i ricordi possono fare la felicità, se si fanno trovare...

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"Basta, smetti di controllarmi" una voce femminile ed alta si eleva dal piccolo appartamento all'ottavo piano

"Cosa dovrei fare secondo te?" Questa è la volta di una voce più roca

"Lasciarmi vivere in santa pace, io non.. io non voglio più stare qui, potrei impazzire" risponde la donna

La figlia nel frattempo posa un pastello verde su un foglio di carta formando un cerchio.

"Basta basta basta!" Grida in lacrime la donna "lasciami stare, io ti odio, come odio quell'essere"

"Rose, non fare così per piacere" una mano afferra il polso della donna "Charlotte ha bisogno di due genitori, non di un padre e di una donna che si droga"

Lei si libera dalla presa "faccio ciò che mi pare, va bene? Te l'ho gia detto Richard, io me ne vado"

Detto questo, prende tra le braccia una valigia, uscendo di casa sbattendo la porta.

"Dove va la mamma?" La figlia guarda il padre

"Tranquilla piccola, arriva" si asciuga un lacrima "ora va' a disegnare, che io devo chiamare una persona"

La piccola annuisce allontanandosi saltellando.

"Rebecca? Ciao sono Richard. Devo parlarti di Rose"

*Pov Neville*

Il mattino mi straziava da piccolo.
I periodi in cui consideravo i giorni come un modo semplice ed efficace per infleggermi dolore, l'unica alternativa ad altre cose, a cui mi rabbrividisco al pensiero di averle considerate possibilità.
Ovvio che dopo aver osservato certe cose con l'ingenuità, ancora nell'animo debole di un bambino, potessero essere ipotesi comprensibili.
Come "se me ne andassi tutto sarebbe perfetto" o "potrei raggiungere Alan o mamma".
Forse l'ultima era il vero motivo di tutti quei pensieri.
Le immagini di mia madre sempre bella e di mio padre con quei suoi baffi, consumati dalla vecchiaia abbracciati sulla veranda di una qualche casa, di mio fratello che in una mano tiene una valigia e nell'altra la propria sposa, mentre mi porta i figli dicendomi quanto mi voglia bene e mia sorella ormai grande con indosso una mia felpa che si lamenta di quanto sia protettivo nei suoi confronti, mi rendono triste.
Ma a rendermi triste non è il pensiero di non poterli vivere, ma il dover immaginarli, perché quegli occhi da bambino, ormai hanno fatto sbiadire certi ricordi, lasciando gli occhi del ragazzo di oggi, costretti a servirsi di foto spiegazzate dal tempo e di video lasciati scorrere in qualche cassetta sommersa da libri, quaderni, vestiti o cos'altro.

-Niente scuola oggi, va bene?- la voce protettiva di Erica mi fa sorridere

Faccio un finto gesto di esultazione, quasi a prenderla in giro.

-non essere troppo felice mi raccomando- ride e io le mostro un sorriso a mia volta

Finisco la mia solita tazza di latte e mi alzo.

-è gia sveglia- mi dice Erica mentre sto salendo le scale -abbiamo parlato ed è tornata su-

Torno in cucina -è cosa ti ha detto?-

-stava uscendo di nascosto, ma l'ho fermata e lei ha iniziato a dire che non era giusto approfittare della nostra gentilezza e altre cose senza senso, così io l'ho fatta sedere ed abbiamo cominciato a chiacchierare- risponde

-si ma cosa ti ha detto?- insisto

Lei sbuffa -cosa vuoi che mi abbia detto? Mi ha parlato di Kathrine, di sua madre e di te- continua notando la mia impazienza -ha detto che Kathrine è la persona più gentile che conosca, come tutta la famiglia. Di sua madre ha detto di non volerle bene, e basta. E di te ha detto che si è stupita della tua gentilezza, e la posso biasimare-

Perplesso ribatto -solo perché ho dei piercing e dei tatuaggi?

Lei ride -ma no stupido, perché non sei bravo a mostrare le emozioni-

"Ah beh, se lo dice Charlotte"

"Frase uscita dalle corde vocali di un soggetto che sprizza emozioni da tutti i pori"

Annuisco -vado a vedere come sta-

Apri la porta di camera mia e mi stupisco nel vederla ridere.

*Pov Charlotte*

Mi alzo dal puf per contemplare la vista visibile questa stanza.
La collina su cui poggia la casa, le dona uno splendido panorama: mare, colline e casette.

Il cellulare squilla.
Credo sia Veronica che mi voglia chiedere di andare insieme a scuola ma, per quanto mi possa stare simpatica, in questo momento, non me la sento di parlarle.
Infatti smette di suonare.

Mi appoggio alla finestra, ma subito ricomincia a suonare.
Ciò continua per altre due o tre volte, poi decido di rispondere, senza guardare il display.

-Veronica, potresti smettere di chiamare per favore, non è un buon momento, quindi se potessi smetterla mi faresti un favore, grazie- dico tutto d'un fiato, ma c'è troppo silenzio per Veronica

Guardo il numero impresso sullo schermo, e non è salvato, quindi  continuo -scusa, chi sei?-

-Charlotte sono Melany, ti ricordi di me?- dice una voce dall'altro capo del telefono

Un vortice di gioia mi risucchia.
Melany, la mia prima sorella.
Eravamo affidate entrambe ad una coppia gay, Marcus e Kevin, e ci volevamo così bene.
Speravamo entrambe che un giorno ci avrebbero adottate a tutte e due, ma dopo soli due anni ci siamo dovute separare, e da lì non ho più saputo nulla di nessuno di loro.
Anche sui social era difficile trovarli: Melany era sempre stata Mel per me, quindi non ho mai saputo, stessa cosa per Marcus che chiamavamo Marc e Kevin che era semplicemente K.

Anche in quel caso mi ero sentita ancora una volta distrutta dalla mia stessa vita.

Troppo bello per essere vero -se sei Melany, saprai dirmi come si chiamavano per noi Marcus e Kevin-

La voce non esita -Charlotte, veramente? Marc e K- continua -secondo te me lo dimentico? Okay che sono smemorata ma non fino a questo punto-

Il mio cuore ha un balzo -oddio Melany-

-Hey scemettina- risponde -come va la vita?-

Mi butto sul puf -diciamo che potrebbe andare meglio, sono affidata ad una famiglia bellissima, e la sorella di mia "mamma" ha un figlio adottivo della nostra età- non le racconto tutto, ci vorrebbe troppo

-carino?- chiede

Arrossisco -no, non è il mio tipo- cerco di cambiare discorso -è tu, invece come stai?-

Immagino il suo sorriso -sono stata adottata subito dopo il nostro distacco- che invidia -e ho conosciuto mia nonna qualche mese fa. Poi ho rintracciato Kevin e Marcus-

Mi stupisco -wow, e cosa ti hanno detto-

-ti ricordi quella bambina di colore che di cui parlavano sempre?- domanda -alla fine l'hanno adottata, pero hanno detto che noi saremo sempre le loro preferite-

Rido -ah che bello-

-e poi mi hanno chiesto se sapevo qualcosa di te, dato che si sposeranno ad agosto e ci vorrebbero invitare a tutte e due-

-oddio sarebbe stupendo- comincio a saltellare -dettami il numero di uno dei due-

Mentre ascolto attentamente cifre lei fa delle battute alle quali non posso che ridere.

Appena chiudo la telefonata la porta si spalanca mostrandomi Neville.

-ti ho interrotta?- si scusa

La felicità mi spinge ad alzarmi ed abbracciarlo.

Lui ricambia.



Can You Look Into My Eyes?  [IN CORSO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora