Nel buio

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Mirko, nervoso, girava e rigirava per il piccolo salotto di casa sua, mentre io, seduto sul suo letto, lo ascoltavo lamentarsi delle sue colleghe di corso e del fatto che fosse costretto a finire con loro un progetto per un esame.

La serata spensierata che avevo sperato di trascorrere con lui si era rivelata invece un incubo dal quale volevo uscire in fretta. Amavo Mirko e potevo capire la sua esigenza di sfogarsi con me, ma dopo la giornata di merda che avevo avuto e il dover sopportare le urla dei miei fratelli a ogni minuto, avrei preferito restare in silenzio tra le sue braccia a parlare del tempo, di cose futili giusto per liberare la mente.

Mirko mi aveva accolto in casa sua così arrabbiato che se per un secondo avevo considerato di parlargli dello psicologo Nuzzo – cosa che non avevo mai fatto – ora non volevo più. Sommare la sua rabbia alla mia non sarebbe stato positivo per nessuno dei due.

Poco male, avrei avuto un'altra serata per parlargli. Di certo non ci mancavano le occasioni.

«Ti rendi conto di quello che mi hanno detto, Donato?» gridò Mirko, fermandosi al centro della stanza e portandosi entrambe le mani nei capelli castani. «Io ho quattro esami a cui pensare questo semestre, quattro! E loro se ne escono dicendomi che dovrei essere più presente, che dobbiamo pensare a che foto far vedere alla professoressa! Io ho due esami da nove crediti! Nove! Che cosa me ne può fregare delle foto... E poi, non possono farlo loro? No che non possono! Anzi, sì, possono, ma il loro gioco preferito è rompere le palle a me!»

Mirko, esausto della sua sfuriata, si gettò sul letto accanto a me, stendendosi. Gli accarezzai un fianco con la punta delle dita e gli dissi: «Lo so che sono insopportabili, ma cerca di resistere almeno per un po', tanto tra poco sarà tutto finito. Assecondale e vedrai che la smetteranno.»

Lui sbuffò e si mise seduto. «Le odio, le odio terribilmente» affermò.

«Beh, questo mi fa sperare bene» ironizzai, mentre mi abbassavo per dargli un bacio. Lui però scostò il viso per alzarsi di nuovo e continuare a inveire contro le sue colleghe di università.

Feci finta di nulla e ascoltai in silenzio il riassunto delle altre cose che non gli andavano bene o che gli avevano detto. Mi limitavo ad annuire, intervallando il tutto da un "Mh, certo, infatti".

«Oh, ma ti sto annoiando, vero?» chiese, a un certo punto. Nemmeno sapevo più di cosa stavamo parlando, cioè non sapevo qual era stata l'ultima cosa che aveva detto. Ormai la sua voce per me era diventata un ronzio.

«No, certo che no» mentii, prima di alzarmi. Gli andai vicino e allungai una mano per afferrargli la maglia; lo tirai a me e lo baciai. «Non mi annoi mai, tu.»

Lui sorrise e, dopo avermi scoccato un altro tenero bacio, mi accarezzò il viso. Socchiusi gli occhi assaporando il suo tocco sulla mia pelle. Non desideravo altro che farmi coccolare da lui per resettare tutto ciò che in quei mesi aveva inondato la mia mente.

Tuttavia lui ruppe il momento, dicendo: «A casa come va?»

Riaprii gli occhi, ma non lo guardai in viso, facendo finta di aggiustargli la camicia stropicciata. «Abbastanza bene» riassunsi. «Gli scatoloni sono ancora in giro per casa, ma almeno adesso possiamo camminare per il salotto senza inciampare su uno di essi.»

Mirko abbozzò una risata, annuendo alle mie parole. Eppure non pensavo che potesse capire, visto che, nonostante le mie descrizioni dettagliate, nemmeno poteva immaginare il casino che si era creato la prima volta che avevamo messo piede di nuovo tutti insieme in casa. Daniele e Francesco, da veri furbetti quali erano, nel periodo vissuto a casa di nostro zio, si erano fatti comprare un'infinità di giocattoli, vestiti, scarpe e altre inutilità che i miei parenti si erano sentiti di regalare loro per paura che non fossero contenti o che in quel modo avrebbero potuto sopperire alla mancanza dei nostri genitori. Ero grato ai miei zii per l'impegno che si erano presi, ma avevano solo contribuito a viziarli. Cinque regali a testa, a Natale, non avrei potuto permettermeli e se quell'anno me li avessero chiesti non avrei saputo come fare. Mi rendevo conto che l'avevano fatto a fin di bene, ma più volte avevo chiesto loro di non viziarli.

Io e i miei sette fratelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora