Capitolo 35 Nina

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  • Dedicata a DirtyPigs
                                    

“che cazzo ci facevi con quello la su?” mi sta urlando in faccia ed io non so se guardarlo o meno, non so se dovrei piangere, perché dopo una settimana di silenzio ora mi sta urlando contro.

“io..” tento di dire qualcosa

“io cosa?” sta urlando come un pazzo e mi guardo intorno, siamo nel giardino antecedente la casa, i ragazzi che sono li fuori sono talmente ubriachi che non si accorgono di noi, o meglio ci ignorano.

“Voglio andare a casa” dico strattonando il braccio dalla sua presa. Vado verso il marciapiede e mi metto in cammino per casa mia, incrocio le braccia al petto e tento di recuperare un minimo della fiducia in me stessa che mi è rimasta, lo sento dietro di me, so che è lui perché sta ancora brontolando, mi volto improvvisamente verso di lui. “Non seguirmi” gli intimo, ma lui va avanti e mi aspetta, lo guardo e sento che sto per scoppiare “tu non sei nessuno, non puoi venire da me e strapparmi via da un luogo, non puoi urlarmi in faccia, sono una persona, ma soprattutto una ragazza e ancor peggio una tua amica”

“si certo, amica” dice lui stizzito

“perché no? ti conosco meglio di chiunque la dentro, la tua ragazza lo sa come ti sei provocato quella cicatrice al gomito? O perché vuoi cambiare sempre colore dei capelli? Lei lo sa?” urlo

“tu non sei mia amica, sei solo una che non si è mai fatta gli affari suoi..” le sue parole mi tagliano, mi feriscono, mi sento male, voglio vomitare tutto, ma poi ricordo di non aver mangiato nulla, non mangio nulla da una settimana ormai. Abbasso lo sguardo per evitare di farmi vedere in lacrime. “bene allora.. dico sorpassandolo “non hai nessun diritto di seguirmi allora” mi tolgo gli stivaletti con il tacco e tenendoli in mano inizio a correre verso casa mia.

Sono passati tre giorni da quella stupida festa. Non mangio da tre giorni. Mi sento giù di morale. Mi manca Michael, mi manca il mio amico. “tu non sei una mia amica” le sue parole. Mi fanno male. Un male pazzesco. Possibile che dopo anni della nostra amicizia sia finito tutto? Anzi non sia mai iniziato. Non ci credo, non voglio crederci. Basta stare in casa. Anche se ho paura che mi chiuda la porta in faccia, anche se non è colpa mia, vado da lui. Apro la porta e scendo sul vialetto, mi guardo le mani, stanno tremando, le metto nella tasca della felpa, che guarda caso è sua, è nera con il logo degli “Iron Maiden” cerco di formulare frasi di senso compiuto, ma l’unica cosa che voglio fare è abbracciarlo. Un passo alla volta Nina, un passo alla volta. Alzo lo sguardo e infondo alla via c’è Michael, ha lo sguardo basso e nel momento in cui lo alza incrocia il mio. Si blocca nei suoi passi, anche le sue mani sono nella tasca della felpa, la sua grigio scuro, ha un berretto di lana e il cappuccio della felpa sopra il berretto. Rimaniamo a guardarci, alza le spalle e fa una strana espressione con le guance, è calmo e tranquillo, e non mi rendo subito conto che le mie gambe stanno correndo verso di lui, tolgo le mani dalla tasca e anche lui lo fa, le tiene aperte per me ed io mi ci rifugio completamente. Le sue braccia mi stringono. Le sue labbra premono sulla mia fronte e mi sento bene, sto bene con lui. “scusa” dico e le sue braccia si stringono di più intorno a me

“scusa tu”

“vuoi entrare?” chiedo tastando il terreno e lui annuisce, mi avvolge un braccio alla vita e torniamo a casa mia insieme. La casa è vuota come l’avevo lasciata. Saliamo le scale ed entriamo in camera, mia, ci stendiamo sul letto e poggio la testa sul suo petto, le sue braccia mi stringono ancora, mi bacia i capelli e gioca con le punte con le dita.

“sono un’idiota scusa”

Il telefono lampeggia e interrompo il mio racconto, prendo il cellulare sperando sia Ashton, ma non è lui. Sono afflitta. Mi siedo sul letto e chiudo gli occhi. “pronto” dico affranta. Il numero è sconosciuto, non sento nessuno dall’altra parte, guardo lo schermo, la chiamata è ancora attiva. “pronto?” nessuna risposta. La chiamata si chiude. Ashton, ti prego. Chiamo sul suo numero, al secondo squillo risponde

“ehy”

“Ashton” cerco di darmi un contegno, ma la voce si spezza e sono paralizzata “ti prego.. scusa”

“sto venendo da te”

“non sono da mia madre” dico

“si lo so.. sto venendo a casa tua a Londra” dice e riattacca.  

Mi mangio le mani, perché Ashton sta venendo qui? Sono seduta su uno sgabello davanti alla porta di ingresso, Mihaela ha passato metà dei venti minuti da quando sono seduta qua a ripetermi che non c’era bisogno di aspettarlo dietro la porta, ma non le ho dato ascolto, alla fine si è arresa ed ora è in camera sua con la musica ad alto volume. Finalmente dopo quelle che sono sembrate ore il campanello suona, ed io quasi cado dallo sgabello per precipitarmi ad aprire. Ashton è vestito nello stesso modo di quella sera, la barba sulle guance e gli occhi arrossati.

“ciao” dice a abbassa lo sguardo “mi disp..” non aspetto che dica altro gli avvolgo le braccia al collo e lo abbraccio, mi prende in braccio e mi stringe a se. “scusa piccolina mia, sono un’idiota”

“shh.. non dire nulla..” lo stringo a me e non posso credere di star piangendo. “sono stata cosi male senza di te, io ti voglio troppo bene, non litighiamo più” dico in un pianto disperato, mi mette giu e con le dita mi asciuga le lacrime “non piangere per me, è come se fossi tuo fratello, odio vederti piangere”

“piango perché sono felice che tu sia qui, che sei venuto da me”

“sono stato troppo male per come ti ho trattato” dice ed io lo azzittisco tappandogli la bocca con le mani, finge di morderle e rido, rido ed anche lui ride. È un sollievo sentirlo ridere.

“per cui Ashton non sei cosi antipatico come vuoi farci credere” dice Mihaela dall’altra parte del tavolo in braccio a Niall che si affoga con l’acqua e sputa via

“no, scusate per quella sera” dice spostando lo sguardo da Mihaela e Niall, gli afferro un ciuffo di cci gioco

“ma va tranquillo” Niall prende parola e sorride. Niall ha portato le pizze stasera, e Ashton si è lasciato convincere a restare, nemmeno oggi, a parte qualche messaggio qua e la ho sentito Louis, aveva scritto di avere il pranzo con la madre, ma siamo già a cena. Forse è meglio cosi, non ho ancora discusso con Ashton del fattore Louis.

Non lo voglio turbare per il momento, per cui meglio remare in acque basse e non dire nulla, ancora.

imperfect. || Michael Clifford ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora