Capitolo 30

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"Il mio nome è Josh, Josh White, non ti ricordi di me?"
Non è possibile, che cosa c'entra lui? Perché ha fatto tutto questo?
Josh era il mio fidanzato ai tempi delle superiori, non capisco che cosa lo ha portato a fare tutto questo?
"Perché?" Dico con la stessa espressione di chi non sta capendo nulla e si agita ogni secondo che passa.
"Odio le persone, le ho sempre odiate, ma tu, tu sei stata una delle poche che ho amato nella vita."
"Allora perché mi hai fatto questo?" Urlo piena di rabbia e tristezza; quelle sue parole non hanno un minimo senso, sono solo il delirio di un pazzo in fin di vita.
"Perché odio le persone, addio Lisa Stage."
Josh chiude gli occhi, si abbandona al destino.
Con tutta la rabbia e il rancore lo guardo, non riconosco il ragazzo che ho conosciuto qualche anno fa; mai mi sarei aspettata una cosa del genere da lui, mi avvicino ancora di più, tanto da far aderire la canna della pistola alla fronte di lui.
"Ti ho amata, Lisa Stage."
"Lisa, non farlo!!"
"Nooo"
Sparo, chiudo gli occhi e sparo.
Le mie gambe tremano, cado a terra in ginocchio, scoppio a piangere.
Due braccia mi avvolgono in un caldo abbraccio, mi giro è Alex, stringo forte le sue braccia a me, non voglio lasciarlo andare.
"Lisa, sta tranquilla, è finita." Mi abbandono al pianto, alla disperazione, non è stato come me lo ero aspettato, ho provato dolore nel farlo.
"Ho chiamato la polizia, sta arrivando Miller, ti porterà via." Continua Alex con un filo di voce; mi aiuta ad alzarmi, e poi mi bacia. Mi stringo a lui, dopotutto questa sarà l'ultima volta, il nostro addio.
"Stage! Ci sei riuscita!" L'inconfondibile voce del detective Miller interrompe il nostro momento romantico, due poliziotti si avvicinano a me, mi ammanettano e mi trascinano fuori dal locale. Do un ultimo sguardo al mio fratellino, e al mio ragazzo, i loro sguardi sono tristi, ma senza di me staranno meglio, oramai ho fatto la mia scelta, quella di scontare qualsiasi pena mi dia il giudice.
"Mark, ti voglio bene sappilo.
Alexander Carter, ti amo." Dico prima di essere caricata sulla macchina della polizia, diretta verso la mia casa, il carcere.

Giorno dell'udienza
Oggi, è il fatidico giorno.
Alex è venuto a trovarmi con Mark, hanno detto che ci saranno, ne sono felice.
Indosserò gli stessi vestiti della scorsa volta.
Mentre mi preparo il mio sguardo viene catturato dall'immagine riflessa nello specchio, i miei capelli sono corti, mi stanno molto bene devo dire, poi sono anche un po' mossi, mi piacciono davvero molto.
Dopo pochi minuti sono già pronta, chiamo la guardia, che mi accompagna di nuovo fino alla macchina dove ci sono il detective Miller, Mckenzie e la guardia donna.
"Lisa, come stai?" Mi chiede il detective mentre fa cenno all'autista di partire.
"Bene, grazie."
"Abbiamo identificato le tre vittime dello scontro a fuoco avvenuto in quel capannone, erano scomparse da alcune settimane, sono Eleonor Rigby, Jacob White e Leopold Norrington."
Sentire i loro nome mi fa uno strano effetto, provo dolore per la loro morte, ma un dolore intenso come fossero miei parenti, forse perché non ho potuto salvarli.

Dopo poco siamo di nuovo davanti al tribunale, vengo scortata nella stessa cella della scorsa volta, mi siedo e attendo con calma e pazienza il mio giudizio.
Passano delle ore, lunghe ed interminabili; molte volte ho incrociato gli sguardi di Mark ed Alex che mi hanno rivolto dei grandi sorrisi speranzosi, ho cercato di ricambiare, ma non mi sembra il momento adatto per ridere.
"Tutti in piedi, rientrano il giudice e la giuria."
Il rumore delle sedie che strisciano sul pavimento riempie la stanza, per il resto silenzio più assoluto.
"La giuria ha raggiunto un verdetto unanime?" Chiede il giudice riferendosi ad una delle tante persone sedute al banco dei giurati.
Una donna minuta si alza, fa un cenno con la testa e poi si rivolge a me, mi fissa, non sa cosa fare. "Con un verdetto unanime, questa giuria condanna l'imputata a trent'anni di reclusione presso il carcere di Port Island."
"Così è stato deciso, l'udienza é sciolta."
Tutti iniziano ad alzarsi e a scorrazzare via dalla sala, io invece rimango seduta, imbambolata a fissare il nulla.
Quel giudizio è due cose per me, una coltellata dritta al petto, e un sospiro di sollievo.
Ho perso di vista Alex e Mark, spero mi vengano a trovare in carcere ogni tanto, sono l'unica cosa che mi rimane.
Vengo scortata di nuovo in macchina, diretta verso il posto da cui sono venuta.
"Trent'anni, ti è andata bene." Dice Miller, come se si stesse complimentando con me.
Io non rispondo, mi limito ad osservare il paesaggio che scorre veloce fuori dal finestrino.
"Sai, ti ho risparmiato l'accusa per l'omicidio di Nightmare."
"Grazie." Rispondo secca.
"C'è una cosa però che mi dà fastidio, non siamo riusciti ad identificarlo."


Passano alcuni giorni
Oggi è giorno di visita, dovrebbe venire Alex.
Non so che cosa dirgli, né tantomeno cosa fare, l'idea di vederlo poche volte mi rattrista, ma quella che durante questi anni possa trovare un'altra donna mi uccide.
È così, lui andrà per la sua strada, mentre io rimarrò qui, da sola a scontare la mia pena, ha portare il mio macigno in cima alla montagna.
Alex è stato l'unico ragazzo per cui ho provato un sentimento reale, e non lo dico tanto per dire, è la verità, quella più pura e semplice, non so se per lui è lo stesso, dopotutto la sua vita continuerà, andrà avanti ed io non posso starle dietro, non ho i mezzi per farlo.
Quel ragazzo, Josh, mi ha rovinato la vita, ucciderlo alla fine non è servito a nulla, mi ha portato pace, ma non mi ha ridato indentro la mia vecchia vita.
Dopotutto sono io quella in carcere, non lui.
Mi do' una sistemata, Alex dovrebbe arrivare tra poco, Miller ci ha promesso una sala tutta per noi, dice che mi deve un favore per la storia di Nightmare, in fin dei conti ho tolto un bel dente cariato per la polizia, anche se non ho rivelato il vero nome del famoso serial killer, e non ho intenzione di farlo mai.
Dopo pochi minuti infatti arriva una delle solite guardie "Stage, visite." Mentre dice questo apre la cella, mi ammanetta e mi conduce verso la sala visite privata.
Vengo buttata dentro come fossi spazzatura, Alex è seduto su una poltrona in pelle marrone, posta di fronte ad un'altra poltrona identica, le due sono separate da un tavolino in vetro. Il pavimento è coperto da una moquette morbida di un colore simile al giallo.
Prendo posto nell'altra poltrona, senza distogliere lo sguardo da quella che per me è una visione mistica, Alexander Carter. È stato bello, con lui ho passato i più bei momenti della mia vita, abbiamo condiviso molte cose, dolore, tristezza, gioia, amore.
Iniziamo a chiacchierare del più e del meno, per alcuni minuti, ma poi mi perdo nei miei pensieri, così all'improvviso, senza alcun motivo; inizio a pensare che forze continuare è inutile, io rimarrò qui per un bel po', e lui ha bisogno di vivere la sua vita con serenità, senza vincoli o catene.
"A che pensi?" Chiede Alex interrompendo i miei pensieri.
"Al tuo futuro."
"Il mio?"
Devo farlo, a malincuore, ma è per il suo bene.
"Buona fortuna Alexander Carter, ti ho amato con tutta me stessa."
Detto questo mi alzo, vado verso Alex, lo bacio delicatamente sulle labbra, lui rimane impietrito dalle mie parole, non sa come reagire, non sa cosa fare.
Una lacrima riga il mio viso, faccio per andarmene ma Alex mi ferma "Che cosa stai facendo?" Chiede perplesso e sul punto di piangere "Ti sto aiutando." Detto questo, il mio cuore si spezza, e, piangendo, esco da quella stanza, dove ho lasciato il mio passato.

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