Capitolo 14 - Furia

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"L' ira è una pagliuzza, l' odio invece è una trave." (Sant'Agostino)

Arrivarono a casa e lei aveva ripreso in mano la sua sicurezza. Kemal se mi ama vorrà solo che io sia felice, si disse, lo capirà.
Non si faceva illusioni che sarebeb stato facile, Kemal avrebbe accettato a fatica un divorzio, ma doveva farlo non poteva pensare di perdere di nuovo Can di vederlo andare lontano, di non sapere più niente di lui. La prospettiva non era nemmeno ipotizzabile.
Si fece coraggio. Doveva affrontare il marito.

Entrarono nella grande casa e lei tolse le scarpe, lui andò direttamente in sala al mobile dei liquori e si versò un'abbondante dose di whiskey.
Non beveva mai.
"Kemal possiamo parlare?"
Lui rimase in silenzio dandole le spalle, le gambe leggermente allargate, si era tolto la giacca e stava guardando fuori in giardino nell'oscurità.
"E' stata una bella festa vero Sanem?"
" non mi interessa la festa, ho una cosa importante da dirti, io..."
lui sembrava non sentirla "c'era un sacco di bella gente..."
"Kemal mi hai sentita? vorrei parlarti. Adesso"
Silenzio.
Suo marito bevve un altro lungo sorso
"...Kemal?" lei fece un piccolo passo verso di lui
Lui girò appena la testa guardandola di sfuggita, da sopra la spalla.
"Immagino tu voglia dirmi che ami Can e che non puoi vivere senza di lui"
Sanem rimase un attimo interdetta.
"Si è così, deve essere molto evidente"
"Si, Sanem è evidente, lo è sempre stato, e a quanto pare non posso fare nulla per contrastare questo amore. Ci ho provato ma non funziona".
"Sì è così, ti ringrazio per aver capito. Mi dispiace ma è così: amo Can"
La reazione del marito la sorprese come una doccia fredda: si girò di scatto verso di lei scagliando il bicchiere col liquore verso una parete, il bicchiere andò in mille pezzi che piovvero su di loro come gocce di pioggia gelata.
Lui l'afferrò per le braccia nude e iniziò a scuoterla avanti e indietro.
"Non lo farai, non lo farai, non lo farai mai, non mi lascerai" le urlava.
Sanem era paralizzata dal cambio repentino di umore del marito.
Lui continuava a scuoterla, lei aveva le gambe deboli ed opponeva pochissima resistenza. Era come un piuma in balia di un uragano.
La scosse ancora e poi la scagliò con forza verso una parete, lei colpì con la spalla uno specchio che cadde riempiendo il pavimento di schegge acuminate.
"Kemal, calmati, Kemal ti prego" balbettava impaurita.
"..non esiste nessuno, Sanem, capisci, nessuno che ti ami quanto ti amo io, non esiste nessuno dei tuoi amici che ti abbia protetta come ti ho protetta io. Tu hai sempre voluto Can Can Can , lo ripetevi ossessivamente anche in ospedale. Volevi solo Can e lui non c'era. Lui non c'era. Io c'ero. Io c'ero a salvarti da Fabbri"
"Kemal Kemal ti prego, ragioniamo, io so di doverti la vita, ma ... amo Can"
Lo schiaffo la colpì in pieno viso.
Il marito le fu sopra "Tu Fatima non andrai con quell'uomo"
Fatima?
Fatima chi?
Lo guardò e gli vide uno sguardo assente, annebbiato, lontano mille anni...
"Non sono Fatima, non sono tua sorella Kemal, sono Sanem..."
Lui parve non sentirla " Doveva andare diversamente con te, se solo lui non fosse tornato, Guliz mi ha raccontato tutto di voi, della vostra storia, ma lui se n'è andato, anche lui come tutti, tutti uguali, prendono una ragazza, la illudono e poi la lasciano"
"Kemal mi stai facendo paura di cosa stai parlando cosa c'entra Guliz..."
"Guliz...chi credi mi abbia detto dei tuoi regalini a Can? Eh? del tuo profumo fatto solo per lui Eh? Guliz...e di Polen, un'altra stupida donna innamorata pronta a distruggerti per avere quel bel tipo, che poi ... guarda ... ha lasciato pure lei. Io solo posso aver cura di te. Io solo." le disse scuotendola.
"Kemal ti prego smettila"
"Dimmi dolce Sanem cosa vuoi? ti darò qualunque cosa. Vuoi viaggiare? Vuoi bei vestiti, questo vestito che indossi non ti piace? Vuoi gioielli? "
"No, no" ripeteva lei spaventatissima.
Lui le agguantò il vestito per la scollatura e lo squarciò lasciandola nuda fino alla vita
"Vuoi dei figli Sanem? Credi che io non possa darti dei figli? e cerco di baciarla con forza mentre lei si divincolava e gli mordeva le labbra.
"No, non voglio questo da te, Kemal ti prego fermati"
Lui parve un attimo bloccarsi guardando la moglie mezza nuda, dolorante, ferita nel corpo e nell'anima. Lei riprese un attimo fiato poi lo guardò negli occhi, ferma, risoluta.
"Voglio solo Can" gli urlò.
Lui la prese per i capelli e la buttò dentro una stanza, trascinandola sul pavimento coperto di vetri.
"Beh Fatima , mi dispiace ma questa volta farai come dico io. Tu, Tu non lo avrai . Tu non avrai Can. Non lo avrai mai, finché vivo"
E la chiuse a chiave dentro.


Kemal restò per un attimo fermo a guardare la porta chiusa della stanza dove aveva appena rinchiuso sua moglie. O era Fatima? la testa iniziò a martellargli e sfogò la sua rabbia su tutto quello che trovava, sedie, tavoli quadri mentre, come in una giostra impazzita, davanti agli occhi si rincorrevano una dopo l'altra le immagini di Sanem e di sua sorella mentre gli diceva che amava Tareq, che sarebbe andata via con lui, che non poteva comandare come aveva fatto suo padre con la loro madre. E poi di nuovo il viso dolce di Sanem, fiduciosa, si sostituiva a quello di Fatima in un susseguirsi di presente e passato, di scuse, desideri, ripicche, dinieghi, concessioni, bugie, verità.
Poi si rivide mentre stringeva al collo la sorella fino a farle perdere i sensi, il suo pentimento - ti prego Fatima ti prego perdonami - la loro corsa in auto verso l'ospedale e l'incidente ... lui ... lui l'aveva uccisa aveva ucciso Sanem no era Fatima, lui aveva ucciso e vedendosi allo specchio della sala non si riconobbe. Era Kemal, il libraio mite? era un assassino? Era l'uomo gentile che aiutava tutti o un mostro senza cuore? scagliò contro lo specchio un vaso di marmo e il rumore fu come un colpo di pistola. Cadde piangendo in terra, sui vetri. "Sono stato io, sono stato io....Fatima...Fatima".

Nella stanza vicina, una camera degli ospiti, Sanem era terrorizzata, mise un mobile contro la porta perché non venisse aperta, si chiuse in bagno mentre dall'interno della casa provenivano i rumori di mobili e vetri infranti.
La furia del marito pareva inarrestabile.
Aveva paura, il sangue le scorreva dalle piante dei piedi e da piccoli graffi qua e là, bagnò un asciugamano e si tamponò come meglio potè. Per fortuna niente di grave, le doleva il corpo, le labbra erano gonfie, un livido si allargava sulle sue braccia... Doveva andarsene, doveva scappare. Prese un paio di ciabattine nel bagno, si mise addosso un accappatoio ed aprì la finestra. Non era molto alto, giusto un paio di metri. Scavalcò e si lanciò in una corsa perdifiato nel giardino. Doveva andare da Can.

KEMALDove le storie prendono vita. Scoprilo ora