Capitolo 20

208 11 0
                                    

"Harringhton!! Maledizione cadetto muoviti quando ti chiamo!" Urla al telefono il detective Miller riferendosi ad una delle guardie che lui stesso a soprannominato "cadetti", l'ultima cosa che sono in pratica.
Riaggancia in fretta ed in modo molto burbero e poco elegante esordisce contro la scatoletta fatta di circuiti e metallo, urlando parole di sdegno nei confronti della tecnologia.
È un uomo particolare, e noto anche che è sposato, chi mai si sposerebbe uno così?
Mentre studio a fondo il mio giudice, inizio a giocherellare con le manette per calmarmi, l'ansia sale ogni minuto che passa, invece devo dire che la paura è leggermente calata, leggermente.
"No Stage, smettila prima che ti faccia fuori come tu hai ucciso quelle persone." La sua affermazione è di cattivo gusto, non ha vinto delle vite degli altri, ma dopotutto sto parlando io, quella che ha ucciso una ragazza a sangue freddo. Continuano ad accusarmi di altri cinque omicidi, ma in non ricordo proprio niente, trovo strano anche il fatto che io mi sia ricordata della ragazza, e questo mi spezza l'anima, ho ucciso davvero una persona con le mie mani; le guardo, le mie dita tremano e, come fosse un flashback, le vedo coperte di sangue per poi tornare normali pochi secondi dopo. Sgrano gli occhi, le tasto, pulite, inizio a piangere di nuovo.
Tra un singhiozzo e l'altro mi rendo conto che dentro la stanzetta è entrata una seconda persona, una guardia, il suo cartellino dice "J. Harrington" è lui quindi, cadetto proprio non può definirsi; è un omaccione alto, robusto è completamente pelato, le mani sono ferme sulla cintura, pronte ad estrarre la pistola d'ordinanza in qualsiasi momento.
Dopo poco si rivolge a me, si piega ed inizia ad aprire le manette "Torniamo in cella, muoviti." Dice con fare meschino.
Non fiato, mi alzo e vengo trascinata al di fuori della stanza degli interrogatori, lasciando il signor Miller solo con il suo odio per la tecnologia.
Durante l'interrogatorio ho perso la cognizione del tempo, anzi non credo di averla avuta da quando mi sono 'risvegliata'. Non ho capito se è giorno o meno, qui non c'è neanche una finestra, un buco, una fessura, dove mi hanno rinchiuso? In un carcere di massima sicurezza?
Le altre domande però vengono dopo uno stimolo diverso...
"Senta, dovrei andare in bagno.." Dico con un filo di imbarazzo nella voce.
La guardia si ferma, si volta ed inizia a fissarmi per poi scoppiare in una sonora risata.
"Hai un gabinetto dentro la cella Stage, non farmi più certe domande, non mi interessa se tu debba pisciare o meno." Dice sforzandosi di non ridere a quella che per lui sembra una battuta, ma non lo è.
Non rispondo, mi limito a tornare a fissare il pavimento grigio scuro, come le pareti di questo terribile posto; quanto dovrò rimanere qui? Sopravviverò a tutto questo?

Dopo pochi minuti siamo di nuovo davanti alla mia cella, J apre la porta e mi spinge dentro come fossi un sacco di patate, perdo l'equilibrio e cado rovinosamente battendo la testa sul bordo della cuccetta.
In mente mi passano una miriade di insulti, ma decido di rimanere in silenzio per non aggravare la mia, già critica, situazione.
L'uomo ride, e anche di gusto, si piega davanti ad una me stesa sul pavimento, mi afferra per un braccio, mi rimette in piedi e, senza smettere neanche per un secondo di ridere, mi toglie le manette e poi, dopo aver chiusa la cella a chiave, si perde nel lungo corridoio.
Mi massaggio i polsi, poi nell'aria sento odore di ferro, anzi, di sangue; mi tasto la tempia è noto qualcosa di umido al tatto, mi avvicino al minuscolo e sporco specchio presente sul lavandino in acciaio ed effettivamente c'è una bella ferita, un tagli di circa quattro centimetri, cosa faccio adesso?
Prendo il copri cuscino, ne strappo un pezzo e lo premo sulla ferita, non prima di averlo inzuppato di acqua fredda. Brucia, ma non posso farci nulla.
Improvvisamente mi torna in mente Alice, l'hanno trovata? E se sì, hanno fatto qualcosa per lei? Un funerale ad esempio...in ogni caso in non c'ero, e mi sento uno schifo.
Inizio a piangere in silenzio come sempre, il dolore devo sfogarlo in qualche modo, e questo è l'unico che conosco.

Passano alcune ore, almeno credo, e mi ricordo di dover andare in bagno, la caduta e i pensieri mi hanno distratto.
Cerco il gabinetto e, proprio dietro il "letto" c'è un wc in acciaio, mi avvicino, mi guardo intorno, non voglio farla mentre qualcuno mi guarda. Dopo essermi assicurata che non ci fosse nessuno, faccio quello che devo fare.
Appena il tempo di tirare lo sciacquone che mi si presenta davanti alle sbarre Alex.
Non riesco a guardarlo negli occhi, così a testa bassa mi siedo sulla cuccetta, senza staccare gli occhi da terra.
"Stage, hai visite." Dice con la stessa voce piatta ed inespressiva con cui ha condotto tutto l'interrogatorio.
Una sensazione allo stomaco, ansia? Oramai provo solo questo, ansia, tristezza, paura, vergogna.
"Chi è?" Chiedo alzando di poco lo sguardo "Tuo fratello" quelle due parole, quelle semplici bellissime parole mi illuminano lo sguardo, Mark è venuto qui, per me.
Mi alzo, stesso procedimento di prima, manette, uscita, chiusura della cella, guardia che ti conduce per il corridoio.
Dopo alcuni minuti mi ritrovo davanti ad una porta blu, questa si apre in automatico.
"Puoi lasciarla a me." Dice Alex riferendosi alla guardia "Ma, signore!" Ribatte questa eludendo alle mie accuse "So gestire cose del genere, vai pure." A queste parole la guardia scocciata si allontana e mi lascia nelle mani di Alex, no del mio..no, del detective Carter.
Insieme entriamo nella stanza con la porta blu, anche questa, come la prima, è spoglia, c'è solo una sedia davanti ad un muro con una parte in vetro trasparente. È la stanza per le visite, ma non quelle dei normali detenuti, quella per quelli più pericolosi. Mi siedo e dopo pochi minuti vedo mio fratello entrare dall'altra parte e sedersi di fronte a me.
Si è tagliato i riccioli, adesso è quasi pelato, non indossa più le solite tute, anzi è in giacca e cravatta.
Una lacrima solca la mia guancia e sorrido nel vedere il mio bellissimo fratellino.
"Ei.." Dice con voce spenta parlando attraverso una cornetta del telefono, che io ho in mano vicino all'orecchio.
"Mark, che ci fai qui?" Chiedo sull'orlo delle lacrime "Sono venuto a trovarti.." la sua voce è strana, è successo qualcosa, e non si tratta di me, no.
"Alice è morta, l'hanno trovata un mese fa', abbiamo fatto il funerale, è stato bello, emozionante." Sapevo che era morta, ma sentirlo dire da mio fratello in questo modo è stato più devastate di quando l'avesse fatto Nightmare. Cerco invano di trattenere le lacrime, poggio una mano sul vetro e mio fratello fa la stessa cosa, iniziamo a piangere entrambi, come due bambini.
Alex guarda tutta la scena, e con la coda dell'occhio vedo che anche lui si sta emozionando, prova qualcosa per me ancora, o almeno questo è quello che spero.
"Che cos'hai fatto Lisa?" La domanda che avrei voluto evitare, ha rovinato questo bel momento.
"Io non lo so, so solo che sono stata rapita da quel mostro, mi ha drogata e mi sono risvegliata qui.." Dico sforzandomi di far uscire le parole.
"Hai ucciso sei persone e non te lo ricordi?" Insiste quasi con rabbia mio fratello.
"Mark, ti giuro che non ero in me se è davvero successo, quello mi ha drogata!" Urlo in lacrime.
Nessuno mi crede, neanche mio fratello.

•LOVE KILLS•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora