.
Entro nell'edificio senza guardarmi attorno e una volta raggiunta la segreteria mi accoglie una donna di circa la mia età, un bel sorriso quasi contagioso tanto che persino le mie labbra si muovono appena verso l'alto nonostante la devastazione che porto dentro.
"Buongiorno signora, in cosa posso esserle utile?"
"Si, in che aula trovo il signor Gregory Ahsford? Sono la sua fidanzata."
La donna aggrotta le sopracciglia assumendo un'espressione molto preoccupante: "Si è licenziato la settimana scorsa, credevo lo sapesse."
Questa rivelazione mi colpisce con la forza di un proiettile nel cuore, tanto che faccio un passo indietro e sento di essere sbiancata in viso, il vociare degli studenti che rientrano in classe è ovattato e confuso, la vista segnata da pallini rossi.
"Signora, si sente bene?"
Mi aggrappo al bancone della segreteria senza sentire una parola di quello che ha appena detto.
Una settimana fa.
Ciò significa che tre giorni fa mi ha mentito. Non stava scrivendo dei messaggi al suo collega di cui nemmeno ricordo il nome, nessuno avrebbe dovuto sostituirlo per un lavoro che non aveva più!
Sento un forte bruciore allo stomaco ma non è gastrite, oh no, è rabbia. Come quella di questa notte, rabbia profonda che sale così violenta da farmi riprendere i sensi, non rispondo alla segretaria ma prendo la via esterna apprezzando il tassista che mi ha aspettata davvero fuori dalla scuola e non se ne è andato coi soldi in più.
Salgo in macchina più infuriata che mai, chiedo di tornare a casa e gli do l'indirizzo quando sento il telefono squillare.
Sonia.
La madre di Gregory.
Oh si, bella mia, ho tante cose da dire su come hai cresciuto quell'irresponsabile di tuo figlio!
"Pronto?"
"Madison?"
"Si."
Devo stare calma, molto, molto calma.
"Oh tesoro, ciao. Volevo solo rassicurarti che Gregory è qui e che..." scoppia a piangere. E tutta la sicurezza che avevo poco fa viene meno. "Scusa Madison, scusa tanto! É un idiota! Un irresponsabile! Ho cresciuto un imbecille!" non so cosa dire, così lascio che un pesante silenzio cali tra noi.
Ringraziando la rabbia che covo dentro, prendo coraggio: "Passamelo, Sonia." E se non si è capito, cara mia suocera mancata, questo è un ordine.
Come risposta ottengo un breve colpo di tosse, la cornetta deve essere a mezz'aria dato che sento sia la voce della donna che quella di Gegory sovrapporsi in una lite breve ma intensa, da quel che riesco a capire Gregory non vuole parlarmi.
Ovviamente.
Ma alla fine la madre lo costringe a cedere e posso sentire la sua voce al telefono. Sono arrabbiata, dispiaciuta, triste e felice. Almeno è ancora vivo, si sta comportando da stronzo ma non posso negare in mezzo minuto i dieci anni passati insieme.
Devo combattere per questi dieci anni!
"Madison, non me la sento. Non voglio sposarti, non voglio più stare con te."
Non sono stupida, lo immaginavo, ma sentirmelo dire è peggio che mai. Peggio ancora è questa sua voce tranquilla e sicura, come se mi avesse chiesto di comprare un ingrediente mancante dal frigorifero.
"Perché?" riesco a chiedere a malapena. E mi odio per aver fatto uscire il tutto in un sussurro patetico e lagnante.
"Non sei tu, Madison, sono io.."
Classica frase per lasciare qualcuno lavandosene le mani da ogni tipo di responsabilità. Scuoto la testa come se fosse qui davanti a me: "Perché?" sembra che abbia dimenticato ogni singolo vocabolo del mondo, non riesco a dire nient'altro.
"Mi dispiace."
Detto ciò riattacca senza darmi possibilità di dire altro, anche se non credo che ci sarei riuscita.
"Signorina, siamo arrivati."
Il corpo si muove in automatico, non so come ma appena rialzo gli occhi mi ritrovo dentro quella sala vuota e mezza buia che non riesco più a riconoscere come il mio appartamento.
Il nido d'amore mai costruito.
Tutta la forza che ho cercato di accumulare in queste ore viene meno e scivolo sul pavimento con la porta di ingresso a farmi da muro.
Scoppio a piangere.
Perché dentro di me sento che non posso fare altro.
STAI LEGGENDO
All'improvviso come la Neve - Gerini Alice
ChickLitDISPONIBILE ANCHE SU AMAZON Copyright del testo © Gerini Alice Tutti i diritti riservati, ogni violazione di copyright Verrà punita applicando l'art.1 Legge 633/1941 TRAILER YOUTUBE https://youtu.be/sVZzX7SadLE TRAMA: Madison ha una vita perfetta: r...