Con un gomito poggiato sul mobile della cucina, osservavo Simone e Corrado tentare in tutti i modi di creare uno chignon decente sulla testa di Martina. Sarebbe stato il suo primo giorno alla scuola di danza e nessuno di noi era preparato, in tutti i sensi.
Le avevamo comprato un tutù coordinato con quello che portavano le altre bambine, delle scarpette, le calze, e ci eravamo anche premuniti di tutto il necessario per farle lo chignon, ma la verità era che nessuno di noi ne era in grado. A dire il vero, io non ci avevo nemmeno voluto provare e avevo lasciato tutto nelle mani di Simone e di Corrado.
«Che te ne pare?» mi chiese Corrado.
Si scansò e potei vedere Martina. Le avevamo già messo il body rosa e le calze; i capelli erano tirati indietro, ma il problema era lo chignon in sé, che perdeva ciuffi da tutte le parti e non mi sembrava nemmeno stretto bene, a dire il vero.
«Un disastro» risposi.
Corrado sbuffò, indispettito, e lasciò cadere con stizza i fermagli che aveva tra le mani. «E allora provaci tu!» esclamò.
«Non lo so fare» ammisi.
«E allora sei pregato di non commentare.»
«Mi hai chiesto tu come mi sembrava e a me sembra un disastro» feci notare.
«Calma, ragazzi» ci riprese Simone. «Non fa niente, adesso troviamo il modo di aggiustarlo. Oppure, sapete che facciamo? Chiediamo a qualche ragazza dell'ultimo anno di farglielo.»
«Sì, e poi domani? Dopodomani? Il giorno dopo ancora? Che facciamo? Chiediamo sempre di farglielo?» sbottai.
Per me era assurdo il fatto che dovessimo ricorrere all'aiuto di altre donne o di altre persone per fare quella che non mi era mai sembrata un'acconciatura difficile. Quando seguivo anch'io le lezioni di danza avevo visto le ragazze farselo senza nemmeno guardarsi allo specchio, con una velocità che mi aveva sempre fatto credere che fosse facile. Mai avrei pensato che due di noi ci avrebbero messo quasi un'ora per ottenere un disastro di chignon.
«Ce lo facciamo insegnare» rispose Simone. «Così impariamo anche noi e poi lo spieghiamo anche a lei.»
Nel concludere la frase, Simone aveva rivolto lo sguardo su Martina e anche io e Corrado lo facemmo. Mi resi conto, in quel momento, che l'ansia e il nervosismo che avevo non era perché non eravamo capaci di acconciarle i capelli, ma perché forse non saremmo stati in grado di insegnarle tutte quelle piccole ma importanti cose relative al mondo delle donne. Per esempio, eravamo riusciti a metterle le calze dopo averne rotti due paia, ma avevamo usato il metodo giusto? Lei l'avrebbe saputo replicare? Se le fosse piaciuto ballare, avremmo dovuto fare quel casino tutti i giorni, per tutti i giorni a venire finché non fosse stata in grado di farlo da sé? Al solo pensiero rabbrividivo.
«Sì, infatti» concordò Corrado. «Impariamo e poi spieghiamo. Ora muoviamoci che è tardi.» Poi gridò per richiamare anche gli altri nostri fratelli e uscimmo di casa.
***
«Corrado?» lo chiamai, un attimo prima che entrasse in sala, e lui si fermò. Avevamo fatto tardi e la scuola di danza l'avevamo aperta qualche minuto dopo rispetto al solito e lui aveva dovuto spogliarsi in fretta e non aveva ancora preparato la sala, nonostante le bambine fossero già dentro. Tuttavia io volevo parlargli, prima che iniziasse la lezione. «Devo parlarti un attimo.»
«Di che?» Si mise un elastico in bocca, si raccolse i capelli lunghi in una sola mano e poi li legò con un paio di giri veloci. «È tardi.»
«Lo so, ma aspetta un attimo.» Uscii dalla zona segreteria e lo raggiunsi accanto alla porta della sala. «Ti ricordi quello che ci siamo promessi quando abbiamo deciso di tornare a vivere insieme?»
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Io e i miei sette fratelli
General Fiction*** PREQUEL DI IO E I MIEI SETTE FRATELLI MAGGIORI*** Donato Leonardi ha solo diciannove anni quando i suoi genitori muoiono in un incidente d'auto lasciando lui e i suoi sette fratelli minori orfani. Il lutto sconvolge le loro vite e li costringe...