Capitolo 22

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"no ti prego, ho una famiglia.." dei flash, delle immagini mi travolgono, gente sporca di sangue, persone morte, voci che implorano disperatamente pietà.
Poi la mia risata, il mio riflesso, non mi riconosco, no, non posso essere io questa.
Sguardo da diavolo, risata malefica, ghigno soddisfatto, e poi sangue, sangue ovunque.
Buio e luce si alternano in un gioco accecante, le grida, il dolore delle vittime, riesco a sentirlo, a percepirlo come se accadesse a me.
Di nuovo buio e poi una voce, un suono familiare, oddio...

"Liz!!"
"Alice!!" Grido scattando in piedi, ma sono bloccata, che sta succedendo? È una domanda che mi faccio troppo spesso ultimamente.
Apro lentamente gli occhi, sono legata con delle cinghie ad un lettino bianco, come la stanza in cui mi trovo.
Ci sono solo io, ma davanti a me c'è un vetro, anzi uno specchio, dietro ci sono sicuramente dei poliziotti e qualche dottore, usano sempre gli stessi trucchi oltre alle solite telecamere osi microfoni nascosti.
È tutto così bianco che quasi mi acceca, serro gli occhi e grido, a più non posso, fin quando non ho più la voce.
Dopo poco sento dei rumori strani provenire da una stanza vicino alla mia, un litigio, una violenta colluttazione e poi lo sbattere poco delicato di una porta.
"Lisa! Stai bene?" È Alex, stesso sguardo trasandato dell'ultima volta in cui l'ho visto, con una differenza, il tono, la sfumatura della sua voce, c'è della preoccupazione.
"Che ci fai qui?!" Chiedo smarrita, il suono che esce dalla mia bocca è sottile, stridulo.
"Sono qui.." una pausa; è agitato, Alexander Carter è spaventato, è in bilico tra due decisioni, una sbagliata che non rispetta la sua etica ed i suoi principi ed una giusta, che potrebbe portare giovamento solo a me "..per portarti via da questo schifo!" Termina facendo la scelta sbagliata, ho ucciso delle persone, e rovinato le loro famiglie per sempre, merito di stare qui.
Adesso ricordo tutto, come li ho uccisi, quando l'ho fatto, ma non so ancora il perché, non mi spiego il motivo per cui Nightmare non mi abbia uccisa come tutte le sue altre pedine, che cosa ho di speciale io? O forse sono riuscita a liberarmi? No, uno così scaltro e calcolatore non si sarebbe fatto sfuggire un incapace come me, nessuno lo farebbe.
"No, io devo rimanere qui.." Dico al ragazzo bloccandolo; questo alza la testa di scatto, smette per un attimo di giostrare con le cinghie, e mi bacia.
Inaspettato, atteso, desiderato.
Ricambio il suo bacio, mi era mancato questo, ma non può durare troppo, devo lasciarlo andare, devo evitare che faccia la cosa sbagliata, almeno a pagare sarò solo io.
"Lisa, torna con me."
"No, vattene Alex."
"Io mi sono sbagliato, non è realmente colpa tua..." insiste cercando di convincermi, ma non funziona, rimango inflessibile nella mia decisione.
"Ti amo Alex, ed è per questo che ti lascerò andare."
Non finisco di chiudere la bocca che subito irrompono quattro guardie del carcere capitanante dal detective Miller, gli uomini portano via Alex, che si dimena, cerca di liberarsi e poi tende una mano verso di me prima di scomparire al di fuori di questa stanza a me ignota, le lacrime mi pervadono ed iniziano a rigare le mie guance.
"Bene, ora che siamo finalmente soli.." elude ad Alex che ha appena cercato di tirarmi fuori da qui, un ghigno gli si stappa in faccia, ho paura, tanta, forse troppa paura.
Comunque non riesco a capire il gesto di Alex, è un ragazzo razionale, che si basa sui fatti, sulla realtà e le prove che lo circondano, perché ha cercato di liberarmi? Che cosa...di nuovo questa dannata domanda.
"..sono due settimane che studiamo i tuoi impulsi cerebrali, abbiamo capito che solo dopo forti traumi, come mal di testa o emicranie, riesci a far riaffiorare dei ricordi.." si avvicina di più lasciando che la porta gli si chiuda dietro, "...non ti farò male, almeno credo." Dice con leggerezza sussurrando vicino al mio orecchio.
Vengo pervasa dagli stessi brividi di paura e terrore che ormai fanno parte di me, cerco di ribattere ma non faccio in tempo ad aprire la bocca, che subito il detective Miller prepara una siringa, la studia, la maneggia, sorride e poi me la somministra con la stessa tranquillità con cui si da una caramella ad un bimbo.
Inizialmente non sento nulla, vengo solo accettata dal colore predominante della stanza in cui mi trovo, ma poi, un forte dolore alla testa mi pervade, è come l'ultimo, ma amplificato del triplo almeno. Grido, ma non riesco a sentirmi, eppure sono sicura che la mia voce esca dalla mia bocca, Miller mi guarda, è compiaciuto, si aspetta qualcosa, ma cosa? Io ho già ricordato tutto quello che dovevo ricordare!
Ma lui non lo sa...
Soffro, fino a quando non perdo i sensi, stremata dal forte dolore e dalla troppa luce presente nella stanza delle torture.
Le domande stressanti continuano a risuonare nella mia testa, sempre le stesse ovviamente.

Mi sveglio, senza la condizione del tempo, non so che giorno sia, se è notte o giorno, se sono rimasta svenuta per poco o magari per ore, non so niente, a malapena ricordo il mio nome.
Tutto, ho perso tutto, la mia libertà, la mia vita, la mia felicità, la mia famiglia, è tutto per cosa? Non lo so, e a quanto pare, non mi è dato saperlo; ho bruciato la mia vita, anzi, lui lo ha fatto, nel momento in cui quel veleno, quella droga, mi è entrata in corpo, iniziando a scorrere con il mio sangue.
Nightmare deve morire, sarà questa la mia ultima liberazione, la mia unica soddisfazione.
Ancora non apro gli occhi, ho paura di dove possa essere, non voglio risvegliarmi di nuovo in quella stanza bianca.
Bianco, il colore dell'innocenza, della gentilezza, per me non più.
Dopo poco tempo, mi faccio coraggio, apro gli occhi prima chiusi in una stretta fessura.
Con mi grande sollievo sono di nuovo nella mia cella, non ricordo nulla delle cose che mi hanno fatto, né delle cose che io possa aver detto, mi sento tutta dolorante, non riesco a muovermi.
Riprendo piano possesso della mia vista ed inizio a guardarmi intorno, tutto come prima, pareti grigie, sanitari in acciaio lucido, sbarre di ferro nere come il carbone.
Le luci sono accese, presumo sia giorno, ma non so in che mese siamo, e questo mi mette a disagio; inizio a piangere, e lentamente mi sollevo, trattengo un urlo, la schiena mi fa un male cane, e non riesco a sollevare le braccia.
Solo dopo mi accorgo che porto delle manette che legano insieme mani e piedi; cerco di alzarmi, ma ovviamente cado rovinosamente a terra, questa volta però le urla di dolore escono dalla mia bocca più forti che mai.
"Stage!! Che diavolo succede?!" La voce arrabbiata e scocciata di una guardia si avvicina, accompagnata dal tintinnio delle chiavi appese alla cintura.
"La prego mi aiuti.." Dico disperatamente in cerca di un'anima Santa che mi possa aiutare, ma quello che ottengo sono solo delle risate, malefiche e divertite.
"Io? Aiutare te? Sporca puttana, come ti viene in mente? Hai ucciso tutta quella gente, dovresti ringraziare me e tutte le altre guardie per non averti ammazzata di botte prima." Le sue parole acide, ma con un fondo di verità, mi colpiscono dritte al cuore, come una freccia di cupido, solo che al posto di cupido c'è Ade, il dio dell'oltretomba.
La guardia si allontana continuando ad imprecare e ad offendere me ed il sistema giudiziario americano, io sono sempre nella stessa posizione, a piangere come una disperata.

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