Capitolo 25

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"Hai capito?"
"Ancora no, perché non può occuparsene la polizia? Posso fornire un volto, poi al resto ci potete pensare voi..." è un problema che mi sono posta dall'inizio di questa storia, da quando il detective mi ha chiesto di uccidere Nightmare.
"Tu sei un'assassina, hai già ucciso, e per un poliziotto non è il massimo doversi portare sulle spalle il peso di un assassinio." Risponde il pelato abbassando lo sguardo, inizia a scrocchiarsi le dita, lo faccio anche io, ma quando sono gli altri a farlo mi da fastidio.
Mi agito all'improvviso, devo dargli una risposta, la mia gamba destra inizia a tremare, mi succede sempre quando sono in ansia.
"Se ho capito bene, mi fate uscire armata, mi portate in una safe house, ed in una settimana io devo uccidere quel mostro...e poi?" Chiedo tirando le somme del lungo, anzi lunghissimo piano illustratomi da Miller "Esattamente, e poi tornerai qui, sempre se non vuoi ripensare alla mia offerta.. comunque, ricorda, sarai da sola..." dice rialzando lo sguardo "...noi ti compreremo in caso qualcuno ti scopra, devi essere furba, scaltra, devi fare attenzione, i giornalisti sono ovunque in questo periodo, si appostano persino davanti ai bagni pubblici pur di sapere qualcosa."
Rido alla sua battuta, e poi riprendo tutto il mio coraggio per rispondere al meglio.
"Farò quello che vuoi, basta che dopo tu mi riporti qui."
"D'accordo Stage, questa sera sarai fuori."
Non finisce la frase che una guardia irrompe con poca eleganza nella stanza, si avvicina a me, mi rimette le manette che Miller aveva ordinato di togliermi appena entrata, e poi mi riporta nella mia gabbia tre per tre.
Stanotte, sarò libera e potrò cercarlo, ricostruire tutti i suoi movimenti, lo troverò, osserverò, pedinerò, e al momento giusto, gli pianterò una pallottola in testa.
In tutta questa situazione però non ho calcolato una cosa, Alexander.
Lui è un problema, potrebbe ostacolarmi, eludermi a non uccidere quel verme, e poi potrebbe cercare di convivermi a rimanere con lui, ed il problema non è tanto questo, ma è il fatto che io possa voler rimanere al suo fianco.
Io lo amo, ma non possiamo stare insieme, sono una donna pericolosa, ho paura di fargli del male, e poi come lo giudicherebbero gli altri? Alexander Carter il brillante detective della omicidi, che si sposa con una serial killer senza cuore, che ha ucciso sei persone a sangue freddo. Non posso neanche pensarci.
Oramai la decisione è presa, niente sentimenti, non posso essere coinvolta emotivamente, o potrei non riuscire a fare quello che tanto desidero, vedere quel bastardo in una pozza di sangue.
Vado verso lo specchio, vedo sempre lo stesso riflesso, sono io, eppure non mi riconosco.
I miei capelli biondi si sono allungati, i miei occhi sono circondati da aloni rossi, tra pianti e torture è normale.
Ho le labbra gonfie, quello inferiore è tagliato, esce ancora del sangue dalla sottile ferita, lo succhio come faccio sempre. Sul mio naso c'è ancora il cerotto, non posso toglierlo se non tra un mese, orribile e doloroso.
Sono cambiata molto negli ultimi tempi, ho provato tante emozioni, negative e positive; anche la mia vita ha avuto degli sviluppi, inizialmente andava tutto bene, Alex, Alice, Mark, c'erano tutti per me, poi è morta la mia unica amica, mi sono buttata tra le braccia di Alexander, ero felice e triste allo stesso tempo, e alla fine tutta questa storia, gli omicidi, il carcere, adesso dovrò anche far fuori colui che mi ha rovinata, non che mi dispiaccia anzi..
"Stage, eccoti dei vestiti, preparati si parte tra un'ora." Sento la voce familiare di una guardia, è Henry, lui è quello che si comporta meglio nei miei confronti, è gentile, mi tratta come una vera persona, non come se fossi un oggetto oppure un animale.
Mi avvicino alle sbarre, ed afferro la busta che mi passa la guardia, sorrido educatamente e lo ringrazio, lui si allontana lungo il corridoio e scompare dopo aver girato l'angolo.
Sono sempre gentile con tutti qui, ma quando serve so difendermi, ed è solo grazie a Miller che non mi abbiano già ammazzata, anche se lui ci ha provato.
Apro la busta, sopra tutto c'è un bigliettino è semplice con su scritto:
"Spero di aver azzeccato le taglie Stage,
M."
Giro gli occhi, sorrido e poi inizio a frugare per bene nella busta.
Ci sono un sacco di vestiti, un paio di pantaloni a cargo neri, una cinta dello stesso colore, poi una maglia a maniche corte nera con una scritta strana bianca, più la guardo e più non capisco che cosa c'è scritto; c'è anche una giacca, di jeans nera, sembra una taglia da uomo, è grande ma mi piacciono le cose comode, mancano solo le scarpe.
Mi preparo, il che non mi porta via molto tempo, ma poi un'idea assurda, meno assurda di uscire da questa prigione per uccidere qualcuno. E se mi tagliassi i capelli?
Starei più comoda, sono diventati ingestibili oramai; so che non sono il mio problema principale, ma ho voglia di cambiare, di dare un altro taglio definitivo alla mia vita, tanto poi ricresceranno.
Si presenta un secondo problema, non ho delle forbici; inizio a chiamare a voce alta Henry, è ancora di turno se non sbaglio, infatti dopo pochi minuti riesco a riconoscere il passo pesante ma veloce della guardia.
"Stage, che succede?" Dice affaticato mentre mi guarda a bocca aperta.
"Forbici, ho bisogno di un paio di forbici."
"No, non puoi, non qui dentro."
Ha ragione, non possono darmi una potenziale arma, potrei attaccare una guardia e riuscire a scappare.
"Appena sarai fuori di qui farai quello che vuoi, ma adesso no."
Detto questo il ragazzo deluso e scocciato si perde di nuovo nel lungo corridoio.
Scappare, questa parola mi fa sorgere tanti dubbi, ma uno prende il sopravvento sugli altri, perché Miller mi lascia così? Senza neanche un minimo di sicurezza? Mi nasconde qualcosa.
Passa circa una mezz'ora, trenta minuti che a me sono sembrati un secolo quasi.
Il detective Miller è fermo davanti alla mia cella, rigorosamente affiancato da due corpulenti guardie in giacca e cravatta.
"Ho indovinato?"
Non rispondo, è troppo imbarazzante.
"Andiamo Stage, hai un lavoro da fare."
Esco dalla cella, stavolta non mi mettono delle manette, né tantomeno mi afferrano per le braccia trascinandomi chissà dove, è una strana ma bella sensazione.
Continuiamo a camminare, Miller è davanti, poi ci sono io seguita dalle due guardie.
Tutte le porte al nostro passaggio si aprono, è come se il detective riuscisse ad aprirle con la sua sola presenza, è un uomo potente qui dentro, e questa ne è la prova.
Siamo usciti e subito Miller è salito su di un suv, mi ha fatto cenno di entrare, vuole darmi qualcosa ha detto.
"Ecco a te delle scarpe decenti.." dice porgendomi un paio di Dr Martines nere opache, le prendo e subito le indosso, poi mi rivolgo al detective "Sappiamo che cos'è che conta davvero Miller..".
"Ah si, l'arma!" Lo dice in modo tranquillo e spensierato, quasi stesse parlando delle caramelle, o di un pacchetto di fazzoletti.
Lo vedo che fruga in una borsa ai suoi piedi, dice delle cose ad alta voce, impreca, offende i suoi collaboratori nei modi più spietati.
"Dove diavolo ha messo la pistola Mckenzie?! Se la sarà infilata su per..." "Signore, cercava questa?" L'autista si volta verso di noi nascondendo con la sua voce l'insulto di Miller, non escudo possa essere il citato Mckenzie, con in mano una pistola completamente nera.
Gli occhi del detective si illuminano mentre la stringe tra le mani, la sfiora, la accarezza, come se fosse una donna, un fiore delicato, che maneggia col suo tocco delicato e letale.

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