CAPITOLO VENTICINQUE

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Alex

Mi svegliai la mattina seguente in super ritardo, dovevo sbrigarmi se non volevo arrivare in ritardo alla prima ora, così mi misi le prime cose che trovai nell'armadio e decisi di uscire senza fare colazione.
Mi aspettava una giornata impegnativa, oltre alle ore di lezione che dovevo coprire, nel pomeriggio mi aspettava una riunione con gli altri insegnanti, cosa che mi metteva ancora molto a disagio anche se capitava praticamente ogni mese.
In fondo, erano tutti molto più grandi di me e sicuramente più preparati, con molti anni di esperienza alle spalle, io era quella nuova che sapeva ancora poco, e certe teste calde non perdevano l'occasione per ricordarmelo appena provavo a proporre un'idea.
Ormai avevo deciso che a quegli incontri me ne sarei stata zitta e mi sarei limitata ad ascoltare ciò che gli altri avevano da dire, annuendo di tanto in tanto.
Cercavo in me la forza necessaria per sopportarli, dicendomi che un giorno le cose sarebbero cambiate e quello che avevo da dire sarebbe importato.

Raggiunsi il parcheggio sotto casa e iniziai ad imprecare tra me e me, vedendo che un tizio mi aveva parcheggiato praticamente appiccicato dietro e un'altro davanti, rendendomi la manovra per uscire praticamente impossibile.
Cercando di non farmi prendere dalla disperazione entrai nel bar lì difronte, per chiedere se una delle due macchine fosse di qualcuno, ma non ottenni risposta.
Sconsolata, uscii, ormai rassegnata al fatto di prendere l'autobus e arrivare inevitabilmente in ritardo.

Mentre mi avviavo alla fermata, una macchina mi suonò il clacson, avvicinandosi a me.
Mi voltai e vidi Jake, che stava abbassando il finestrino.

- Tutto bene? - mi chiese.

Feci spallucce. - La mia macchina è bloccata da due cretini che non sanno parcheggiare, sto andando alla fermata dell'autobus anche se sono in un ritardo fottuto. -

Sembrò riflettere per un po', poi si decise a parlare. - Posso darti un passaggio, se vuoi. Io sono in anticipo, posso lasciarti a scuola e poi andare al lavoro. -

Esitai un po' alla sua proposta, non passavamo del tempo da soli da veramente troppo, e un viaggio in macchina non era una delle situazioni migliori.

- Andiamo – continuò – viviamo insieme, dobbiamo pur cominciare da qualche parte. -

Sospirai, aveva ragione. Era stupido continuare con quel silenzio inutile, avremmo dovuto fare qualche passo avanti, prima o poi.

- Ok, ti ringrazio. - Salii in macchina, sentendo quell'odore particolarmente famigliare.

Dopo un po' decise di rompere il silenzio. - Mi era mancato guidare, sai? A New York ci si sposta solo con la metro, praticamente. -

- Immagino – risposi – non avevi una macchina la? -

- No, ma per fortuna mia madre ha avuto ottima cura della mia, mentre ero via. -

- Come sta tua madre? L'ho vista qualche volta, mi ha ripetuto più volte di passare a trovarla, ma non riuscivo mai a trovare il momento giusto. -

In realtà avrei voluto tanto parlare con lei, mi ricordava così tanto Jake che ero sicura avrei trovato un minimo di conforto, ma in qualche modo mi sembrava sempre inadatto, come se violassi la privacy di Jake, così facendo.

- Sta bene, Annie poi cresce a vista d'occhio, mi sono perso tanto in quest'anno che ero via.. -

Sorrisi. - Sì, immagino. -

- A te come sta andando il lavoro? -

Sbuffai. - Una meraviglia – dissi, ironicamente – non faccio altro che riprendere bambini di sei anni che non hanno la minima idea del tatto e dell'educazione, l'altro giorno uno mi ha detto che ho il culo grosso. -

About a kiss.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora