Cinquantamila euro

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Mi era mancato il letto di Mirko. E non come avevo sempre pensato.

Mi era mancata la morbidezza del materasso, il calore delle coperte, mi era mancata la calma quiete che sapeva emanare nel mio corpo.

Ero seduto in un angolino, quasi incerto se restare ancora o no, con Mirko che non la smetteva di fare domande e di andare a fondo, sempre più a fondo. Avevamo preso appuntamento dopo un'ora, dall'ultima volta che ci eravamo visti; nessuno dei due aveva saputo resistere e alla fine lui aveva fatto il primo passo. Io, però, avevo risposto subito affermativamente.

Gli avevo concesso solo poche ore ed ero deciso a non farmi abbindolare da richieste come una cena insieme o addirittura una dormita insieme, nondimeno ero felice di essere con lui, io e lui da soli.

Entrambi ci eravamo scusati per il comportamento che avevamo avuto, ma io avevo taciuto su Luca e lo stesso aveva fatto lui con me con quel ragazzo che avevo visto quella volta al bar con lui. Però, una cosa tira l'altra, un argomento si collega a quello di dopo, e avevo iniziato a parlargli dello psicologo Nuzzo, delle volte in cui ci andavo io.

«È terribile» aveva detto.

Avevo annuito e abbassato il capo, vergognandomi. Sapevo, in cuor mio, che non avevo assolutamente nulla da recriminarmi, specialmente di quel periodo della mia vita, ma sentivo che avrei potuto fare qualcosa in più per ribellarmi.

«Mi faceva leggere dei libri» continuai a dire, torturandomi le mani. Mirko era seduto accanto a me, ma comunque distante. Non si era avvicinato troppo, come a voler rispettare la mia intimità o quanto meno come a voler essermi vicino ma senza tentare approcci "pericolosi".

«Che genere di libri?»

«Storie. Biografie di uomini che erano stati con uomini e che poi erano "guariti". Me ne dava un sacco, e in tutti c'era scritto più o meno la stessa cosa, la stessa terribile frase: "Ho aperto gli occhi". Non ho mai creduto a quelle storie, anzi, quegli uomini mi facevano pena. Ho sempre pensato che, come stava capitando a me, qualcuno li avesse costretti e che, pur di farli smettere, avevano detto di essere guariti e di non provare più attrazione per gli uomini. C'era chi dava la colpa ad altre persone, amici che li avevano "spinti" verso l'omosessualità. Qualcuno parlava addirittura del Diavolo...»

Risi amaramente. Mirko scivolò di un poco verso di me e con la coda dell'occhio potei vedere la sua mano che si allungava sulla coperta blu, a pochi centimetri dalla mia. Non la strinsi e lui non andò oltre.

«E tu cosa facevi una volta lette quelle storie?»

Scossi la testa. «Nulla. In realtà non sempre le leggevo o, meglio, le leggevo ma con poca attenzione. E quando lo psicologo mi chiedeva cosa mi fosse rimasto impresso inventavo un mucchio di bugie. Però...»

«Però?»

«Però non sempre ci credeva.» Alzai il capo e incrociai gli occhi con i suoi. «Sono sempre stato un pessimo bugiardo.»

Mirko deglutì, poi annuì. In quel suo movimento affermativo ci lessi anche la consapevolezza, la convinzione di sapere che non ero in grado di mentire e che tutte le cose che gli avevo detto – dalle più belle alle più brutte – erano vere. Speravo che ricordasse perlopiù le belle.

«E poi?» mi spinse a continuare.

Smisi di guardarlo e andai a piantare lo sguardo sul pavimento. Ripresi a torturarmi le mani. «E poi...» La voce mi tremava, al ricordo. «E poi lui, se se ne accorgeva, lo diceva a mio padre.» Ritornai a cercare il viso di Mirko. «Ti ricordi mio padre com'era.»

Non servì che aggiungessi altro. Perfino Mirko aveva assaggiato le botte di mio padre, quando ci aveva scoperti a baciarci alla scuola di danza.

Restammo in silenzio per qualche minuto. Forse Mirko, come me, non sapeva cosa dire. Ero contento di aver finalmente raccontato a qualcuno quella storia – e non a uno qualunque, ma a Mirko, il mio amore storico – ma sentivo che avrebbe creato una frattura tra di noi o che quantomeno non mi avrebbe più guardato con gli stessi occhi. Infatti, quando finalmente trovai il coraggio di fissarlo, mi accorsi che senza ombra di dubbio provasse pena per me e per quello che avevo passato, per la mia adolescenza di merda. Subito dopo la morte di mio padre, ero corso da lui e con l'ansia di godermi tutto quello che mi ero perso, avevo provato a mandarmi tutto alle spalle senza sapere, in realtà, che certe cose sono difficili da dimenticare e che è sempre meglio tirarle fuori.

Io e i miei sette fratelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora