Capitolo 23

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Dicono che è mattina presto, io non ne ho la più pallida idea, ma cerco di fidarmi per quanto possibile.
Oggi ci sarà il mio processo, verrò giudicata da una giuria, ci saranno Mark, Alex e persino Robert, il mio datore di lavoro, quando mi hanno avvisato di questo sono rimasta sconvolta, ma in fondo sono contenta di avere un burbero vicino, dimostra di avere un cuore.
Sono passati pochi giorni da quando sono uscita dalla stanza bianca, il mio corpo però è ancora pieno di lividi e ferite, il mio viso è leggermente gonfio e, molto probabilmente, ho il setto nasale rotto; non ricordo quello che mi hanno fatto, ma di sicuro non è stato bello. Miller dice che sono svenuta dopo poco, e per questo non ho memoria delle domande, che io definisco torture, a cui mi hanno sottoposta.
Appena sveglia trovo nella mia cella una busta di carta marrone, dolorante mi avvicino e la apro lentamente, ci sono dei vestiti puliti e nuovi con un profumo, un deodorante, qualche trucco, e anche una spazzola.
Frugo tra i vari oggetti e sul fondo trovo una lettera, è sigillata ma sopra c'è una scritta, fatta a mano ovviamente.
Bella calligrafia, pulita, ordinata elegante.
"Per Lisa, con amore Alex." Piango di nuovo per l'emozione, come può lui stare ancora vicino a me? Un'assassina a sangue freddo e senza cuore, o almeno così mi descrivono i media e tutti i giornali.
Apro la busta, tiro fuori una lettera.
Cerco di leggerla ma non ho la forza ed il coraggio di andare avanti, mi manca come l'aria, io non voglio le sue parole sulla carta, voglio sentire la sua voce, lo voglio vicino a me, io ho bisogno di lui, Alexander.
Prendo i vestiti, un bel tailleur grigio con una longet abbinata dello stesso colore, una camicia bianca e persino una collana di perle.
Stringo a me tutte quelle cose, più le guardo e più mi sento in imbarazzo, non me le merito, non da lui.
Passa una guardia, una ragazza questa volta, strano vedere una donna qui, un mondo fatto dagli uomini per gli uomini non è il posto adatto alla delicatezza di un fiore.
Ma l'uomo non sa che la donna ha in se la determinazione di un intero battaglione, e la forza di certo non le manca.
Noi siamo sottovalutate, ci mettono i piedi in testa, ma quando pensano di aver vinto, come delle leonesse che aspettano il momento giusto per attaccare, li distruggiamo e prendiamo il loro posto, sul podio dei successi.
"Stage, preparati, tra due ore c'è il processo." La sua voce è tranquilla, seria ma delicata, è come sentire una dolce melodia che ti accarezza, mi era mancato sentire una cosa così. Annuisco ed inizio a spogliarmi.

Dopo pochi minuti sono pronta, non ho applicato il trucco, la giuria deve vedere ciò che mi hanno fatto.
La guardia mi scorta fino ad un'auto all'esterno della struttura, sono rigorosamente in manette, e vengo controllata ad ogni passo, tutti gli occhi sono puntati su di me.
Prima di salire sulla volante della polizia, noto al di fuori del carcere un folto gruppo di persone, metto a fuoco e deduco che quasi sicuramente sono dei giornalisti, dopotutto la ragazza assassina vittima del famosissimo Nightmare è un bellissimo e succulentissimo bocconcino.
Le guardie mi coprono mentre salgo sulla vettura, mi sento osservata, e per la prima volta in imbarazzo.
Il viaggio è stato snervante, ero seduta in mezzo a due poliziotti, entrambi armati e pronti ad attaccare nel caso io avessi cercato di scappare. Sempre scortata mi portano all'interno del tribunale, mi mettono in una cella proprio di fronte alla giuria, sono spaventata e agitata allo stesso tempo. I giurati mi lanciano delle occhiatacce, mi scrutano, mi studiano non hanno ancora iniziato il dibattito che già stanno decidendo della loro testa se io sono colpevole o meno.
Dopo pochi minuti dal mio arrivo iniziano ad entrare delle persone, quelli che assisteranno al processo, con lo sguardo cerco le uniche due persone che mi interessano, ma più guardo e più non li vedo. Improvvisamente cala un silenzio in tutta l'ampia stanza, è entrato il giudice Mckenzie, uomo anziano, con anni ed anni di esperienza alle spalle.
Nessuno osa fiatare, il mio avvocato difensore maneggia delle carte, rilegge tutti i punti e ripassa il suo discorso e la manovra difensiva che ha studiato per il mio caso; dall'altra parte l'accusa discute con un genitore o un parte di una delle mie vittime, venuto in aula per rappresentare il caro scomparso.
Non riesco a guardare le persone negli occhi, rimango per tutto il tempo a testa bassa, evitando gli sguardi dei giornalisti presenti e della giuria.
I miei pensieri vengono risvegliati dal mio avvocato, che mi chiama a testimoniare, ingoio a vuoto, mi sento debole all'improvviso, nessuno mi aveva avvisato che avrei dovuto parlare davanti a tutti, mi alzo lentamente e, sempre accompagnata da una guardia, mi avvicino e mi siedo dietro il banco dei testimoni.
Rifletto, cosa posso dire? La verità, la pura, semplice e nuda verità.
"Signorina Stage, lei dice di essere colpevole, ma ha più volte affermato che è stata spinta a fare queste mostruosità, potrebbe chiarire questo passaggio per favore?" Chiede l'avvocato difensore con molta calma consultando un foglio spiegazzato che ha tra le mani.
"Sì, non nego di essermi macchiata di questi omicidi, e non so cosa fare per cercare una briciola di perdono, mi sento un verme, non so davvero cosa dire..." trattengo le lacrime, sto sbagliando, la giuria inizia a guardarmi male, pensano che stia recitando, ma non è così; mi riprendo e cerco di continuare, non voglio far credere che io sia innocente, voglio solo far capire che il vero problema è Nightmare.
"Scusate, io voglio solo dire che sono stata rapita e drogata dal famoso e pericoloso Nightmare, mi ha manipolata, io...io non volevo fare quello che ho fatto, non c'era motivo..." improvvisamente si alza un brusio, la giuria mi guarda sembra concentrata su di me, mi osserva sta decidendo se io stia dicendo o meno la verità, sento il loro sguardo pesare su di me come un macigno.
"...merito di essere punita, ma anche lui deve essere punito, ha ucciso persone direttamente e non, ha usato me e tanti altri per poi ucciderli." Termino il mio discorso abbassando la testa, mi sento strana, ma aver detto, anzi buttato fuori tutto quello che avevo dentro mi fa sentire meglio da una parte.
Non lo nego, merito di essere punita perché sono io quella che ha ucciso materialmente quelle persone non lui.
Adesso mi rimane solo da spettare il loro giudizio, sperando non sia troppo duro, devo essere punita ma non voglio morire, ho paura.

Passano parecchie ore, mi hanno lasciata dentro la gabbia, non mi sono mossa da qui mi sento snervata, esausta.
Improvvisamente tutti scattano in piedi, il giudice chiede alla giuria se hanno raggiunto un verdetto.
Una donna sui quarant'anni si alza, si schiarisce la gola.
Alzo la testa e mi metto in ascolto, la donna mi guarda, accenna un sorriso pietoso e poi si rivolge a lo giudice "Sì." Dice con calma.
Inizio a tremare, il mio cuore batte all'impazzata, che cosa mi aspetterà?
"La giuria, ha deciso unanimemente che l'imputata è colpevole di pluriomicidio, non intenzionale di primo grado."
Sono sorpresa ma contenta della risposta, il giudice soddisfatto annuncia un altro processo per decidere cosa fare di me.
Mi sento in bilico tra due realtà, quella che ho sempre vissuto e questa, una nuova esperienza che si porterà via tutta la mia vita.
Prima di uscire getto un'occhiata alle mie spalle, riesco a vedere Alex e Mark, mi cercano con lo sguardo, vorrebbero salutarmi, faccio per andare nella loro direzione ma le guardie ai miei fianchi mi stringono più forte le braccia.
"Stage, non è il caso di cercare di scappare in un tribunale ti pare?" Chiede uno di loro in modo molto sarcastico.
"Io non...mio fratello, Alex..." farfuglio senza distogliere lo sguardo dai miei obbiettivi.
"Le visite esistono per questo Stage." Detto questo mi trascinano verso l'auto della polizia.
Vengo accecata da flash e persone che cercano di farmi domande, poi vengo gettata, nel vero senso della parola, nella vettura.

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