Capitolo 3 - Sanem

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"Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai." (G.G.Marquez)

Passarono pochi giorni, Can era sul punto di perdere ogni speranza quando ricevette la telefonata di Mevkibe. Sanem accettava di incontrarlo, l'indomani lontano dal quartiere, lontano da occhi pettegoli. Gli dette un indirizzo.
Can era sul luogo già mezz'ora prima dell'appuntamento, l'ansia non l'aveva fatto dormire, per tutta la notte aveva pensato a cosa dirle, a come spiegare, a come limitare le mille domande che solo parzialmente con l'incontro con Mevkibe e Emre avevano trovato risposta. Soprattutto a come non spaventarla, a come riconquistarne la fiducia.
La cosa più difficile sarebbe stata non pensare che ormai era la moglie di un altro. Aveva giurato che avrebbe rispettato il suo matrimonio e l'avrebbe fatto anche se sarebbe stata la cosa più difficile del mondo.
Entrò nel piccolo caffè del paesino alle porte di Istanbul, il luogo era immerso nel verde, c'erano giusto due persone che bevevano un tè parlando sommessamente.
Lei era già lì. La vide subito nell'angolo in fondo alla saletta. Stava guardando fuori dalla finestra, aveva un'aria triste e pensierosa. Non essere triste Sanem, non dovrai mai più essere triste, avrebbe voluto dirle, io sono qui, io sono tornato, poi ricordò che qualcun altro adesso avrebbe goduto della sua allegria, di quella sue piccole smorfie, dei suoi ingenui imbarazzi. Un altro: Kemal.
Era bellissima come la ricordava. Restò un attimo fermo sulla porta, libero di poterla guardare. La giacca rosa, un dolcevita bianco, i pantaloni scuri. Due anni e sembravano secoli, ma la sua bellezza lo colpiva sempre per la semplicità con cui gli arrivava al cuore. Sarebbe stato tutto molto faticoso.
Piano si avvicinò al tavolo, lei aveva davanti un tè e due piccoli tramezzini.
... è sempre affamata, pensò, ed io di lei.
Sanem dovette sentire il suo sguardo perché voltò piano la testa, chiuse un attimo gli occhi, quasi non credesse di averlo lì davanti, bellissimo nel suo completo nero, le collane che dondolavano sull'ampio petto, la barba forse un filo più lunga, i capelli lunghi, sciolti e schiariti dal sole. Lui le sorrise e la sua voce interiore le disse , sei perduta. Lei scacciò con la mano il pensiero e lui scoppiò a ridere.
"Ciao Sanem, la tua voce interiore ti fa ancora impazzire?"
"Sempre. È una impertinente" rispose lei sorridendo appena.
Il ghiaccio era rotto. Lui si sedette in silenzio, senza togliere gli occhi dagli occhi di lei.
Loro erano lì. Ed erano lì i loro ricordi, la loro vita insieme. Loro erano lì e si guardavano sorridendo, loro erano sul molo a mangiare panini col pesce, loro erano sulla scogliera a ballare la samba, loro erano sulla ruota del luna-park, loro erano in vespa sotto la pioggia. Loro erano nell'amaca sul mare a raccontarsi le storie mitologiche, loro erano Can e Sanem, in un tempo che non sarebbe più tornato, che avevano, irrimediabilmente forse, perduto.
Pensavano che sarebbero stati l'Albatros e la sua compagna, che volavano alti e instancabili, senza lasciarsi, senza perdersi, ed erano invece rimasti senza ali per sognare.
Calò d'un tratto il silenzio, come nebbia improvvisa sul mare dei ricordi, nascose il passato lasciando solo la sala, il tè e un palese imbarazzo:
"come stai?" le chiese "grazie per aver accettato di incontrarmi"
"Mio marito verrà a prendermi fra un'ora" gli rispose secca, non voleva ci fossero fraintendimenti.
" per me è strano sapere che sei sposata, quando è successo?"
" sono due mesi"
" quindi gli hai detto che mi avresti incontrato"
"certo, non mentirò mai più. Del resto non ce n'è bisogno, sei solo un vecchio amico che è tornato da un lungo viaggio misterioso"
" Davvero Sanem sono solo questo? un vecchio amico?"
" Preferisci che dica che sei un vecchio amore? Un amore abbandona la sua amata per due anni senza una parola? Vuoi che pensi questo?"
Can si era trattenuto dal discolparsi anche se sapeva di non avere colpe:" sono qui per spiegarti..."
"Spiega"
E Can spiegò con parole concise il suo prelevamento forzato, la sua scelta di sparire, la sua lontananza, la sua angoscia per non poter avvertire nessuno. Gli raccontò dei luoghi dove in pratica era come prigioniero, della sua fuga, del pericolo costante che temeva avrebbe corso chi amava. Non avrebbe mai permesso che le facessero del male e invece glielo avevano già fatto.
Sanem assimilava le parole con distacco: "Fabbri è ancora libero, perché? " gli chiese
" non posso dirlo"
" perché non sei rimasto nascosto? è passato il pericolo?"
" No, il pericolo non è passato del tutto, e probabilmente avrò qualcuno alle costole fra non molto. Io però non ce la facevo più a stare lontano da te. A vivere senza di te".
non ce la facevi a stare lontano da me Can? pensò Sanem, io ho dovuto per forza imparare a vivere di nuovo senza di te.
" è tardi" gli disse
L'aveva persa.
"Forse non hai capito, io non volevo lasciarti"
"Dovrei crederti?"
"Sì, Sanem, devi credermi", si chiese il perchè di quella durezza, di quella chiusura, la Sanem che ricordava non era così, doveva essere accaduto qualcosa di veramente doloroso, doveva scoprirlo, Can voleva capire.
Lei continuò con voce quasi metallica "Sai cosa mi è accaduto, sai di Aylin?" la sua rabbia stava montando
"Sì, ho messo insieme i pezzi dai racconti di Emre e di tua madre. Quando, quel maledetto giorno, mia madre mi fece vedere il tuo profumo ceduto a Fabbri, il mio mondo di certezze nella tua lealtà crollò e io me ne andai arrabbiato e deluso. E' vero. La polizia mi portò via mentre Aylin ti spingeva giù dalle scale. Non sapevo niente di questo Sanem, te lo giuro, sarei stato accanto a te ogni attimo.
Ma per me il tuo profumo eri tu, era la tua essenza, mia, per sempre.
Era come se mi avessi tradito. Mi sono sentito perso."
Sanem chiuse brevemente gli occhi rifiutandosi di piangere, rifiutandosi di credergli: "... e Polen?"
"Polen? cosa?", lui non capiva che c'entrasse la sua ex
"Polen cosa ti ha detto, eravate a cena l'altra sera. Non avevi nemmeno visto tuo fratello e sei corso da lei..."
"Cosa avrebbe dovuto dirmi Polen?"
"non voglio domande Can, voglio risposte. Che ti ha detto Polen? lei...non importa..."
Sanem digitò qualcosa sul telefono: "...sono stanca, ora chiamo Kemal e mi faccio venire a prendere"
"Sanem cosa è successo, parlami, cosa è successo con Polen? Con Fabbri? Sanem io ho molte domande che attendono da due anni risposte"
"Tu hai domande? Io sono stata qui, sono sempre stata qui. Sai quante domande ho dentro? Sai chi mi ha risposto? nessuno. Per due anni. Le tue domande dovranno attendere. Se mai le avrai"
"Sanem, guardami, guardami ti prego, non ti dirò di nuovo che se mi dici di restare resterò e se mi dici andarmene non mi vedrai mai più. Io resto qui, e troverò il modo di restarti accanto finché avrò vita anche se tu non vorrai, anche se non ti vedrò, tu sarai qui, dentro di me, nel mio cuore. Non mi mancherai di nuovo."
La guardava frugando negli occhi di lei velati di lacrime " ..ti prego Sanem non escludermi di nuovo. Voglio sapere, almeno, cosa è successo..."

Kemal stava entrando dalla porta, avvicinandosi lentamente. Sanem non voleva che i due uomini si incontrassero di fronte a lei, non poteva affrontare una loro discussione in pubblico.
"Can vai, sta arrivando mio marito, e non voglio alzarmi finché non sarai sparito di qui"
"Sanem ti prego" .. e nel dirlo le prese la mano posata sul tavolo.
Sanem lo guardò, fissò quel punto dove la loro pelle si toccava di nuovo per la prima volta dopo due anni, sentì la sua pelle liscia, sentì il suo calore, lo sentì dentro come un vulcano, come un uragano che spalancava mille porte. 
Poi di colpo era sbiancata, a quella mano manca il dito indice.
Can seguì il suo sguardo e ritirò veloce il braccio.
Lei alzò gli occhi spalancati, enormi su di lui, terrorizzati "Can? cosa?"
"Niente non pensarci, un incidente" minimizzò lui
Si alzò, raccolse il cellulare, guardò Sanem visibilmente scossa
"Ti prego, amore, non pensare a questo. Ricordati tu sarai nel mio cuore. Sempre. Spero che ci rivedremo ancora. Ti auguro una buona vita, nessuno la merita quanto te. Perdonami per il male che ti ho fatto anche non volendo" e si voltò per andarsene.
Sanem parve svegliarsi in un attimo mentre Kemal si avvicinava sempre più, lo richiamò: " Can..Can..."
Lui si voltò guardandola. Glielo disse piano, come soffiando su una ferita per lenire il dolore : "Non ho dato il mio profumo a Fabbri. Mai." e si zittì mentre suo marito arrivava al tavolo.

KEMALDove le storie prendono vita. Scoprilo ora