L'orologio

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Non appena misi piede in casa, trovai Giovanni riverso sul pavimento, proprio davanti la porta d'ingresso. Simone e Corrado erano accanto a lui e cercavano di parlargli, mentre Andrea e gli altri fissavano la scena terrorizzati.

Luca, che era voluto venire con me quando gli avevo detto che uno dei miei fratelli stava male, fece prima di me e si inginocchiò insieme ai miei fratelli, di fianco a Giovanni.

«Che succede?» chiesi a Corrado, tirandolo affinché si alzasse.

«Lui... non lo so, all'improvviso ha iniziato a sentirsi male e ora...» Corrado voltò il capo in direzione dei nostri fratelli minori e, come me prima, si rese conto della paura che stavano provando. Si sforzò di sorridere e poi disse loro che sarebbe andato tutto bene.

«Portali via» gli sussurrai.

Mi obbedì e insieme a loro sparì nelle camere da letto. Mi accovacciai accanto a Giovanni, mentre Luca cercava in qualche modo di capire cosa gli stesse succedendo. Mio fratello si dimenava in preda a dolori che non comprendevamo da dove provenissero; era sudato, sfatto, con le occhiaie profonde e nere; si stringeva le mani sul petto e di tanto in tanto si torturava i ricci biondi.

«Giovanni» lo chiamai, provando a fargli togliere le mani dai capelli. Se avesse continuato così, se li sarebbe strappati. «Giovanni, guardami, che succede? Cosa senti?»

Tuttavia Giovanni non mi rispose, in realtà non sembrava nemmeno che mi avesse ascoltato, troppo lontano dalla realtà.

«Corrado ha chiamato un'ambulanza, dovrebbero essere qui a momenti» mi disse Simone.

A quel punto, scattai di nuovo in piedi. Presi Simone per le spalle e gli urlai contro: «Chiamali subito e di' che non ne abbiamo più bisogno.»

«Cosa?» Simone aggrottò la fronte, perplesso. «Non lo vedi che sta male? Non sappiamo cos'abbia e...»

«Chiamali e di' loro che non ci serve più un'ambulanza» ribadii.

«Ma...»

«Chiamali, ho detto!»

Strinsi più forte le spalle di mio fratello, mentre lui sobbalzava per la paura della mia esclamazione. Era necessario, però, non avrei potuto fare altrimenti.

Senza domandare perché, Simone mi obbedì e chiamò di nuovo l'ambulanza. Ritornai da Giovanni e da Luca e quando mi inginocchiai di nuovo, dallo sguardo che mi rivolse il farmacista capii che aveva chiaro in mente cosa avesse Giovanni. Se quella era una crisi d'astinenza, infatti, far andare Giovanni in ospedale non era una grande idea. Gli avrebbero fatto le analisi del sangue, avrebbero scoperto cosa c'era in circolo nel suo corpo e la notizia sarebbe arrivata di sicuro alle orecchie giudicanti degli assistenti sociali.

Non potevo permettermelo.

«Quale?» mi sussurrò Luca.

«Non lo so» mentii.

«Donato...» mi ammonì lui.

«Ecstasy.» 

«Okay» disse, poi si alzò per andare a cercare non so cosa per la casa.

Rimasto solo con mio fratello, provai di nuovo a parlargli. Gli poggiai le mani sulle braccia e tentai in quel modo di fermare i suoi movimenti convulsi.

«Giovanni? Giovanni, mi senti?»

«Non volevo...» sussurrò lui. Ero sul punto di chiedergli per qualche motivo si stesse giustificando, ma fece prima di me e continuò: «Non volevo, ti giuro che non volevo. Non volevo... l'orologio.»

Io e i miei sette fratelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora