venti✨

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La partita

Mi guardo intorno, decisamente a disagio. Questo stadio non mi piace, non solo per ovvi motivi da tifosa, ma anche per la gente che ci sta dentro, soprattutto una persona in particolare.
È matematicamente impossibile che riesca a notarmi in mezzo a questa folla immensa, ma ho comunque paura perché nella vita ho imparato che le possibilità possono sempre essere poche ma mai zero.
E prego vivamente che almeno in questo caso la possibilità si riveli davvero nulla, perché potrebbe succedere ciò che più temo, ovvero dover affrontare lo scheletro più grande che io abbia mai custodito nell'armadio. Quello scheletro che mi ha tenuta sveglia nottate intere, che mi ha portata a diffidare delle persone, che mi ha recato più dolore di qualsiasi altra cosa.
Non sono ancora pronta a rivederlo, né tantomeno a dire tutto a Lorenzo, non sono pronta a rivivere nella mia testa e nelle mie parole quella situazione. Si fa largo in me il pentimento per aver seguito Lorenzo a Torino, ma non avrei potuto fare altrimenti: so quanto ci tiene, e non me la sono sentita di dirgli di no.

Prendo un respiro profondo per calmarmi e ripetere mentalmente che andrà tutto bene, che non succederà niente e uscirò illesa da questa serata.
Non mi interessa nemmeno più della partita in sé per sé.
Eppure una brutta sensazione mi attanaglia lo stomaco, smorzando ogni tentativo di essere positiva e ottimista. Perché tanto già lo so che se spero che una cosa vada in una direzione, quella andrà in direzione opposta.

Al fischio dell'arbitro lascio che la mente si svuoti e si concentri solo ed esclusivamente sul campo.
Al decimo minuto Dries gonfia la rete: io e Kat ci alziamo e iniziamo a saltellare abbracciandoci, mentre le altre accompagnatrici ci filmano divertite, e sento con un certo orgoglio il baccano creato dai numerosi tifosi del Napoli presenti qua a Torino, l'unica voce in uno Stadium silenzioso.
Purtroppo la partita si mette male: il Napoli perde progressivamente il dominio del gioco e la Juve riesce a ribaltare la partita, grazie al talento individuale di Mandzukic e Ronaldo e qualche solito aiutino di arbitrale, niente a cui non siamo abituati.
Il match termina tre a uno per i padroni di casa, che esultano come se avessero vinto la Champions, "che tanto non vinceranno mai", penso solamente, evitando di dire ad alta voce una cosa del genere in mezzo agli juventini.
Con certo sgomento noto la folla intorno a me ridursi, e di conseguenza mi sento pericolosamente esposta. Non ho mai desiderato così fortemente scappare, rifugiarmi in un posto sicuro, che la mia mente collega immediatamente alle braccia di Lorenzo, uno dei pochi luoghi in cui posso staccare la spina e passare qualche attimo in pace, senza preoccupazioni.

È in momenti come questi, quando sono in preda al terrore, che mi rendo conto quanto quell'accaduto mi abbia segnata nel profondo, come un solco scavato a forza dentro di me, che non può essere semplicemente riempito come se niente fosse, perché risulterà sempre evidente che c'è qualcosa che non va.
E per quanto provo a convincermi che non tutti sono fatti allo stesso modo, mi chiedo in continuazione: e se dovesse accadere di nuovo?

Raggiungo finalmente gli spogliatoi, dove aspetto insieme alle altre, in religioso silenzio, che i ragazzi escano. Per i giocatori è una partita molto sentita, poiché lo è per i tifosi del Napoli: ci tengono sempre a dare il meglio in questo genere di appuntamenti, per non deludere i tifosi che li seguono e li supportano durante ogni partita.
Lorenzo è uno tra i primi ad uscire, e si butta a capofitto tra le mie braccia.
Lo tengo stretto mentre gli sussurro parole dolci e di conforto, che piano piano, insieme a qualche carezza, riescono a calmarlo.

Quando tutti si sono fatti la doccia e hanno terminato le interviste, ci incamminiamo per dirigerci verso il pullman, ma una voce a me fin troppo familiare fa arrestare tutto il gruppo.
Un brivido mi scuote da capo a piedi, sento il respiro iniziare ad accelerarsi e la vista ad annebbiarsi.

«Valeria!»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 20 ⏰

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