Il capobanda

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«Ripeti!»

Mirko mi teneva schiacciato al muro, la schiena e la testa impressa sulla calce dietro di me.

«Ripetilo adesso, se ne hai il coraggio» continuò.

E per mostrarsi ancora più minaccioso ai miei occhi, mi fece portare il collo verso l'alto ponendoci il suo braccio destro sotto.

«Mi...» affannai, cercando aria, «Mirko, guarda che io ero serio.»

«Perché io non lo sono?» chiese, mentre toglieva il braccio dal mio collo e lasciava un po' di spazio tra noi.

«Non mi pare proprio» risposi. Alzai un sopracciglio, scettico. «Mi hai baciato, hai riso, hai provato a farmi il solletico e poi mi hai fermato in questa posizione. Non la stai prendendo seriamente.»

Infatti, il sorriso che apparve sul volto di Mirko il secondo dopo avvalorò la mia tesi.

«Visto?»

«Donato» fece, staccandosi da me e liberandomi, «come potrei prenderla sul serio? Pensi davvero che dopo tutto quello che è successo, io possa pensare di stare lontano da te?»

Ecco. Quello era il Mirko serio che conoscevo, tuttavia, anche se avevo detto di volerne parlare senza scherzarci su, adesso avevo perso il coraggio.

Che novità.

«Sono un codardo» borbottai tra me e me. «Ecco perché.»

Mirko sospirò, poi mi prese il viso con una mano e mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Non sei un codardo. Sei solo... Non pronto, ecco. Non pronto.»

«Potrei non esserlo mai, di questo passo. E non mi sembra giusto nei tuoi confronti.»

«Fai decidere a me cosa è giusto per me.»

Non d'accordo con lui, storsi la bocca e ritornai a fissare il pavimento, ma lui ancora una volta fece in modo da incastrare i suoi occhi con i miei. Mi baciò sulle labbra. Prima piano e poi sempre più con passione.

Il cuore accelerò tutto d'un botto e d'improvviso e prima che potessi anche solo elaborare un pensiero, io e Mirko eravamo stesi sul suo letto, io con le mani sul suo torace e lui con le mani sulla mia schiena.

Come avevo fatto a stargli lontano, a non poter toccare a ogni minuto del giorno la sua pelle, a non sentire la sua voce per così tanto tempo era inspiegabile per me. Perché ora, mentre mi baciava il collo e poi scendeva di prepotenza fin giù, avrei voluto che non ci staccassimo più, che non la smettesse di farmi suo.

Però dovevo, almeno per un attimo, trovare una logica a quello che stava succedendo o perlomeno capire se era giusto.

«Aspetta, fermo» gli dissi, allora.

Mirko mi ascoltò e respirò forte sul mio viso per riprendere fiato. «Cosa c'è?»

«Sei sicuro?»

«Sì, Donato» rispose velocemente, per poi baciarmi ma lo fermai di nuovo.

«No, no. Giurami che per te va bene così.»

Mirko sospirò, arreso. Non mi rispose subito e in quei secondi temetti davvero che mi lasciasse e che mi mandasse a quel paese perché non sapevo quando avrei trovato il coraggio di confessare al mondo intero che ero gay.

Per fortuna, però, Mirko disse: «Sì, ti giuro che mi va bene. È una tua scelta e non voglio costringerti a fare nulla che tu non voglia. Voglio stare con te, anche se significherà farlo di nascosto.»

«Anche se potrei farti soffrire?»

«Non mi farai soffrire.» Mi accarezzò il volto e sorrise malizioso. «Anche perché quello che sta per farti male sono io.»

Io e i miei sette fratelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora